Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14658

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con citazione del 23/4/2002 G.A. conveniva in giudizio A.E., C.S., Co.

A., Z.R. e T.A. (comproprietari del terreno oggetto della domanda e proprietari delle case confinanti) e chiedeva la declaratoria di acquisto per usucapione di due porzioni della particella fondiaria 4468/2, di cui era comproprietario, asserendo di averle utilizzate in via esclusiva dal 1977 interrando una cisterna e una caldaia nel sottosuolo di una delle due parti, pavimentandola e utilizzandola per il parcheggio dell’auto e realizzando, nell’altra parte, un deposito di legna con soppalco.

A.E., C.S., Co.An., Z.R. si costituivano e chiedevano il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore a rimuovere tutti gli oggetti e i manufatti abusivamente installati sulla p.f. 4468/2, che intralciavano la circolazione dei comproprietari sull’area comune.

Si costituiva separatamente T.A. che contestava l’avversaria domanda sostenendo che il G. aveva sempre mantenuto condotte prevaricataci, dando luogo a vari contenziosi di cui uno conclusosi con il verbale di conciliazione del 10/11/1995 nel quale egli si era impegnato a lasciare libera da ingombri la particella fondiaria in contestazione.

Il Tribunale di Trento con sentenza del 10/3/2005 rigettava la domanda del G. riconoscendogli solo la servitù di mantenimento del locale interrato ove era ubicata la cisterna e la caldaia e lo condannava a rimuovere ogni altro ostacolo all’uso e alla libera circolazione di tutti i comproprietari.

Il Tribunale rilevava:

che con il verbale di conciliazione del 10/11/1995 tutti i comproprietari, compreso il G., si erano impegnati a lasciare completamente libera l’area per non intralciare le manovre delle autovetture e che questo impegno, redatto prima della scadenza del termine ventennale di usucapione era in contrasto con la pretesa dell’attore di esserne proprietario esclusive – che l’occupazione di parte del terreno con un deposito di legna contrastava con il disposto dell’art. 1102 c.c..

Il G. proponeva appello contestando che il verbale di conciliazione si riferisse all’area in contestazione che, invece, era a suo dire posseduta in modo esclusivo.

I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto dell’appello; la T. proponeva appello incidentale sulle spese chiedendo la condanna del G. anche al pagamento delle spese che il primo giudice aveva compensate.

La Corte di Appello di Trento con sentenza del 12/3/2006 rigettava l’appello e confermava la sentenza appellata rilevando:

– che era documentato e dimostrato che il G. era solito invadere lo spazio comune con auto in sosta e altri ingombri che rendevano difficoltoso l’accesso e il transito per gli altri comproprietari;

– che il medesimo aveva occupato da un decennio uno spazio realizzando un soppalco per il deposito di legna;

che l’utilizzo da parte del G. di alcune parti della particella fondiaria in contestazione non aveva, tuttavia, comportato lo spossessamento degli altri comproprietari, ma solo la violazione dell’art. 1102 c.c. con la realizzazione, negli anni 90 del soppalco per la sistemazione della legna che aveva determinato la radicale impossibilità di transito per gli altri comproprietari; inoltre gli ingombri posti sulla proprietà comune ostacolavano la libera circolazione di mezzi e persone;

che la condotta del G. non era idonea a giustificare l’acquisto per usucapione, non comportando lo spossessamento degli altri comproprietari, anche a prescindere dalla controversa idoneità del verbale di conciliazione a interrompere il possesso ad usucapionem, verbale che, comunque, si riferiva proprio alla particella fondiaria in contestazione e non ad altri terreni e in particolare alla particella edilizia 317 che non era dotata di alcun spazio antistante.

G.A. propone ricorso affidato a nove motivi (la numerazione arriva fino al numero 8 che però è ripetuto due volte).

Resistono con controricorso A.E., C. S., Co.An. e Z.R. che depositano memoria sostanzialmente riproduttiva delle difese già svolte con il controricorso.

Resiste con distinto controricorso anche T.A. che deposita memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’effetto devolutivo dell’appello sostenendo che i motivi di appello riguardavano solo l’efficacia interruttiva dell’usucapione del verbale di conciliazione e la concreta riferibilità del verbale all’area in contestazione piuttosto che ad altra area limitrofa e pertanto al giudice di appello era precluso esaminare se la sua condotta fosse estrinsecazione di un possesso esclusivo o di un compossesso; il giudice di appello avrebbe dovuto pronunciarsi solo sui motivi di gravame e non sull’esistenza di un compossesso piuttosto che di un possesso esclusivo; formula un quesito diretto a stabilire se il giudice di appello debba limitare il proprio esame ai motivi di appello e se possa o meno estenderlo a fatti non oggetto di gravame e già risolti.

1.1. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo si rileva che la sentenza di primo grado, pur ponendo in rilievo che il verbale di conciliazione e era intervenuto prima della scadenza del termine ventennale utile all’usucapione, afferma che l’impegno assunto dai sottoscrittori, di lasciare libera l’area di manovra collideva con la pretesa dell’attore in quanto era venuto meno il presupposto per il possesso esclusivo e non il possesso esclusivo, autorizzando così una interpretazione per la quale il verbale rappresentava non già un atto interruttivo dell’usucapione, ma la dimostrazione dell’insussistenza dell’animus possidendi quale proprietario anzichè quale comproprietario e in tal senso era intesa dallo stesso appellante che con il gravame sosteneva che dalle prove emergeva il suo possesso esclusivo per tutto i tempo dell’usucapione.

E’ comunque assorbente rilevare che non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatur il giudice che fondi la sua decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte, ma che appaiono, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone un necessario antecedente logico e giuridico (cfr.

Cass. 16/1/2002 n. 397; Cass. 11/1/2011 n. 443).

Nel caso di specie lo stesso appellante chiedeva in appello, con le conclusioni di merito, accertarsi l’intervenuta usucapione e pertanto aveva investito il giudice dell’accertamento dei fatti costitutivi dell’usucapione seppur circoscrivendo i motivi di doglianza al profilo dell’efficacia interruttiva del verbale di conciliazione, nè poteva dirsi formato un giudicato interno e, d’altra parte neppure v’è specifica censura di violazione del giudicato interno; in ogni caso il possesso esclusivo è sempre stato contestato dai convenuti che, non essendo soccombenti non erano onerati di appello principale o incidentale su un eventuale implicito riconoscimento di un possesso esclusivo del terreno fino al verbale di conciliazione. Il quesito è inadeguato perchè meramente enunciativo della previsione normativa, presupponendo, inoltre, un accertamento definitivo sull’esclusività del possesso che non sussiste.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e sostiene che, tenuto conto degli interventi sulla zona rivendicata (pavimentazione, interrameno di caldaia, posizionamento di un tavolo e di alcune sedie), non si poteva desumere dalla circostanza che l’occupazione della zona in questione avesse reso più difficoltosa la manovra degli altri comproprietari che l’occupazione non fosse esclusiva e, anzi, si doveva ritenere provato che gli altri comproprietari non potevano invadere la zona occupata da esso ricorrente.

Conclude il motivo individuando il fatto controverso nell’esclusività o meno dell’occupazione dell’area e nello stabilire se solo l’esclusività dell’occupazione poteva precludere o rendere più incomoda la manovra degli altri comproprietari.

2.1 Il motivo è infondato in quanto non evidenzia un vizio di motivazione, ma una mera critica alla valutazione di merito della Corte di Appello che ha escluso il possesso esclusivo dell’intera area in comproprietà e ha attribuito alle parziali occupazioni del G. il significato della violazione del diritto degli altri partecipanti alla cosa comune di farne uso secondo il loro diritto;

la Corte di Appello riconosce che la realizzazione del soppalco per il deposito della legna ha determinato la radicale impossibilità di transito per gli altri comproprietari sulla parte occupata, ma con valutazione di merito non censurabile ha ritenuto che quella occupazione non desse origine ad un autonomo possesso di quella piccola porzione di terreno, ma costituisse abuso del compossesso dell’area comune; ha inoltre rilevato che il soppalco è stato realizzato negli anni 90; pertanto la circostanza della stabile occupazione di quella minima porzione della particella 4468/2 non rileva ai fini del riconoscimento dell’usucapione che comunque non avrebbe potuto realizzarsi neppure per quella porzione di terreno posto che con la domanda riconvenzionale del 21/6/2002 era richiesta la rimozione di ogni manufatto che invadeva la particella 4468/2; nè rileva il parcheggio dell’autovettura o l’occupazione con altri oggetti, posto che, come detto, con valutazione di merito, adeguatamente motivata la Corte territoriale ha ravvisato in tali condotte un impedimento alla scorrevole circolazione e non l’esercizio di un potere esclusivo sul bene.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui afferma che, sulla base del verbale di conciliazione, il G. avrebbe concesso il diritto di manovra alle controparti su un’area oggetto di domanda di usucapione, senza trarre la conclusione che il concedere il diritto di manovra significava esercitare un diritto di signoria; conclude individuando il fatto controverso nel riconoscimento reciproco dell’esistenza di aree di proprietà esclusiva e nell’affermazione da parte del G. di possedere uti dominus.

3.1 Il motivo è inammissibile perchè:

a) non attinge la ratio decidendi della sentenza di appello che prescinde (quanto alla negazione del possesso ad usucapionem) dal verbale di conciliazione invocato;

b) non coglie il senso della valutazione data dalla Corte di Appello al verbale di conciliazione, quale atto con il quale tutti i comproprietari si impegnavano, appunto, a lasciare libera la particella fondiaria 4468/2 e non altre, così implicitamente affermando il potere dispositivo di tutti i comproprietari su quelle particella;

c) manca di specificità in ordine alle ragioni per le quali al verbale dovrebbe essere data una diversa interpretazione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 832, 1140 e 1158 c.c., sostenendo che con il verbale di conciliazione tutti i comproprietari avrebbero riconosciuto l’area in questione solo formalmente in comproprietà, ma in realtà avrebbero riconosciuto come di rispettiva proprietà esclusiva le parti di area antistanti le rispettive abitazioni concedendo su tali aree solo il diritto di manovra e pone il quesito diretto a stabilire se da parte di un comproprietario il considerare un’area solo formalmente in comproprietà, ma invece in proprietà esclusiva nei confronti degli altri proprietari e il concedere loro una limitata facoltà di utilizzo, accettata a titolo obbligatorio costituisca o meno esercizio di un possesso esclusivo, utile ai fini dell’usucapione quale facoltà connessa al diritto di proprietà.

4.1 Anche questo motivo è inammissibile per tre ragioni ciascuna delle quali autonomamente sufficiente:

sia perchè sotto la specie della violazione del legge denuncia un vizio di motivazione nell’interpretazione della sentenza;

sia perchè completamente scollegato rispetto alla ratio deciderteli della sentenza che ha ritenuto che con il verbale di conciliazione i comproprietari si erano impegnati a lasciare libera l’intera area in comproprietà;

– sia perchè del tutto irrilevante rispetto al maturarsi dell’usucapione ventennale, trattandosi di verbale del 1995.

Il quesito non è pertinente rispetto alla situazione di fatto accertata dal giudice di appello che ha escluso un qualsiasi riconoscimento di proprietà esclusiva.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione circa la riferibilità (ritenuta dal giudice di appello) del verbale di conciliazione all’area oggetto di causa.

Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un "macroscopico" difetto di motivazione perchè la Corte territoriale non aveva dato risposta al motivo di appello relativo alla riferibilità del verbale ad altra area, diversa da quella oggetto di causa; inoltre, con l’atto di appello, era stata dedotta e richiesta l’ammissione di prova diretta a dimostrare a quale area si riferisse il verbale di conciliazione e la Corte di Appello non ha motivato sulla mancata ammissione pur trattandosi di istanza ammissibile perchè prova indispensabile ai fini della decisione.

5.1 Il motivo è inammissibile in quanto, per le ragioni già esposte, il verbale di conciliazione non è stato ritenuto rilevante per la decisione dalla Corte di appello, che ha fondato la sua decisione sull’inesistenza di un possesso esclusivo utile per l’usucapione; ne discende l’inammissibilità del motivo in quanto la motivazione censurata non attiene ad un fatto decisivo per il giudizio; solo per completezza di motivazione si osserva che la Corte di Appello a pag. 11 della sentenza aveva rilevato che il verbale di conciliazione non si poteva riferire agli spazi antistanti le rispettive proprietà perchè la particella 317 (di proprietà del G.) non aveva alcun spazio antistante.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in merito alla condanna al pagamento delle spese nei confronti dell’appellata T. la quale era rimasta soccombente quanto al suo appello incidentale sulla compensazione delle spese del giudizio di primo grado e pertanto il giudice di appello avrebbe dovuto motivare per quale ragione le spese, malgrado la reciproca soccombenza, erano poste a carico dell’appellante principale.

7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 per la condanna al pagamento integrale delle spese processuali malgrado la soccombenza reciproca e pone il quesito diretto a stabilire se in caso di soccombenza reciproca sussista il diritto alla compensazione quanto meno parziale e l’obbligo di motivazione in caso di diversa decisione.

8. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono all’unitaria censura (per vizio di motivazione e violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2) della statuizione con la quale l’appellante principale è stato condannato all’integrale pagamento delle spese del grado senza che fosse operata una compensazione, neppure parziale nei confronti dell’appellante incidentale pure soccombente. I motivi sono infondati.

Per giurisprudenza ampiamente consolidata, in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del Giudice di merito, insindacabile in questa sede, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (v., per tutte, Cass. n. 11537/02; Cass. n. 13229/011).

Inoltre, l’individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass. 27/11/2006 n. 25141; Cass. 30/3/2010 n. 7625).

Ciò premesso, il giudice di appello ha condannato il G. al pagamento delle spese del grado in quanto soccombente e pertanto la motivazione sussiste, nè era necessario motivare ulteriormente con riferimento al mancato accoglimento dell’appello incidentale sulle spese del primo grado proposto dalla T. e all’incidenza sul regolamento delle spese processuali, stante l’evidente irrilevanza del suo appello rispetto alla causa della lite, alla causa del suo protrarsi o anche alla solo incidenza di tale appello sulle attività processuali svolte.

Occorre, in conclusione, riaffermare i principi secondo i quali:

a) in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. 15/7/2005 n. 14989; Cass. 23/2/2012 n. 2730);

b) in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 11537/02 cit.;

Cass. n. 13229/011 cit.).

9. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione alla modalità del possesso e la falsa ed erronea applicazione dell’art. 1102 c.c. sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione che, da un lato, riconosce che la stabile occupazione dell’area impedisce il pari utilizzo dei comproprietari e, dall’altro, disconosce che quella stessa stabile occupazione costituisca un possesso esclusivo.

9.1 Questo motivo è sovrapponibile al secondo motivo sviluppando analoga critica alla sentenza impugnata ed è parimenti inammissibile per le stesse ragioni già esposte al precedente punto 2.1, in quanto non attinge la complessiva ratio decidendi della sentenza, per la quale l’intera area di cui alla particella fondiaria 4468/2 era oggetto di compossesso del quale aveva abusato il G. creando ostacoli al libero transito dei comproprietari parcheggiando auto, collocandovi cose (condotte di per sè non incompatibili con un compossesso) e installando un soppalco (installazione peraltro non ultraventennale) e riconducendo, quindi, le sue condotte, non già all’esercizio di un possesso esclusivo, ma all’abuso del comproprietario che non comporta di per sè un mutamento del titolo del compossesso.

10. Con il nono motivo (ma numerato sempre con il numero 8) il ricorrente deduce l’omessa motivazione circa la decorrenza del ventennio utile all’usucapione, non individuata dal giudice di appello, malgrado specifico motivo di appello.

10.1 il motivo è inammissibile in quanto la decorrenza è circostanza ininfluente perchè è stato escluso il possesso esclusivo utile all’usucapione e accertato un semplice compossesso, quale comproprietario.

11. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare ai controricorrenti le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge a favore della parte controricorrente nelle persone di A.E., C.S., Co.

A. e Z.R. e in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge a favore della parte controricorrente nella persona di T.A..

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012
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