Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 25-06-2013, n. 27754

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con decreto pronunciato in data 21 giugno 2012, depositato in cancelleria il 28 giugno 2012, la Corte di Appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto nell’interesse di N.C. avverso il decreto del Tribunale di Bari, Sezione Misure di Prevenzione – che in data 8 giugno 2011 aveva applicato nei confronti del ricorrente la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS per la durata di anni uno e mesi sei con obbligo di soggiorno – riduceva il suddetto periodo ad anni uno.

Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che, con sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bari del 7 febbraio 2011, l’accusa originariamente contestata al prevenuto con ordinanza di custodia cautelare del 28 gennaio 2010 del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bari era stata ridimensionata essendo stata esclusa nei suoi confronti l’ipotesi associativa finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Si imponeva pertanto (in accoglimento dell’appello che si limitava a tale richiesta) una riduzione del periodo dell’obbligo di soggiorno da un anno e sei mesi a un anno.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione N.C. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

In particolare è stato rilevato dal ricorrente che il provvedimento gravato presentava una motivazione apparente in relazione al requisito della pericolosità attuale: gli accertamenti svolti, segnatamente da parte della Questura di Bari, avevano dato esito negativo e i fatti di cui all’ordinanza di custodia cautelare, cui fa riferimento il giudice della prevenzione, attengono a fatti pregressi, perpetrati nel settembre 2005. Parimenti risalenti nel tempo erano le censure contenute nel certificato penale e nel certificato dei carichi pendenti.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.

3.1 – Va preliminarmente rammentato come questa Corte di legittimità insegni che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge in forza della generale disposizione della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11 applicabile anche nei casi di pericolosità qualificata di cui alla L. n. 575 del 1965 alla stregua del richiamo operato dall’art. 3 ter, comma 2, L. ult. cit.. Ne consegue che, nel procedimento di prevenzione, in sede di legittimità, non è deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità; ovvero quando la motivazione stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito oppure, ancora, allorchè le linee argomentative dei provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione sulla misura. Tale limitazione è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale (n. 321/2004) non irragionevole stante la peculiarità del procedimento di prevenzione sia sul terreno processuale che prettamente sostanziale.

3.2. – Ciò posto, nella fattispecie, va rilevato che la motivazione del giudice, non solo è presente e puntuale, ma è anche esaustiva e scevra di vizi logici e giuridici avendo dato analiticamente conto di tutti i profili secondo i quali è da ritenersi sussistente il requisito della pericolosità attuale del soggetto avendo valorizzando, ai fini che qui rilevano, specifiche condotte devianti del proposto. In particolare la Corte territoriale fa riferimento, tra l’altro, all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del prefato che, sebbene faccia riferimento a fatti risalenti nel tempo, comprova pur sempre l’attualità dell’esigenza di sottoporre a controllo la libertà del N. stante l’evidenziazione di una personalità proclive a delinquere, come del resto confermata anche dall’esame del certificato penale e dei carichi pendenti e dalla carenza di comportamenti risocializzanti e di resipiscenza.

3.3. – I dedotti motivi di ricorso, rapportati ai contenuti concreti della decisione impugnata, si profilano per contro formulati al fine di censurare il giudizio di fatto già espletato dal giudice del merito e di intimare la Corte di legittimità a una sovrapposizione argomentativa rispetto al contenuti di tale giudizio attuato dal Giudice a quo.

3.4. – Giova infine rilevare che l’appello si profila altresì inammissibile in quanto incentrato sulla mera richiesta di riduzione del periodo dell’obbligo di soggiorno, mentre in ricorso viene rimessa in discussione la sussistenza dei presupposti della misura con ciò indebitamente estendendo il thema decidendi.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2013

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