Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14663

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Svolgimento del processo

Con ricorso del 29 marzo 1993 F.A. e F. G., dopo aver chiesto ed ottenuto accertamento tecnico preventivo per la verifica della statica di un muro divisorio a confine tra la loro proprietà e quella di Z.F. – proprietà entrambe site nel Comune di (OMISSIS) -, adivano il Pretore di Trento ai sensi dell’art. 1172 cod. civ., denunziando il pericolo che sarebbe derivato alla loro proprietà da quel muro, già ceduto in più parti.

Costituitosi Z.F., che negava il pericolo, da addebitare, ove sussistente, comunque, a un manufatto dei ricorrenti costruito a distanza illegale dal muro, l’adito giudice disponeva ctu e con ordinanza del 10 febbraio 1994, condividendo una delle indicazioni del consulente d’ufficio, disponeva opere di consolidamento. Con successiva ordinanza del 9 febbraio 1995, adottata – già pendente il giudizio di merito dinanzi al Tribunale, iniziato nel marzo 1994 – dal Pretore ex art. 669 duodecies cod. proc. civ., si disponeva la demolizione e la ricostruzione dell’intero muro, ritenendosi insufficiente l’opera di consolidamento già ordinata.

Nel giudizio di merito si costituiva Z.F. e il Tribunale, con sentenza del 27 luglio 2000, depositata il 22 agosto 2000, accertata la pericolosità del muro, confermava l’ordinanza cautelare emessa dal Pretore e, essendo state eseguite le necessarie opere provvisionali, condannava il convenuto a corrispondere agli attori l’importo di L. 57.284.267, pari a 3/4 della somma totale anticipata per gli interventi ordinati sul muro, restando a carico degli attori il residuo 1/4, in relazione all’apporto causale della loro proprietà nel degrado del manufatto.

Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello Z. L., Z.P. e Ze.Li., quali eredi di F. Z., per sentir – tra l’altro e ai fini che qui rilevano – accollare alla controparte le spese occorse per l’esecuzione del provvedimento nunciatorio, con revoca o riforma dell’ordinanza pretorile, non essendo il muro pericoloso ovvero essendo la sua pericolosità dovuta a fatto di controparte, che si costituiva e proponeva, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Trento con sentenza del 27 aprile 2002 confermava il provvedimento impugnato.

Avverso la sentenza della Corte di merito proponevano ricorso per cassazione i F. e controricorso con ricorso incidentale le Z..

Con sentenza depositata il 28 maggio 2004 questa Corte dichiarava l’improcedibilità del ricorso proposto dai F., non depositato nei termini e non iscritto a ruolo, ed accoglieva soltanto il quarto motivo del ricorso "incidentale" proposto dalle Z., cassava la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Trento. Accogliendo il ricordato motivo, questa Corte affermava che "che, essendo emerso, all’esito della piena cognizione e della compiuta istruttoria del giudizio di merito, che … assai verosimilmente non era affatto necessario l’intervento demolitivo, non avrebbe potuto la Corte di Trento limitarsi ad attestare la correttezza del giudizio ex ante che quell’intervento aveva ordinato, essendo stata essa chiamata – dalla domanda degli Z. di ripetizione (in tutto o in parte) delle somme anticipate – proprio a regolare definitivamente il rapporto tra soggetto autore della, e soggetto esposto alla, situazione di pericolo (l’uno e l’altra come titolari dei diritti reali sui due fondi confinanti) sulla base della effettiva entità di quel pericolo, della individuazione dell’intervento idoneo ad eliminarlo e della definitiva individuazione dell’onerato all’intervento e della misura di tale onere".

Con atto di citazione notificato il 26 novembre 2004 Z.L., P. e Li. riassumevano la causa davanti alla Corte di appello di Trento e concludevano chiedendo la riforma della sentenza di condanna di primo grado, con accollo alle controparti delle spese occorse per l’esecuzione del provvedimento nunciatorio, con revoca o riforma dell’ordinanza nunciatoria pretorile, limitatamente alla illegittima demolizione e ricostruzione del muro, con condanna della controparte alla restituzione di quanto nel frattempo pagato a tale titolo, nella misura di Euro 24.000,00, o in quella diversa maggiore o minore di giustizia, con gli interessi legali dal 16 luglio al 2003 e con vittoria di spese.

Si costituivano i F. chiedendo il rigetto della domanda di riforma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese.

Con sentenza del 28 settembre 2005, la Corte di appello di Trento confermava la sentenza di primo grado e dichiarava compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio.

Avverso quest’ultima sentenza della Corte di merito Z.L., Z.P. e Ze.Li. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

Hanno resistito con controricorso F.A. e F. G..

I controricorrenti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo, relativo alla ritenuta pericolosità del muro prima della demolizione e ricostruzione, le ricorrenti lamentano "violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e/o omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione quanto alla necessità della demolizione e ricostruzione del muro (art. 360 c.p.c., n. 5)".

In particolare le ricorrenti censurano la motivazione della sentenza impugnata, ritenendola "pletorica, dispersiva, in parte fuori tema, e comunque inidonea a giustificare la debenza di una spesa, per la demolizione e ricostruzione del muro, manifestamente inutile" e sostengono che la sentenza de qua violerebbe il principio dell’onere della prova, dovendo la controparte dimostrare la permanente pericolosità del muro, tale da giustificare il provvedimento di demolizione.

2. Il motivo è infondato.

3. Il giudice di rinvio, cui era stato demandato di valutare, in relazione alla fase di cognizione piena del giudizio di merito, quanto fosse necessario e sufficiente all’eliminazione del pericolo, sulla base dell’entità dello stesso, in applicazione del principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 10282 del 2004, ha fornito – contrariamente a quanto assumono le ricorrenti – ampia ed esaustiva motivazione, priva di vizi logici o giuridici, in ordine, in particolare, alla ritenuta pericolosità del muro e alla necessità della sua demolizione, al fine di garantire sicurezza statica ed idoneità funzionale all’opera. A tale riguardo la Corte di appello ha affermato che "il giudizio di superfluità dell’intervento demolitorio", formulato da ultimo dal consulente tecnico d’ufficio ing. M., in termini peraltro solo probabilistici, non era "razionalmente fondato" e rimaneva nella sfera dell’opinabile ed ha argomentato il suo dissenso da tale valutazione richiamando molteplici elementi. Ha anzitutto evidenziato che il predetto ausiliare del giudice non aveva effettuato alcun accertamento sul generale consolidamento del terreno attiguo al muro in parola, del resto improbabile in conseguenza di un mero travasamento -determinato fortuitamente dalla eccessiva liquidità della "baicocca di cemento" da iniettare nei fori – sul terreno del cemento utilizzato per la realizzazione dei micropali, circostanza, questa, che nulla disvelava sulla eventuale contaminazione da liquido cementizio del terreno, segnatamente nella sua globalità e profondità, posto tra i micropali poi realizzati e il muro di confine.

I giudici del merito hanno pure evidenziato che nessun inequivoco elemento poteva trarsi dalla successiva necessità di utilizzare un demolitore per abbattere il muro e dal tempo occorso per la demolizione, trattandosi di circostanze suscettibili di molteplici e diverse letture interpretative e che neppure un empirico provino di accertamento parziale, dopo la collocazione dei micropali, avrebbe potuto condurre ad un giudizio tecnico di generale consolidamento, tanto che il medesimo CTU, in risposta ai rilievi dei CIP, pur sostenendo che "alla luce delle fotografie visionate e dell’uso del demolitore, si poteva ragionevolmente affermare che il muro era consolidato con i micropali e che probabilmente non era necessaria la sua demolizione", aveva poi dato, altresì, atto che "l’eventuale provino eseguito con esito positivo non avrebbe dato la sicurezza che tutto il muro fosse stato eseguito correttamente".

Aggiungono, inoltre, i giudici, nella sentenza impugnata, che la realizzazione della paratia dei micropali non era alternativa alla demolizione e ricostruzione del muro, in quanto, con la seconda ordinanza cautelare era stata disposta la contestuale effettuazione dei detti due interventi, essendo stato accertato dal CTU nominato all’epoca che la situazione generale del muro era peggiorata, rispetto all’ispezione di soli tre mesi antecedente, sotto il profilo strutturale, per l’aggravamento del quadro fessurativo e per la presenza di segnali di piccoli cedimenti, dovuti alle numerose piogge autunnali e all’originario difetto di smaltimento delle acque a tergo del muro, affetto da originaria inidoneità statica, di tal che la realizzazione della sola paratia di micropali avrebbe potuto accentuare la precarietà del manufatto, tanto che lo stesso CTP di Z.F., nelle note integrative successive, non aveva contestato la permanente necessità della demolizione del muro in presenza della paratia di micropali, ma aveva ribadito, quale misura alternativa a tale demolizione, la costruzione di un nuovo muro a ridosso del primo.

A tanto deve aggiungersi che le ricorrenti, sotto il profilo dell’asserita insufficienza della motivazione, non possono sollecitare un nuovo scrutinio dei fatti e delle risultanze istruttorie. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce, infatti, al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge – Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489), omissioni, insufficienze e contraddittorietà che, come già evidenziato, non sussistono nel caso all’esame.

4. In relazione, poi, alla lamentata violazione dell’art. 2697 cod. civ., si osserva che la censura proposta è infondata, in quanto, nel vigente ordinamento processuale, per il principio di acquisizione, le risultanze istruttorie comunque ottenute, quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si sono formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice;

invero, il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ. non comporta che la prova dei fatti costitutivi della domanda debba desumersi unicamente da quanto dimostrato dalla parte onerata, senza poter utilizzare altri elementi acquisiti al processo, poichè esso assolve alla limitata funzione di individuare la parte che deve risentire delle conseguenze del mancato raggiungimento della prova dei fatti della cui prova è gravata (Cass. 18 aprile 2006, n. 8951 e Cass. 11 maggio 2007, n. 10847).

Nella specie, la permanente pericolosità del muro, tale da giustificare il provvedimento di demolizione è stata ritenuta dalla Corte di merito sulla base dei molteplici elementi acquisiti al processo ed evidenziati in motivazione.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore delle controparti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012
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