Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-08-2012, n. 14652

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4/15-9-1978 B.L., nella qualità di procuratore generale di P.G.E., Pa.Ma. e P.G. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Campobasso P.L., germano degli attori, C.E., coniuge superstite del germano premorto I. P., nonchè i figli di quest’ultimo P.N. (nato a (OMISSIS)), P.A., P.D., P.R. e P.M.R. chiedendo, previa riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive delle quote di legittima spettanti agli attori, la divisione delle eredità dei genitori R.M., deceduta il (OMISSIS), e P.A.N., deceduto il (OMISSIS), e la condanna dei convenuti al rendimento conti per i frutti percepiti e percipiendi.

Costituendosi in giudizio P.N. non si opponeva alla domanda di divisione.

Successivamente veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri soggetti che erano risultati comproprietari dei vari cespiti ereditati insieme ad A.N. P..

Con sentenza non definitiva del 2-12-1999 il Tribunale adito rigettava la domanda di riduzione, dichiarava inammissibili nei confronti della C. l’azione di riduzione e di divisione ereditaria nonchè l’azione di divisione nei confronti di tutti i soggetti chiamati in causa in seguito all’ordine di integrazione del contraddittorio, e con separata ordinanza disponeva per il prosieguo del giudizio.

Interrottosi per la morte di P.G.E., il processo era riassunto anche nei confronti del suo successore universale S.A.; deceduto anche quest’ultimo la riassunzione del processo avveniva nei confronti delle eredi S.M., S. S., S.R. e S.L., le quali con atto pubblico dell’8-4-2003 donavano a Pa.Ma. e G. P. i diritti del dante causa P.G.E. sulle eredità di R.M. e di P.A.N.; N. P. inoltre si costituiva nel giudizio riassunto anche quale procuratore speciale degli eredi di P.L., deceduto nelle more.

Dopo che il giudice istruttore con ordinanza del 30-4-2003 aveva attribuito definitivamente a P.N., M.R. P. e P.R. i beni di cui ai lotti 1-2-4-7 ed 8 di cui all’ordinanza di vendita del 9-11-2001, il Tribunale di Campobasso con sentenza dell’8-7-2004 dichiarava aperte le successioni di R.M. e di P.A.N., attribuiva ai condividenti i diversi lotti predisposti dal CTU, determinava i relativi conguagli e, per quel che interessa in questa sede, relativamente alle eredità di R.M. e di A. P.N., condannava P.N., P.R., P.M.R. ed P.A. al pagamento in favore di Pa.Ma. e di P.G., a titolo di restituzione frutti, di determinate somme.

Proposto gravame da parte di P.N., in proprio e nella qualità di procuratore speciale di Pi.Te., P. A., P.E., P.G., P.N. (nato il (OMISSIS)), P.B., P.O., P.C., P.R. e Pa.Lu., nonchè da parte di P.A., P.R. e M.R. P., quest’ultima anche quale procuratrice della germana P.D., cui resistevano Pa.Ma. e G. P., la Corte di Appello di Campobasso con sentenza del 20-12- 2005 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da N. P. quale procuratore speciale di P.T., P.A., P.G. e P.N. (nato il (OMISSIS)), ed ha rigettato l’appello proposto dallo stesso N. P., in proprio e quale procuratore speciale di P. B., P.O., P.R., P.C. e Pa.Lu., nonchè da P.A., P.R. e P.M.R., in proprio e quale procuratrice generale di P.D..

Per la cassazione di tale sentenza P.N., P. A., P.R. e P.M.R. hanno proposto un ricorso articolato in sei motivi cui Pa.Ma. e P.G. hanno resistito con controricorso; R. S., S.M. e S.S. non hanno svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., dell’art. 565 c.c. (nella formulazione antecedente alla L 19 maggio 1975, n. 151), 723, 1102 e 1146 c.c. nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto come fatto incontestato il possesso ed il godimento da parte degli esponenti dei cespiti cui era correlata l’obbligazione di restituzione dei frutti; invero in tal modo non sono stati considerati il diritto autonomo di usufrutto della C., vedova di P.I., e quello di proprietà di P.N., quest’ultimo preesistente per delazione testamentaria della quota di 1/2 dell’abitazione di (OMISSIS); la successione poi nel possesso degli altri beni ereditari costituiva un ordinario effetto della successione "mortis causa"; nè d’altra parte le controparti avevano mai proposto una domanda di accertamento del compimento, da parte dei convenuti, di atti di mutamento del titolo di compossesso in possesso esclusivo con la volontà di escludere gli altri coeredi.

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e difetto di motivazione, sostengono anzitutto che non sussistevano i presupposti per ritenere incontestati i fatti di causa; inoltre essi affermano che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, gli esponenti non avevano affatto ammesso di aver posseduto in via esclusiva i beni ereditari; infatti già nelle deduzioni scritte del 27-10-1986 l’avvocato T.P. per conto della C., di A. B., di R., di D. e P.M.R., a seguito della chiamata in causa di altre stirpi P., nell’escludere che sui beni relitti potessero vantare diritti terzi appartenenti ad ulteriori stirpi, aveva dedotto un possesso ultracinquantennale dei cespiti relitti riferito a tutte e cinque le stirpi discendenti da R.M. ed P.A.N..

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La sentenza impugnata ha affermato che si era formato il giudicato sulle questioni relative alla ricognizione dei beni caduti in successione, alla individuazione degli eredi, alla determinazione delle quote di spettanza ed alle assegnazioni dei beni con i relativi conguagli (e quindi anche all’incidenza dell’usufrutto in favore della C. nonchè alla appartenenza dei beni alle comunioni ereditarie), ed ha aggiunto che soltanto nelle memorie conclusionali gli appellanti avevano contestato il fatto incontroverso del godimento dei cespiti cui era correlata l’obbligazione restitutoria dei frutti, fatto anzi ammesso sia in occasione delle operazioni peritali sia all’udienza del 19-4-1996, in cui i convenuti avevano dedotto e riconosciuto che la "cura e la gestione dell’intero compendio" era rimasta affidata agli eredi di P.I., ai quali gli altri eredi non avevano mai rivolto alcuna richiesta; da tali circostanze quindi la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’obbligo di rendiconto della gestione dei beni e, previa detrazione delle spese, di quello alla restituzione dei frutti agli altri coeredi nei limiti delle quote di spettanza.

Pertanto il giudice di appello correttamente ha ricondotto l’obbligo di rendiconto dei frutti non già ad una interversione del compossesso dei beni ereditari in possesso esclusivo, bensì al godimento esclusivo dei beni stessi da parte degli eredi di I. P., posto che detto obbligo non discende dal possesso, ma appunto dall’utilizzazione e dal godimento in via esclusiva di essi;

in proposito è stato ritenuto che in tema di divisione immobiliare il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione"prova quota" del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia (Cass. 6-4-2011 n. 7881).

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 61-62-191 e 194 c.p.c. e vizio di motivazione, rilevano che non è stato considerato che la questione relativa al possesso asseritamente esclusivo dei beni ereditari da parte degli esponenti era stata surrettiziamente introdotta dal CTU ingegner D.G. travalicando i limiti dei quesiti conferitigli;

in ogni caso la CTU non può costituire mezzo di prova, per cui erroneamente la Corte territoriale ha affermato che la circostanza relativa al preteso possesso esclusivo dei beni ereditari da parte dei convenuti era stata ammessa in occasione delle operazioni peritali.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo è sufficiente richiamare le precedenti argomentazioni espresse in sede di esame del primo e del secondo motivo di ricorso in ordine alla irrilevanza, nell’ambito dell’"iter" argomentativo seguito dal giudice di appello, di una interversione del possesso, essendo stato invece attribuito rilievo decisivo al godimento esclusivo dei beni ereditari da parte degli appellanti.

In riferimento poi ai poteri del CTU nell’espletamento del mandato ricevuto, deve affermarsi, in adesione ad un orientamento già espresso da questa Corte, che egli può chiedere informazioni a terzi ed alle parti per l’accertamento dei fatti collegati con l’oggetto dell’incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice, e che queste informazioni, quando ne siano state indicate le fonti, in modo da permettere il controllo delle parti, possono concorrere con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento del giudice; il CTU, nella verbalizzazione di siffatte informazioni, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale e, pertanto, l’atto da lui redatto, il quale attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa fede fino a querela di falso (Cass. 10-8-2004 n. 15411); correttamente quindi la Corte territoriale ha valorizzato come fonte del proprio convincimento anche le ammissioni degli appellanti offerte in occasione delle operazioni peritali.

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c. e dell’art. 2028 c.c. e segg.

nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che il possesso ed il godimento esclusivi dei beni ereditari sarebbe stato ammesso dagli esponenti all’udienza del 19-4- 1996, laddove essi avevano affermato che la cura e la gestione dell’intero compendio ereditario erano rimaste affidate agli eredi di P.I., ai quali gli altri eredi non avevano rivolto alcuna richiesta; in tal modo era stata confusa la gestione di affari altrui, che postula lo svolgimento, da parte del gestore, di una attività diretta al conseguimento dell’interesse di altri soggetti, con il possesso ed il godimento esclusivo dei beni ereditari nell’interesse proprio.

La censura è infondata.

Invero la sentenza impugnata, come già osservato in precedenza, non ha affermato un possesso esclusivo dei beni ereditari da parte degli appellanti, ma ha fatto discendere l’obbligo di rendiconto a loro carico dalla non contestata ed anzi ammessa gestione dell’intero compendio ereditario, considerato che il gestore d’affari è tenuto agli obblighi del mandatario, tra i quali è contemplato anche l’obbligo al rendiconto (art. 1713 c.c.).

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 115 e 262 c.p.c. e dell’art. 723 c.c., censurano la sentenza impugnata per non aver accolto il motivo di appello con il quale gli esponenti avevano dedotto che il giudice di primo grado non aveva provveduto sulla rendicontazione, impedendo così ad essi di integrare l’elencazione delle spese affrontate nel 1995; in proposito essi assumono che il giudice di appello non ha considerato che le contestazioni sollevate dai deducenti alla CTU non si riferivano soltanto alle questioni tecniche sottese al calcolo, ed erano rimaste senza alcun riscontro od ulteriore trattazione da parte del Tribunale.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato che il CTU aveva fornito chiarimenti in ordine ai criteri estimativi dei frutti, e che in proposito il motivo di appello non era sufficientemente specifico, ed ha ritenuto, quanto alle spese sopportate nell’ambito della gestione dei beni ereditari da parte degli appellanti, l’ammissibilità della produzione di documenti in appello onde offrire la prova di tale circostanza, valutando pertanto i documenti prodotti; orbene, in presenza di tali puntuali affermazioni, il motivo in esame non contiene specifiche censure al riguardo, rimanendo su di un piano di insanabile genericità.

Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 221 c.p.c. e segg. – artt. 345 e 356 c.p.c. e vizio di motivazione, rilevano che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che i documenti prodotti dagli esponenti per superare le pretese contestazioni delle appellate avrebbero dovuto essere asseverati;

infatti dette contestazioni erano state generiche e caratterizzate da formule di stile, senza alcun espresso disconoscimento da effettuarsi nei modi e nelle forme di cui all’art. 221 c.p.c., e segg..

La censura è inammissibile per difetto di specificità, non essendo neppure stati indicati i documenti che il giudice di appello ha ritenuto privi di efficacia probatoria, essendo stati contestati negli importi e nella causale dalle appellate, e non essendo stati asseverati da coloro che, sottoscrivendoli, avevano dichiarato di aver effettuato le forniture e le prestazioni d’opera in essi menzionati.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3.000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2012

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