Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 24-06-2013, n. 27621

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 30.04.2012 la Corte d’appello di Lecce, su gravame dell’imputato C.S., riduceva la pena nei suoi confronti, per il reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 1, a mesi 6 di arresto. Detta Corte riteneva invero provato che il C. in data (OMISSIS) fosse stato trovato fuori della propria abitazione alle ore 20,55 in violazione dell’obbligo di rincasare entro le 19 a lui prescritto con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione, con atto personale, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare così – in sintesi – argomentando: a) nullità della sentenza di secondo grado, non avendo egli ricevuto notifica del decreto di citazione davanti alla Corte d’appello; b) egli non aveva violato le disposizioni di rimanere in casa e comunque non sussisteva l’elemento psicologico del reato, atteso che quella sera, a seguito di litigio con la propria convivente, si era portato nell’abitazione della madre sita al piano sottostante, in un plesso abitativo composto di due sole unità contigue.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.
2. E’ del tutto infondato, invero, il primo motivo di ricorso (v.
sopra, sub ritenuto, al p. 2.a), peraltro assolutamente generico ed apodittico (non specificando in alcun modo i termini concreti della doglianza), posto che il decreto di citazione per il giudizio di secondo grado venne notificato in modo corretto e regolare ai sensi dell’art. 161 c.p.p., a mani del difensore costituito, dopo che la notifica tentata al domicilio dell’imputato ebbe esito negativo, risultando il C. trasferito per ignota destinazione senza lasciare notizie di sè, e dopo che furono effettuate, sempre con esito infruttuoso, le ricerche di rito.
3. E’ assolutamente infondato, poi, anche il secondo motivo di ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.b), posto che è pacifico che la prescrizione di rimanere in casa in un determinato orario (in particolare quello notturno) deve essere inteso con esclusivo riferimento allo stretto ambito dell’abitazione del sorvegliato, ovvero del suo alloggio, e non può essere estesa all’intero edificio (o complesso edilizio). Ed invero la prescrizione suddetta ha lo scopo di consentire i doverosi controlli da parte degli agenti di polizia, controlli che sarebbero resi ben più difficili, fino alla sostanziale elusione, ove fosse lecito al sorvegliato di trovare rifugio in altri appartamenti, considerazione che si rende particolarmente evidente ove si pensi ai moderni, enormi, complessi condominiali, ma che deve valere comunque in ogni caso: per la coincidenza dell’abitazione con la propria dimora abitativa, in senso stretto, esclusi altri spazi condominali, si veda Cass. Pen. Sez. 1^, n. 45772 in data 25.11.2008, Rv. 242571, xxx; per l’irrilevanza, a questi fini, della pur particolare modesta entità della violazione (se non quale componente della commisurazione sanzionatoria), v.
Cass. Pen. Sez. 1^, n. 25628 in data 03.06.2008, Rv. 240456, xxx; ecc..
Quanto all’elemento psicologico del reato, esso – trattandosi di contravvenzione – è integrato dalla mera colpa e, esclusa ex lege la scorretta interpretazione della norma, si risolve nella consapevolezza – nella fattispecie del tutto evidente – di portarsi fuori della propria abitazione nell’ambito orario di cui alla prescrizione.
4. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 591 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v.
sentenza Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *