Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 25-06-2013, n. 27748

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 22 febbraio 2011, depositata in cancelleria il 3 marzo 2011, il Giudice di Pace di Prato dichiarava G.C.X., colpevole del reato a lui ascritto (D.Lgs. n. 236 del 1998, art. 10 bis) e lo condannava alla pena di Euro 3.500 di ammenda.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata G.C.X., risultava a un controllo istituzionale effettuato in (OMISSIS) aver fatto ingresso irregolare nel territorio nazionale soggiornandovi illegalmente essendo privo della documentazione necessaria.

2. – Avverso il citato provvedimento, è insorto tempestivamente il Procuratore Generale territoriale chiedendone l’annullamento per violazione di legge.

In particolare è stato rilevato dal ricorrente che, per contrasto con la direttiva Europea 11/2008, il reato contestato al prevenuto non è previsto dalla legge come reato.

In subordine veniva chiesto che fosse formulata domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europa circa la compatibilità della contravvenzione in questione con la direttiva 2008/11S/CE. In ulteriore subordine che fosse annullata la sentenza per nuovo esame davanti ad altro giudice di pace dello stesso ufficio.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso non è fondato e deve essere respinto.

3.1 – La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis – ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una "condizione personale e sociale" – quella, cioè, di straniero "clandestino" (o, più propriamente, "irregolare") – e non criminalizza un "modo di essere" della persona.

Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal "fare ingresso" e dal "trattenersi" nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.

Si è quindi di fronte, rispettivamente, a una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.

La condizione di "clandestinità" è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto e la rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene "strumentale", per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici "finali" di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di "categoria", capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.

Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la compatibilità della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del art. 10 bis con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.

Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’ari. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico di M.S..

Ed è appena il caso di ricordate che già questa Corte aveva statuito che "la fattispecie contravvenzionale prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la cd. direttiva Europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato" – Sez. 1, 22 novembre 2011, n. 951, Gueye, rv. 251671.

Nel caso di specie quindi il giudice di pace che ha inflitto la sanzione pecuniaria, senza disporre espulsione, ha applicato correttamente la normativa vigente, in relazione a una condotta che è ancora prevista come reato.

Non rileva in questa sede quanto dedotto in ordine alla possibilità che venga disposta la conversione della pena pecuniaria con l’espulsione in sede di esecuzione, atteso che, all’evidenza, il giudice dell’esecuzione potrà operare la necessaria valutazione in ordine alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti dell’espulsione secondo le indicazioni della direttiva e la disciplina nazionale novellata.

Quanto all’ultimo rilievo, deve evidenziarsi che le disposizioni di cui all’art. 10 bis, comma 4 non prevede per il giudice l’onere di verifica re l’eventuale espulsione e respingimento del prefato, cosi come assume il PG ricorrente.

Non si ravvisa infine alcun fondamento per investire della questione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ritenendo altresì manifestamente infondata la rilevata questione di costituzionalità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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