Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14656

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Svolgimento del processo

Con testamento olografo del 10 agosto 1965 B.E. (deceduto in data (OMISSIS)) nominava quale erede universale il figlio B.A., disponendo a favore delle figlie C. e M.C. un legato in sostituzione di legittima dell’importo di L. 20.000.000 per ciascuna. Sono sorte tra gli eredi alcune controversie, tuttavia, con scrittura privata dell’8 febbraio 1969 A., C. e B.M.C. raggiungevano un accordo amichevole in ordine ai reciproci diritti sull’eredità del padre. In particolare, C. e M.C. rinunciavano ad ogni diritto o pretesa ereditaria a fronte del versamento da parte del fratello della somma onnicomprensiva di lire 25.000.000 per ciascuna. Trascorsi trent’anni dalla morte del sig. B. le attrici che mai prima avevano dubitato dell’autenticità delle disposizioni testamentarie del padre così come loro mostrato dal fratello, venivano casualmente informate da alcune congiunte che il testamento era apografo. Incaricata la prof.ssa C.I. di esaminare il testamento la stessa, con perizia asseverata del 25 marzo 1999, certificava che il testamento era apografo. In conseguenza di ciò le sig.re B., con atto di citazione del 22 giugno 2000 convenivano davanti al Tribunale di Busto Arsizio il fratello A. chiedendo che accertata l’inesistenza, la nullità o invalidità del testamento per falsità venisse annullata la transazione intervenuta tra le parti e accertata la loro qualità di eredi legittime, il convenuto venisse condannato a restituire previa divisione la quota dei 2/3 dei beni o il loro valore, nonchè i frutti percepiti, dedotte le somme dalle stesse ricevute, e il risarcimento danni. Si costituiva il convenuto, il quale contestava integralmente le ragioni avanzate dalle attrici eccependo l’indeterminatezza delle domande, la prescrizione delle azioni eserciate, l’intervenuta usucapione dei beni richiesti in restituzione, la carenza di legittimazione attiva e/o di interesse ad agire.

Il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 46 del 2003 rigettava le domande proposte dalle attrici, dichiarando la prescrizione dell’azione di annullamento della transazione intercorsa tra le parti in data 8 febbraio 1996, ai sensi dell’art. 1442 c.c.. Il Tribunale segnalava altresì, che l’ampia articolazione delle reciproche rinunzie e concessioni transattive avrebbero dimostrato come quel contratto di transazione non fosse fondato sul presupposto della genuinità del testamento.

Avverso tale sentenza interponevano appello B.C. e M., C., chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio ed accertata l’inesistenza, nullità o invalidità del testamento per falsità, annullare, ai sensi dell’art. 1973 la transazione intervenuta tra le parti, e accertata la loro qualità di eredi legittime, condannare B.A. a restituire i 2/3 dell’eredità paterna o, in subordine, il loro valore nonchè i frutti percepiti.

Si costituiva B.A., al cui decesso subentrava l’unica erede B.D., segnalando che, oltre quell’unica scrittura transattiva il cui annullamento era stato invocato in giudizio, le parti avevano sottoscritto altri quattro accordi da soli sufficienti a regolare i loro rapporti.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2330 del 2005 rigettava l’appello principale e sia l’appello incidentale e per l’effetto confermava la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio. A fondamento di questa decisione la Corte milanese osservava: a) che l’azione di annullamento della transazione ex art. 1973 cod. civ. si prescrive in cinque anni dalla scoperta dell’errore o del dolo di controparte anche quando il documento falso in tesi presupposto sia costituito da un olografo. B) la prova della data infraquinquennale della scoperta della causa dia annullabilità spettava all’attore che doveva essere tale da escludere ogni precedente attendibile cognizione del falso.

La cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano è stata chiesta da B.C. con ricorso affidato a due motivi. B.D. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.= Con il primo motivo B.C. lamenta l’erronea applicazione dell’art. 1792 e 1793 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di Appello di Milano, secondo la ricorrente nell’aver escluso che la prescrizione dell’azione di annullamento della transazione basata su documento falso decorresse soltanto dall’avvenuto accertamento di detta falsità, preferibilmente con sentenza definitiva, o per unanime riconoscimento degli interessati perchè la mancanza di accertamento mediante sentenza della falsità di un documento è un impedimento de iure, rilevante ai sensi dell’art. 1935 c.c. all’esercizio del diritto ed opera come causa di sospensione della prescrizione.

Piuttosto, ritiene la ricorrente poichè fino ad oggi non è mai stata accertata giudizialmente la falsità del documento l’azione di cui all’art. 1973 c.c. non è prescritta posto che non è neppure iniziato a decorrere il relativo termine quinquennale.

1.1.= Il motivo è fondato e va accolto per le ragioni di cui si dirà.

1.1.a)= E’ appena il caso di osservare che, ai sensi dell’art. 1973 c.c. è annullabile la transazione che sia stata perfezionata, in tutto o in parte, sulla scorta di documenti che in seguito sono stati riconosciuti falsi. Come ritiene la dottrina prevalente la norma di cui all’art. 1973 cod. civ. disciplina: a) o, una specifica ipotesi di errore che attiene alla ritenuta veridicità di un documento che della transazione deve ritenersi necessario presupposto (anche non in via esclusiva); b) o un’ipotesi di dolo, nel caso in cui la falsità del documento sia conosciuta da una delle parti. In quest’ultima ipotesi il problema è quello della sufficienza della mera omissione ai fini del dolo. Se alla questione si da risposta negativa (almeno ogni qualvolta non emerge un obbligo specifico di informativa) potrà dirsi sussistere dolo negoziale nella sola ipotesi in cui alla conoscenza della situazione si affianchi l’occultamento della falsità documentale finalizzata a far cadere in errore l’altra parte, la quale si determina alla conclusione della transazione. In entrambe le ipotesi, comunque, è dato alla parte caduta in errore (poichè credeva di transigere relativamente ad un rapporto regolato da un titolo genuino, mentre poi lo si scopre falso), il rimedio dell’azione di annullamento.

1.1.a).= Epperò, appare equivoca e non facilmente intellegibile, l’espressione di cui alla norma in esame "documenti che in seguito sono stati riconosciuti falsi", perchè non indica con chiarezza se la falsità del documento debba risultare accertata giudizialmente o sia sufficiente che la parte caduta in errore o abbia subito il raggiro, sia venuta a conoscenza della possibile falsità del documento. Tuttavia, appare ragionevole ritenere che il riconoscimento della falsità precede la scoperta da parte del soggetto interessato di essere caduto in errore, ovvero, di essere stato raggirato. In altri termini, non basterà ritenere secondo un personale convincimento o giudizio che un documento presupposto della transazione sia falsò per esperire, utilmente, l’azione di annullamento del contratto di transazione. Piuttosto, sarà necessario – come ritiene autorevole dottrina che la falsità del documento sia stata accertata giudizialmente, eventualmente anche in via incidentale, oppure sia stata confessata o che sussista una prova non contestata, perchè solo in queste ipotesi la falsità del documento fa conoscere alla parte interessata di esser caduta in errore o di essere stata raggirata. A ben vedere l’errore o il dolo, di cui si dice, non è la falsità del documento ma dipende dalla falsità e ovviamente, non può dipendere da una falsità presupposta esistente, ma da una falsità certa e incontrovertibile, cioè accertata. Nè è pensabile che il dubbio sulla falsità del documento di cui si dice, possa essere equiparato all’effettiva conoscenza della falsità perchè la falsità di un documento, soprattutto se trattasi di un testamento olografo, non è manifesta ictu oculi.

1.1.b).= Sul piano assiologico-pratico queste osservazioni comportano di ritenere che il termine dei cinque anni entro il quale si prescrive l’azione volta ad ottenere l’annullamento della transazione, ex art. 1973 c.c., inizia a decorrere dal giorno in cui la falsità sia stata accertata o trova un riscontro in una prova non contestata. Insomma, la mancanza di accertamento della falsità mediante sentenza o prova certa di falsità del testamento integra gli estremi di un impedimento de iure, rilevante ai sensi dell’art. 1935 c.c. all’esercizio del diritto ed opera come causa di sospensione della prescrizione.

Ora, nel caso in esame, avendo B.C. e M.C. accertato con perizia asseverata del 25 marzo 1999 che il testamento oggetto di controversia era apocrafo, il termine prescrizionale per la proposizione della domanda di annullamento del contratto di transazione per falsità del testamento non poteva che decorrere dalla data della perizia, ritenendo che la stessa integrasse gli estremi di una prova della falsità e, se si vuole, consentiva di scoprire l’errore in cui le interessate erano cadute o il raggiro che avevano subito.

1.1.c.)= Sicchè, la Corte milanese non avrebbe dovuto – come invece ha fatto – ritenere che il termine iniziale per il decorso dei cinque anni quale termine per intentare l’azione di annullamento decorresse da quando era emersa, quale che fosse il modo e la forma dell’emersione, la falsità del testamento olografo e, quindi, il vizio del consenso, senza specificare o accertare la certezza di quella emersione e, comunque, avrebbe dovuto accertare – e non sembra lo abbia fatto – se la falsità del testamento olografo oggetto di controversia risultasse da una prova non contestata, ovvero fosse stata accertata, sia pure incidentalmente, in un giudizio.

2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione sulle risultanze istruttorie in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Milano, secondo la ricorrente, nella valutazione delle prove dirette ad accertare da quanto tempo o da quanto le originarie attrici avevano avuto consapevolezza in ordine alla falsità del testamento olografo oggetto della controversia.

2.1.= Il presente motivo rimane assorbito dal primo e, comunque, l’accoglimento del primo motivo priva di utilità giuridica l’esame di questo secondo motivo.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza va cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Milano anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012

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