Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14666

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 22-9-2001 G.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia i fratelli R. e G.L. chiedendo dichiararsi lo scioglimento della comunione ereditaria relativamente a due beni (ovvero un fabbricato adibito a pensione in (OMISSIS) ed un appezzamento di terreno boschivo in frazione (OMISSIS) del predetto Comune) pervenuti ai tre fratelli per successione a seguito della morte in data 3-4-1982 del padre L. e in data 10-2-1998 della madre Ga.Au..

Si costituivano in giudizio i convenuti i quali eccepivano la prescrizione del diritto dell’attore ad accettare l’eredità del padre L., chiedevano accertarsi essere il fratello A. comproprietario solo nella misura di 1/9 dei beni oggetto di causa, contestandone il diritto a chiedere lo scioglimento della comunione relativamente all’eredità paterna.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 12-5-2003 rigettava la domanda attrice ritenendo che la documentazione prodotta dall’attore non appariva sufficiente a dimostrare l’esistenza di atti del medesimo intervenuti nei dieci anni decorrenti dall’apertura della successione (3-4-1982) che manifestassero la sua accettazione tacita dell’eredità.

Proposta impugnazione da parte di G.A. cui resistevano R. e G.L. la Corte di Appello di Firenze con sentenza del 30-8-2005 ha dichiarato il diritto di G.A. a partecipare alla divisione dell’eredità paterna da lui tacitamente accettata.

Avverso tale sentenza G.L. e G.R. hanno proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui G.A. ha resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 476 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’avvenuto pagamento di un debito del "de cuius" da parte dell’appellante entro il decennio dall’apertura della successione configurasse accettazione tacita dell’eredità paterna;

essi rilevano che si è era in presenza del pagamento di un debito ereditario che non solo un erede, ma qualsiasi terzo avrebbe potuto legittimamente porre in essere, cosicchè detto pagamento non costituiva sotto alcun profilo un atto compatibile esclusivamente con la volontà di accettare l’eredità.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1180 c.c., assumono che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che il pagamento di un debito ereditario comporti necessariamente la volontà del chiamato di accettare l’eredità; infatti la norma ora richiamata prevede inequivocabilmente la possibilità dell’adempimento di una obbligazione da parte di un terzo; pertanto il chiamato all’eredità può aver effettuato il pagamento o quale erede o quale terzo, e quindi occorrono ulteriori elementi per poter ritenere l’azione svolta in qualità di erede.

Con il terzo motivo L. e G.R., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver affermato che il pagamento del debito di G. L. nei confronti della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia era stato effettuato da G.A. in via transattiva secondo quanto era emerso dalla ricevuta rilasciata il 18-11-1985 dal suddetto istituto bancario; infatti non risultava che tra le parti vi fosse stata una trattativa e che in conseguenza della stessa vi fosse stato un "aliquid datum" ed un "aliquid retentum", ed inoltre l’espressione "tacitazione transattiva" nella specie si trovava in una ricevuta sottoscritta esclusivamente dalla parte che riceveva il pagamento.

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1967 c.c., rilevano che una ricevuta firmata da una sola delle parti non è sufficiente a provare l’avvenuta conclusione di una transazione tra le stesse.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1180 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’avvenuto pagamento in via transattiva da parte di G.A. di una parte soltanto del debito del "de cuius" nei confronti del suddetto istituto di credito era compatibile esclusivamente con la sua volontà di accettare l’eredità paterna;

in realtà la transazione eventualmente stipulata da un terzo che adempie l’obbligazione altrui in ordine alla misura della somma da pagare non esclude la sua qualità di terzo adempiente detta obbligazione, e d’altra parte non sussistono ragioni per affermare che la richiesta al creditore di uno "sconto" significherebbe accettare tacitamente l’eredità, mentre non richiedere detto "sconto" non lo significherebbe affatto.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La sentenza impugnata ha evidenziato che G.A. aveva effettuato il pagamento di un debito del "de cuius" entro il decennio dall’apertura della successione; in proposito ha rilevato che, a seguito della notifica di un atto di precetto da parte della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia indirizzato alle parti in causa quali eredi di G.L., l’appellante, senza contestare la sua qualità di erede, aveva provveduto alla corresponsione della somma – su di lui gravante "pro quota" – di lire 13.750.000, ed aveva eseguito tale pagamento in via di transazione, secondo quanto indicato dalla ricevuta rilasciata il 18-11-1985 da suddetto istituto bancario, dove si dava atto della ricezione della somma predetta "…a tacitazione transattiva dei diritti della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia in ordine ai contratti di mutuo stipulati in Pistoia in data 28-5-73 e 9-4-76 dal Sig. G.L. …".

La Corte territoriale, pur prescindendo dall’osservare che non era condivisibile il principio affermato dal primo giudice in ordine alla non configurabilità quale accettazione tacita dell’eredità del comportamento consistente da parte del chiamato all’eredità nel pagamento di un debito del "de cuius" con denaro non della massa ma proprio, essendo invece ragionevole presumere la colorazione ereditaria del pagamento, ha ritenuto decisivo nella fattispecie il rilievo che non poteva trattarsi di pagamento non significativo che poteva essere fatto da un terzo, considerato che G.A. era stato invitato al pagamento del suddetto debito quale erede di G. L., che egli non solo non aveva contestato tale qualità, ma aveva pagato solo per la sua quota parte, nell’ottica della divisibilità delle obbligazioni ereditarie, che tale pagamento dimostrava il reale interessamento dell’appellante ai beni in questione; inoltre il giudice di appello ha attribuito rilievo assorbente al fatto che la quietanza del 18-11-1985 non documentava soltanto un mero atto di pagamento, ma una "tacitazione transattiva", ovvero un atto transattivo che poteva essere compiuto soltanto da colui che si ritenesse e si presentasse quale erede, essendo l’erede l’unico legittimario a transigere, e non già un terzo non qualificato; pertanto G.A. aveva fornito una prova sufficiente della sua accettazione dell’eredità paterna.

Orbene il convincimento della Corte territoriale è corretto ed immune dalle censure sollevate dai ricorrenti.

Anzitutto deve premettersi che i rilievi critici relativi alla configurabilità come accettazione tacita dell’eredità del pagamento del suddetto debito di G.L. da parte di G.A. con denaro proprio e non della massa, pur essendo di per sè fondati – posto che il pagamento del debito del "de cuius" che il chiamato effettua con denaro proprio non è un atto dispositivo e comunque suscettibile di menomare la consistenza dell’asse ereditario, ovvero tale che solo l’erede ha il diritto di compiere (Cass. 26-3-1965 n. 497), avuto riguardo all’art. 1180 c.c., che legittima qualsiasi terzo all’adempimento del debito altrui (Cass. 9-11-1974 n. 3492) – non riguardano la "ratio decidendi" della sentenza impugnata, che ha ritenuto ininfluente la provenienza del denaro utilizzato per estinguere il debito di G.L., attribuendo invece rilievo decisivo ed assorbente, come già esposto, alla natura transattiva del suddetto pagamento da parte di G.A..

Tanto premesso, deve rilevarsi l’infondatezza del profilo di censura secondo il quale la ricevuta del pagamento eseguito da quest’ultimo rilasciata dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, sottoscritta soltanto da quest’ultima, non costituiva prova della transazione che deve invece essere provata per iscritto; invero le limitazioni stabilite dalla legge in tema di prova dell’esistenza di un negozio giuridico, per il quale è richiesta "od substantiam" o "ad probationem" la forma scritta, valgono soltanto quando il negozio è invocato come fonte di diritti e di obbligazioni, e non già come semplice fatto storico influente sulla decisione della controversia, come nella fattispecie; d’altra parte, pur non potendo dalla quietanza di regola desumersi l’esistenza di una volontà dei creditore transattiva o di rinuncia ad altre pretese, questa può risultare da speciali elementi e dal complessivo tenore del documento all’esito di un accertamento del giudice di merito incensurabile in cassazione se sorretto da congrua ed adeguata motivazione (Cass. 28-3- 2003 n. 4688); ed in proposito la Corte territoriale ha ritenuto la natura transattiva di tale pagamento in quanto il suddetto istituto bancario aveva realizzato il suo credito verso G.A. quale erede di G.L. senza dover procedere ad alcuna procedura esecutiva, e quest’ultimo dal canto suo aveva ottenuto evidentemente una riduzione del suo debito.

Deve poi ritenersi che correttamente il giudice di appello ha qualificato il suddetto pagamento come accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atto che G.A. non avrebbe potuto compiere se non nella qualità di erede di G.L.;

invero appare estremamente significativo al riguardo, come evidenziato dalla sentenza impugnata, che G.A. abbia adempiuto a tale obbligazione soltanto per la quota di sua spettanza quale erede, in conformità al principio sancito in proposito dall’art. 752 c.c.; invero non è comprensibile per quale altra ragione diversa da quella enunciata G.A. abbia adempiuto la suddetta obbligazione nella misura indicata, nè d’altra parte i ricorrenti hanno prospettato alcunchè al riguardo.

Infine l’argomento ritenuto decisivo dalla Corte territoriale per ritenere la sussistenza di una accettazione tacita dell’eredità paterna da parte di G.A. è dei pari del tutto corretto;

se infatti un chiamato all’eredità ben può adempiere un debito del "de cuius" con denaro proprio senza per questo accettare l’eredità stessa, diverso è il caso di una tacitazione transattiva delle pretese del creditore, essendo evidente che una transazione riguardante il suddetto debito ereditario non può essere posta in essere se non da colui che agisce quale erede, non avendo altrimenti alcun titolo per transigere l’obbligazione altrui.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 4.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012

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