Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-01-2011, n. 671

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La sentenza di primo grado ha condannato il Comune di San Procopio a rilasciare a P.G., odierno appellato, i fondi di sua proprietà, occupati in forza della deliberazione c.c. 1 settembre 1993 n.29 e successivamente illegittimamente detenuti, nonché a risarcire il danno determinato da tale occupazione illegittima, calcolato a far data dalla scadenza del quinquennio dall’immissione in possesso(29 settembre 1998).

La vicenda per cui è processo inizia con l’approvazione del progetto esaminato con la deliberazione n.33 del 10 agosto 1991,contenente dichiarazione implicita di pubblica utilità delle opere nonché dell’urgenza dei lavori necessari alla realizzazione delle infrastrutture del piano per gli insediamenti.

A ciò ha fatto seguito il decreto di occupazione con efficacia quinquennale e l’ immissione in possesso del 28 settembre 1993, concernente (anche) i terreni del ricorrente, e non seguita tuttavia dal decreto di esproprio.

Il Comune chiede la riforma della sentenza di primo grado ribadendo, da un lato, l’eccezione d’inammissibilità, sotto vari profili, del ricorso di primo grado, a sua avviso non esaurientemente esaminata dal giudice di prime cure, e dall’altro, l’insussistenza dello spossessamento illegittimo a partire dalla scadenza del quinquennio, ragione per la quale l’appellato ab initio ha sempre potuto in realtà coltivare i terreni sotto esproprio e goderne di conseguenza i benefici senza subire, quindi, alcun danno.

Con il controricorso viene chiesto il rigetto del gravame sottolineando, in particolare, come già in primo grado, che nessuna prova il Comune ha offerto in merito alla circostanza che mai è venuto meno il possesso dei terreni oggetto della procedura espropriativa da parte dell’appellato.

All’udienza del 30 novembre 2010 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Il collegio condivide anzitutto l’argomento con cui l primo giudice richiamando la nota sentenza n.204/2004 della Corte Costituzionale ha respinto l’eccezione, sollevata dal Comune nella controversia all’esame, del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da occupazione illegittima.

Deve in aggiunta essere respinta l’eccezione, qui riproposta, d’inammissibilità della domanda risarcitoria autonoma, prescindendo cioè, come in fattispecie, dalla richiesta d’annullamento degli atti della procedura espropriativa, incluso il decreto d’occupazione d’urgenza, ritenendo il collegio di condividere l’orientamento del giudice ordinario al riguardo (SS.UU. (ord.za) 2 luglio 2010 -n.15689) ormai positivizzato anche dal codice del processo amministrativo di recentissima approvazione (art.30 del D.lgs.2 luglio 2010 n.104).

Sintetizzandone gli aspetti più rilevanti, il collegio osserva che il contrasto all’esame si segnala per la non rara ma certamente inconsueta evenienza di una procedura espropriativa seguita da formale immissione in possesso (in data 28 settembre 1993), ma non seguita da reale impossessamento con inizio lavori dell’amministrazione comunale espropriante, avendo la Regione revocato, con specifica missiva indirizzata al Comune medesimo in data 28 settembre 1998, il finanziamento indispensabile per realizzare l’opera pubblica di che trattasi.

A fronte di ciò il proprietario dei terreni investiti dalla dichiarazione di pubblica utilità e dall’immissione in possesso, chiede il risarcimento del danno successivo al periodo quinquennale di occupazione legittima, circoscrivendone la causale a tale illegittimo spossessamento, che il giudice di primo grado, condannato il Comune alla restituzione dei terreni, ha riconosciuto e liquidato in via equitativa " in misura pari al tasso legale di interesse sulla somma corrispondente all’indennità dovuta" per l’occupazione legittima.

L’appello dell’Amministrazione comunale è infondato e pertanto la sentenza impugnata merita d’essere confermata.

Al riguardo appare al collegio condivisibile l’argomento con cui il primo giudice ha negato rilevanza alla prospettazione difensiva, diffusamente svolta dal Comune anche in questa sede ed in termini sostanzialmente analoghi a quelli già spesi nella precedente fase di giudizio, secondo la quale mancherebbero in fattispecie le condizioni essenziali per pronunciare la condanna richiesta dal sig. P., non avendo egli mai perduto né la proprietà dei terreni in parola né il loro effettivo possesso, avendoli, anzi, utilizzati con pieno profitto anche immediatamente dopo l’immissione in possesso eseguita dall’amministrazione il 28 settembre 1993.

Il primo giudice ha osservato al riguardo, in particolare, che però; nessuna prova certa dell’utilizzazione dei terreni da parte del sig P. è stata data dal Comune; che l’Ente ha sempre mantenuto l’animus possidendi rispetto ai terreni; che la loro affermata utilizzazione da parte del predetto può ben ritenersi avvenuta, ove avvenuta, per tolleranza del Comune stesso che quindi da ciò non può trarre alcun beneficio in termini di esclusione del danno.

Il collegio ritiene, in linea con le valutazioni del primo giudice, che i termini giuridici generali della vicenda per cui è processo debbano essere ricostruiti muovendo dalla data del 28 settembre 1993 sotto la quale il Comune ha acquisito legittimamente il possesso dei terreni del sig. P., e poi giungendo ad affermare sulla base degli atti di causa, che tale situazione indubbiamente di natura possessoria si è protratta fino alla restituzione dei quest’ultimi in ottemperanza della sentenza di primo grado e qui impugnata, e con l’intervento del Commissario ad acta.

Cosicchè anche ad ammettere che subito dopo tale immissione in possesso da parte del Comune, il sig. P. abbia curato i terreni ricavandone benefici, non può sfuggire che tale relazione di quest’ultimo con il bene immobile ha presentato i caratteri della sola detenzione, mentre di una relazione di tipo possessorio deve parlarsi rispetto al Comune occupante.

In coerente sviluppo di tale contesto fattuale e giuridico, ad avviso del collegio, appare allora corretto evocare il principio evincibile dal comma 3° terzo dell’art.1141 c.c. secondo il quale colui che ha iniziato a detenere la cosa, non può trasformarsi in possessore semplicemente effettuando nella propria sfera interiore il mutamento dell’animus.

Da ciò discende che il sig. P., contrariamente a quanto sostenuto dal Comune appellante, non avrebbe potuto altrimenti " acquistare il possesso" se non quando il suo titolo di detentore non è stato "mutato…………… in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore"; vale a dire il Comune medesimo nella veste di occupante.

Egli avrebbe potuto, dunque, trasformarsi da detentore in possessore, non già soltanto per aver utilizzato i terreni, ammesso che ciò sia avvenuto, ma, semmai, solo dopo aver promosso il ricorso giurisdizionale che ha portato alla sentenza impugnata in questa sede.

Ma se si considera che nella vicenda in esame il Comune ha avuto una condotta gravemente colposa, omettendo, prima, di restituire i terreni pur dopo che la Regione Calabria ha reso impossibile la realizzazione dell’ opera per l’indisponibilità dei fondi (v.nota in data 28 settembre 1998), ed opponendosi,poi, alla richiesta della loro restituzione nel successivo giudizio per cui è causa, tant’è che è stato necessario a tal fine l’intervento del Commissario ad acta, si comprende l’insostenibilità, ad avviso del collegio, di tutto l’impianto difensivo su cui si basa l’appello in esame per come impostato sul tentativo di qualificare,alterandola, la condizione giuridica dell’appellato rispetto ai beni immobili oggetto d’occupazione.

Da ultimo, ma non per minore rilevanza, pare necessario osservare che i benefici che l’appellato a detta del Comune avrebbe ricavato dall’ uso dei terreni, non potrebbero comunque che incidere sulla misura di un risarcimento in cui la relativa domanda fosse avanzata per il minor reddito.

Viceversa, avendo avuto la domanda risarcitoria come unico obiettivo quello di veder compensato il pregiudizio recato alla condizione giuridica di possessore dei terreni, protrattosi illegittimamente per circa otto anni (dal 1998 al 2006) è evidente, alla luce di quanto sopra chiarito, che alcuna incidenza sulla quantificazione effettuata dal giudice di primo grado, che peraltro in rapporto al criterio utilizzato non è stata neppure contestata, può aver avuto l’aver ricavato i detti benefici..

L’appello deve in conclusione essere respinto con la conseguente conferma della sentenza impugnata

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il Comune appellante al pagamento delle spese della lite che si liquidano per entrambi i gradi in complessivi euro 3.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Armando Pozzi, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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