Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14655

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
B.M. e C.P. con atto di citazione del 7-14 dicembre 2000, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Tortona, M.C., M.R. e L.D.P. chiedendo l’accertamento dell’invalidità del testamento olografo di C. E.O. per incapacità a testare della de cuius rilevante ai sensi dell’art. 591 siccome accertata invalida civile al 100% per encefalopatia vasculoartrofica con demenza a parkinsonismo, incontinenza e miocardiosclerosi con la conseguente apertura della successione legittima in favore degli attori, nonchè la nullità ed eventuale.
Inefficacia degli atti dispositivi compiuti dai convenuti ed aventi ad oggetto seni immobili facenti parte della successione e là condanna degli stessi alla restituzione dei frutti eventualmente percepiti. Veniva chiarito che, con il testamento di cui si dice, la de cuius lasciava a titolo di prelegato a M.C. e a M. R. la nuda casa in (OMISSIS) e, soltanto, al secondo il terreno in (OMISSIS) su cui era installato un distributore di carburante Agip e alla Chiesa parrocchiale di (OMISSIS), la somma disponibile di L. 10.000.000 in titoli, li aveva istituiti eredi universali in parti uguali del restante patrimonio costituivano in giudizio M.C. e M.R. e anche Don P. L., eccependo la piena capacità della testatrice contestando le domande avversarie di cui chiedevano il rigetto perchè infondate.
Il Tribunale di Tortona riteneva infondata la domanda degli attori e, pertanto respingeva la loro domanda, condannando gli stessi alla refuzione delle spese giudiziali.
Avverso tale sentenza proponevano appello B. (o B.) M. e C.P. denunciando l’erroneità della sentenza per aver posto a suo esclusivo fondamento le risultanze della CTU pure inficiata da rilevanti contraddizioni:
per l’omissione degli aspetti contenutistici e grafici della scheda testamentaria, per la particolare proprietà quando non, addirittura, tecnicismo del linguaggio usato nella redazione del testamento verosimilmente da persona diversa, più colta ed esperta, della materia della testatrice.
Si costituivano gli appellati, eccependo l’infondatezza dell’appello.
La Corte di appello di Torino con sentenza n. 164 del 2006, accoglieva l’appello e annullava il testamento olografo di C. E.O., con la conseguente nullità di ogni atto di disposizione dei beni ereditari, compiuto in base ad esso. A sostegno di questa decisione, la Corte torinese osservava che il Tribunale a) aveva accolto la CTU in modo sostanzialmente acritico, invero, censurabile per avere ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria, b) aveva assunto irritualmente dichiarazioni di terzi al di fuori del contraddittorio volte ad evidenziare la percezione delle capacità di intendere e di volere della testatrice, con evidente sconfinamento nell’ambito dellÂ~’acquisizione delle prove. Piuttosto, alla luce del quadro probatorio la Corte torinese riteneva che C.E. già all’epoca della redazione del lento, fosse incapace di intendere e di volete con la conseguente esclusione della sua capacità di testare ai sensi dell’art. 591 c.p.c., comma 2, n. 3.
La cassazione della sentenza della Corte torinese è stata chiesta da M.C. e da M.R. con ricorso affidato a sei motivi, illustrati con memoria. B.M. e C.P. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo, C. e M.R. lamentano la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di attività espletabili dal consulente d’ufficio (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 194 c.p.c.). Avrebbe errato la Corte torinese nel disattendere totalmente le risultanze della CTU e soprattutto nel ritenere irrituali, e, dunque, espunte dal novero degli indizi a disposizione per la composizione del giudizio, le dichiarazioni di terzi acquisiti dal CTU e riportati nella relazione peritale, epperò l’art. 194 c.p.c. prevede che il CTU sia autorizzato a domandare chiarimenti alle parti ed assumere informazioni da terzi. In ragione di ciò e ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il ricorrente formula il seguente quesito di diritto:
"Dica la Suprema Corte se ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 1 il consulente tecnico d’ufficio può assumere informazioni di terzi e se queste informazioni possono essere utilizzate dal giudice per la formazione del proprio convincimento".
1.1.= La censura è infondata e non può essere accolta perchè le dichiarazioni dei terzi di cui si dice non indicavano dati medico legali, di natura clinica o diagnostica, quali presupposti necessari per rispondere ai quesiti posti al perito, ma riferivano della percezione delle condizioni di capacità di intendere e di volere della testatrice.
Pertanto, l’acquisizione di quelle dichiarazioni riportate nella relazione peritale – non rientrava nel compito, o, comunque, quelle dichiarazioni non erano necessarie per l’espletamento del compito, specifico che il Giudice aveva affidato al ctu.
1.1.a) Va qui osservato che il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 1, assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai predetti limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, sia pure indiziario.
1.1.b).= Tuttavia, è bene chiarire che la Corte torinese ha disatteso le risultanze della CTU, nonchè le dichiarazioni dei terzi riportate nella relazione peritale (non solo perchè acquisite irritualmente ma), soprattutto per l’inequivoca documentazione medica esistente agli atti processuali dalla quale risultava che C. E., già all’epoca di redazione del testamento impugnato, era incapace di intendere e di volere.
motivazione circa un atto controverso"e decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte espunto dalle rilevanze istruttorie rilevanti elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione. La Corte torinese, secondo i ricorrenti, avrebbe totalmente omesso nel proprio iter logico giuridico, quanto meno per confutarle, tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui ha dato rilievo per addivenire all’accertamento dell’incapacità della testatrice epperò l’esame di quelle risultanze, riportate dalla stessa CTU, compreso l’esame della CTU, avrebbe potuto con ragionevole certezza ribaltare l’esito del processo logico compiuto dalla Corte. Ad ogni buon conto ritengono i ricorrenti la sentenza impugnata presenta un vizio di motivazione per aver omesso di considerare tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui ha dato rilievo senza aver offerto alcuna spiegazione.
B) con il terzo motivo: l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte dedotto, da allegazioni di parte attestanti un’asserita demenza senile della testatrice 11 giorni prima della compilazione della scheda testamentaria, la prova della incapacità a testare rilevanti ex art. 591 c.c., comma 2, n. 3, nonchè per avere omesso ogni confutazione della contrapposta analisi del CTU. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe desunto la sussistenza dell’incapacità naturale della signora C. dalla relazione del Pronto soccorso del (OMISSIS) e dalla certificazione della dott.ssa P. dell'(OMISSIS) e dalla successiva riepilogativa del (OMISSIS) richiesta dagli attori, ma senza considerare che la relazione del Pronto soccorso conteneva elementi probatori discordanti; la certificazione della dott.ssa P. non era supportata da referti o esami cimici neurologici. E, di più, la Corte torinese – specificano i ricorrenti – avrebbe ritenuto esatta la certificazione della dott.ssa P. malgrado il "contrario e motivato parere del CTU senza indicare in alcun modole motivazioni per cui ha ritenuto di discostarsi dal parere tecnico.
2.1 = Entrambe le censure vanno esaminate congiuntamente per l’innegabile connessione che esiste tra le stesse, ed entrambe sono infondate.
La sentenza impugnata contiene una motivazione attenta, ponderata, logica e convincente fondata su prova documentale e su specifici dati diagnostici di portata incontrovertibile, essendo documentati dal primario neurologica di (OMISSIS), dello stesso Pronto soccorso dello stesso ospedale, nonchè dalla dott.ssa P. specialista in neurologia. La Corte torinese ha anche indicato le ragioni per cui disattendeva le risultanze della CTU laddove ha affermato che la relazione del Ctu medico-legale, era censurabile per aver ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici puntualmente e gravemente concludenti in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria impugnata sulla base di un’apodittica valutazione della "capacità della paziente di svolgere calcoli anche complessi" senza per altro indicare la fonte di un tale elemento di così fermo convincimento.
3.= Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte erroneamente ricostruito il fatto storico complesso dello stato d’incapacità della testatrice acquisendo dagli atti del giudizio indizi inesistenti contrarie ad altre risultanze processuali. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe affermato l’incapacità naturale della testatrice seguendo un iter logico giuridico del tutto illogico, considerato che per dimostrare la sussistenza" della demenza senile della signora C. nel dicembre 1998 la Corte di merito sarebbe partita da una diagnosi di depressione di 13 anni prima, collegando poi tale patologia: a) all’accertamento di agitazione psicomotoria eseguito dal Pronto soccorso tredici anni dopo, l’11 dicembre 1998 e b) ad un’attestazione medica del dott. Prof. T. non collocabile, peraltro, temporalmente tra il 1985 e il 1998.
In verità, sempre secondo i ricorrenti, la Corte torinese non avrebbe potuto attribuire rilevanza ad un unico sporadico episodio di ricovero al Pronto soccorso della testatrice, ritenuto invece rilevante perchè inserito nell’eziologia della malattia.
3.1 Anche questo motivo è infondato e non può essere accolto non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuoa e diversa valutazione delle risultanze istruttorie non proponibile al Giudice di legittimità, ma, soprattutto, perchè il ragionamento seguito dalla Corte torinese è condivisibile essendo coerente con i dati diagnostici acquisiti agli atti del processo e, comunque, privo di carenze sul piano logico giuridico.
3.1.a).= A bene vedere la Corte di merito ha attestato: a) che risultava documentalmente provato che già nel 1985 la signora C. era interessata da una condizione di depressione endogena inibita a sfondo ipocondriaco farmacologicamente trattata, b) che era provato che a tale quadro clinico si era sovrapposto un quadro paranoideo con delirio di persecuzione abbastanza strutturato alimentato da uno stato ansioso e di natura esistenziale; c) che tale condizione era andata progressivamente peggiorando fino a giustificare il suo accompagnamento al pronto soccorso per stato di agitazione psicomotoria a seguito di episodi di disorientamento spazio temporale e con difficoltà all’autonoma gestione delle occupazioni quotidiane; e) che l’11 dicembre 1998 era stata fatta una diagnosi di disturbi del comportamento e manifestazioni incongrue, di reattività e di rivendicazione nei confronti dell’ambiente con perdita evidente di capacità di giudizio e di critica e con necessità di assistenza e spesso di intervento esterno per lo svolgimento di compiti e mansioni quotidiani.
Pertanto, queste condizioni psico fisiche della signora C. non potevano lasciare dubbi sulla incapacità di intendere e di volere della stessa. Ne risulta che gli attuali ricorrenti abbiano offerto una rigorosa dimostrazione che la signora C., nel momento in cui stava redigendo la scheda testamentaria avesse recuperato una piena capacità di intendere e di volere.
4 = con il quinto motivo (erroneamente contrassegnato come settimo) i ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte sotteso alla propria decisione il rilievo che la testatrice ha scritto di suo pugno la scheda testamentaria nonostante avesse accertato che fosse priva dalla capacità di intendere e di volere e incapace di attendere alle banali attività quotidiane.
Secondo i ricorrenti lo stato di incapacità di intendere e di volere sarebbe inconciliabile con la capacità della testatrice, affermata dalla Corte torinese, di essere in grado di scrivere. Il procedimento logico seguito dalla Corte, sempre secondo i ricorrenti, consisterebbe nel fallace sillogismo secondo cui: 1) premessa la perdita della capacità di badare a se stessi e di avere necessità di assistenza per svolgere le mansioni quotidiane; 2) considerato che il testamento era stato vergato di pugno dalla stessa testatrice il 22 dicembre 1998; 3) ne conseguiva che la testatrice, il giorno 22 dicembre 1998, era incapace di intendere e di volere.
4.1.= Anche questo motivo al pari degli altri è infondato e non può essere accolto non solo perchè anche questa censura si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile al giudice di legittimità, ma, soprattutto perchè la Corte torinese ha adeguatamente spiegato che la conclusione cui era pervenuta – un’accertata incapacità di intendere e di volere della testatrice – trovava conferma dall’analisi della tecnica di redazione del testamento da cui emergeva che la tecnica di redazione appariva incompatibile con lo stato psicofisico emergente dalla documentazione medica, così come la sapiente selezione di una corretta terminologia giuridica – appariva incompatibile con le capacità grafiche e – soprattutto ortografiche della de cuius.
Dall’analisi della tecnica di redazione del testamento la Corte pertanto, ha ragionevolmente presunto che il testamento fosse redatto verosimilmente sotto dettatura di terzi.
6.= Con il sesto motivo (erroneamente contrassegnato come ottavo) i ricorrenti lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte desunto da una allegazione difensiva attestante una condizione di demenza senile e dalla incerta imputabilità del contenuto della scheda testamentaria alla testatrice (attesa la presenza di una terminologia tecnica presuntivamente non conoscibile da una persona con un modesto livello di scolarizzazione) lo stato di incapacità di intendere e di volere rilevante ex art. 591 c.p.c., comma 2, n. 3 in quanto del tutto privo del riscontro di massime di esperienza. Secondo i ricorrenti la Corte tornese allorchè afferma che la incerta riferibilità della terminologia tecnica alla de cuius sarebbe indice certo di una incapacità a testare in soggetto affetto da demenza senile, compierebbe un ragionamento del tutto privo di riferimenti a massime di esperienza nonchè a nozioni di scienza medica. La Corte di merito avrebbe dovuto secondo i ricorrenti specificare a quale nozione della scienza medica abbia fatto riferimento ovvero a quale percorso logico deduttivo sintetizzabile in massime di esperienza si sia avvalsa per pervenire all’accertamento dei fatti posti alla base della decisione.
E, poichè avrebbe omesso ogni indicazione al riguardo la motivazione si manifesterebbe insufficiente.
5.1= Anche questa censura non ha ragione d’essere per quelle stesse ragioni che sono state indicate esaminando gli altri motivi ed in particolare il quinto motivo da cui viene assorbito.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati, in solido al pagamento delle spese giudiziali che, verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012

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