Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-08-2012, n. 14706

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza depositata il 24 luglio 2006, la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, rigettava l’opposizione proposta dalla Regione Lazio avverso il decreto ottenuto da B.R., medico convenzionato, con il quale veniva ingiunto alla predetta Regione il pagamento della somma di L. 75.774.415, a titolo di compenso forfettario, per un numero di assistiti superiore al massimale, nel periodo di convenzione 1979/1992.

2. In proposito, la Corte territoriale, premesso che la prova documentale della pretesa azionata era costituita esclusivamente dal tabulato elaborato dall’ente regionale e inviato dall’Azienda USL al medico e posto da questi a base della pretesa monitoria, attribuiva la natura di atto interruttivo del decorso del termine prescrizionale al predetto tabulato contenente i prospetti riepilogativi su base mensile del numero degli assistiti, al quale riconosceva altresì natura di atto ricognitivo del diritto del sanitario in relazione al compenso dovuto per gli assistiti eccedente il massimale e, ai fini della tempestività dell’interruzione del decorso del termine prescrizionale, collocava l’interruzione della prescrizione nel quinquennio antecedente alla notifica del decreto ingiuntivo avvenuta nel novembre 1997, per essere stato redatto il predetto tabulato dopo il dicembre 1992.

3. Avverso tale decisione, la Regione Lazio propone ricorso affidato a dieci motivi. L’intimato ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

4. La parte ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia riconosciuto, al tabulato che la parte intimata ha allegato al ricorso per decreto ingiuntivo, i cui contenuti non erano stati oggetto di contestazione e del pari non ne era stata contestata la provenienza, valenza interrutriva del termine prescrizionale delle pretese azionate dal medico convenzionato in via monitoria e svolge, al riguardo, plurimi profili di censura (9 motivi), sintetizzabili nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4 e nel vizio di motivazione. Con il decimo motivo è denunciato error in procedendo.

5. I primi nove motivi sono inammissibili.

6. Secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 28547/2008;

Cass., n. 20535/2009).

7. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SU, n. 22726/2011).

8. La parte ricorrente non ha adempiuto a tali oneri, poichè ha depositato solo "copia della comparsa di costituzione in appello in relazione a quanto dedotto nei motivi n. 3, 4, 10" e, per non aver nè prodotto il fascicolo di parte, nè depositato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio (presentata alla cancelleria del Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3), neanche ha indicato i dati necessari al reperimento del documento in questione e, pertanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ne discende l’inammissibilità dei motivi.

9. Quanto al motivo con il quale è censurata la sentenza impugnata per vizi di motivazione ne va affermata l’inammissibilità giacchè l’enunciazione del motivo non si informa alle regole prescritte dall’art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).

10. Come questa Corte ha in più occasioni ribadito, anche per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità dei ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007). Il ricorso è, nella specie, totalmente privo di tale indicazione, onde deve dichiararsi l’inammissibilità del motivo.

11. Passando all’esame del decimo motivo, con il quale la parte ricorrente si duole che la Corte territoriale sia incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso di pronunciare sull’an del diritto di credito azionato in via monitoria dal sanitario, il motivo, la cui illustrazione si conclude con il quesito di diritto, è meritevole di accoglimento.

12. Occorre premettere che i motivi di appello concorrono a determinare l’oggetto del relativo giudizio e, per questo profilo, incidono sullo stesso esercizio del potere d’impugnazione, non potendosi considerare proposti all’esame del giudice del gravame i capi della sentenza di primo grado che non siano stati in concreto oggetto di specifiche censure nell’atto di appello. Nella specie, ai Giudici del gravame è stata devoluta, con i motivi di gravame, l’erronea valutazione del primo Giudice in tema di prescrizione estintiva del credito azionato e relativi atti interruttivi e, in via di eccezione della parte appellata, l’infondatezza della domanda per insussistenza del diritto reclamato dal medico convenzionato.

13. Invero, la sentenza della Corte territoriale, incentrata esclusivamente sui motivi di gravame, non tratta affatto della questione devoluta in via di eccezione, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, sì da rendere necessaria ed ineludibile la pronunzia.

14. La verifica, da parte del Collegio, della ritualità, tempestività e decisività della questione prospettata in via di eccezione, non può non muoversi nel solco dei principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e al regime delle preclusioni in grado di appello, di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2, applicato al giudizio de quo:

solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, giacchè è il creditore a rivestire la veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente riveste il ruolo di convenuto cui compete addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non si collocano sul versante della domanda – che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni (ex multis, Cass., 6421/2003);

l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non costituisce azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dal)’ingiungente opposto e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (ex multis, Cass. 6528/2000);

per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso e ciò esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti; il giudizio di opposizione si estende anche all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione, con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza (fra le altre, Cass. 13085/2008); l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo deve avere il contenuto della memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c., mentre l’atto di costituzione dell’opposto è riconducibile non alla memoria difensiva, ma ad un atto integrativo della domanda azionata con la richiesta di decreto ingiuntivo (v.

Cass. 1458/2005); la L. n. 533 del 1973, non ha fatto venir meno l’ammissibilità del procedimento d’ingiunzione per i crediti di lavoro e previdenziali, ma si è limitata a prevedere l’applicabilità del rito del lavoro nel giudizio di opposizione. Ne consegue che mentre nella prima fase, a cognizione sommaria, la prova scritta è costituita da qualsiasi documento proveniente dal debitore o un terzo idoneo ad evidenziare l’esistenza del diritto fatto valere, nel successivo eventuale giudizio di cognizione la memoria difensiva dell’opposto, attesa la sua posizione sostanziale di attore, deve osservare la forma della domanda di cui all’art. 414 c.p.c. e deve recare "l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda" (cfr. Cass. 16199/2011);

la contestazione di un fatto costitutivo, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3, in virtù del principio di non contestazione, deve essere fatta valere con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, dovendosi ritenere, in mancanza, che i fatti non contestati siano esclusi dal tema di indagine – con conseguente inopponibilità in appello, ostandovi il divieto di nova – semprechè il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l’esistenza o l’inesistenza, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite (fra le altre, Cass. 16201/2009; Cass. 5363/2012);

il divieto di jus novorum in grado di appello ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa (ex multis, Cass. 4545/2009; Cass. 28703/2011).

15. Tanto premesso, l’iter argomentativo svolto dalla Corte territoriale, per pervenire alla conferma del decreto ingiuntivo opposto, si è incentrato esclusivamente sul duplice valore del tabulato de qua, di prova documentale della pretesa azionata e di atto ricognitivo del diritto del sanitario in relazione al compenso preteso (mie di riconoscimento di debito), omettendo di esaminare la questione devoluta dalla parte appellata, sull’infondatezza della domanda azionata posto che l’art. 7 dell’accordo nazionale reso esecutivo con il D.P.R. 13 agosto 1981, in caso di superamento del limite di soggetti assistibili da parte del medico convenzionato rendeva operante per il medesimo l’obbligo (impostogli dal primo comma della norma transitoria n. 3 dell’accordo) di rientrare nei limiti secondo il piano graduale a meno di associarsi ad altri medici e che il medico convenzionato non aveva dimostrato di aver assolto a tali obblighi nè aveva dedotto che quanto richiesto costituiva il dovuto per prestazioni effettuate agli assistiti in esubero fino al rientro nella quota massima (così la memoria difensiva in appello, pag. 10, richiamata nel quesito di diritto formulato a corredo del motivo).

16. Tale deduzione, implicante la contestazione nell’an del diritto vantato dal medico convenzionato e, dunque, la sussistenza del diritto di credito, questione logicamente prioritaria perchè il giudice della cognizione possa saggiare il quomodo della prova dell’asserito diritto azionato in via monitoria dal sanitario e l’eventuale fondatezza delle eccezioni estintive sollevate dalla controparte, pur se svolta per la prima volta in sede di gravame non può escludersi dal tema di indagine, per inopponibilità in appello, posto che lo stesso Giudice del gravame, sulla scorta dei principi sopra richiamati, avrebbe potuto e dovuto, in concreto, accertare l’esistenza o l’inesistenza, anche ex officio, della fondatezza del diritto azionato e non limitarsi ad acclarare l’esistenza della prova documentale e il relativo valore ricognitivo con effetti interruttivi della prescrizione.

17. Nè può ritenersi implicita la decisione sull’eccezione de qua tra le pieghe dell’iter logico-giuridico che involge la pur sintetica trattazione degli effetti interruttivi della prescrizione riconnessi all’atto ricognitivo del diritto del sanitario, giacchè la disamina della questione, da parte del Giudice del gravame, lambisce il mero piano di un atto giuridico in senso stretto cui è estranea la natura negoziale o il carattere recettizio (e che comunque, anche agli effetti interruttivi della prescrizione, non potrebbe non soddisfare le condizioni prescritte, fra le altre, da Cass. 10755/2009) e il cui vaglio è stato precluso, a questa Corte, dall’inammissibile devoluzione in sede di legittimità dei nove motivi su di esso incentrati.

18. Per finire, va rammentata, sia pure incidenter tantum, la consolidata giurisprudenza di questa Corte (per tutte v. Cass. 2906/2006 ed altre numerose precedenti e successive conformi) in tema di prestazioni sanitarie rese ad un numero di assistibili eccedente il limite del massimale, che ha escluso non solo il diritto dei medici convenzionati a qualsiasi trattamento economico, in base al regime convenzionale, ma anche l’espcribilità, da parte del sanitario, di un’azione di arricchimento senza causa, difettandone il presupposto della diminuzione patrimoniale (con onere probatorio a carico del sanitario), non potendo presumersi detta perdita economica sulla base del numero degli assistiti ultramassimale, non necessariamente giovatisi delle cure mediche (v., in tali ultimi termini, Cass. 2838/2009).

19. Questa Corte non può, però, addivenire alla decisione della causa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, seconda parte, atteso che – come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità – la decisione nel merito da parte della Cassazione ai sensi della predetta norma è consentita limitatamente alla sola ipotesi di accoglimento del ricorso per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, restando esclusa in ipotesi, come nella specie, di accoglimento per vizi in procedendo. In particolare, il vizio della sentenza di omessa pronunzia può dar luogo, sotto il diverso profilo dell’art. 36 c.p.c., n. 4, ad annullamento con pronunzia restitutoria della causa alla fase nella quale l’omissione si è verificata e non già a cassazione con enunciazione del principio di diritto, come si evince dal disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 383 c.p.c. (ex multis, Cass. 14378/2004; Cass. 14075/2002; Cass. 10896/1998).

20. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame provvedendo a rimediare al rilevato errore in procedendo.

21. Allo stesso giudice si rimette la pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ultimo motivo del ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa sentenza impugnata e rinvia, in relazione al motivo accolto, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2012 Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012

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