Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-08-2012, n. 14695

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 15/5 – 16/6/06 la Corte d’appello di Roma – sezione lavoro ha respinto l’appello proposto dagli odierni ricorrenti di cui in epigrafe avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che aveva rigettato la loro domanda diretta al conseguimento, in qualità di eredi di F.T., dell’assegno "una tantum", nella misura pari al 30% dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210/92, tra il manifestarsi dell’evento dannoso occorso al loro dante causa (ottobre 1983) e la data di decorrenza dell’indennizzo stesso (1/12/98).
Tale indennizzo era stato riconosciuto al loro dante causa in conseguenza di una epatite cronica HCV correlata, dal medesimo contratta a seguito di emotrasfusione praticata durante un ricovero ospedaliero per intervento di quadruplice by-pass aorto-coronarico subito ne 1983; tale beneficio era stato poi liquidato ad essi eredi con riferimento al periodo intercorso tra il primo giorno successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa del 25/11/98 ed il giorno del decesso del richiedente, avvenuto il 1 marzo del 2000. I predetti eredi avevano, invece, chiesto il riconoscimento dell’indennizzo in questione a decorrere dalla data di manifestazione dell’evento dannoso che aveva colpito il loro dante causa.
Nel rigettare l’impugnazione la Corte territoriale ha spiegato che la previsione di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2, di un indennizzo aggiuntivo per il periodo antecedente l’entrata in vigore della stessa legge, sotto forma di assegno "una tantum", non è applicabile ai soggetti danneggiati da epatite post-trasfusionale, in quanto la predetta norma limita il beneficio in questione ai soli soggetti che abbiano subito una menomazione permanente alla salute per effetto di una vaccinazione obbligatoria.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso i predetti eredi, i quali affidano l’impugnazione a tre motivi di censura.
Rimane solo intimato il Ministero della Salute.
I ricorrenti depositano, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione della L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 2, adducendo che la Corte di merito è incorsa in errore nell’affermare che la retrodatazione dell’indennizzo "de quo" non spettava ad essi eredi per la ragione che il loro dante causa non poteva essere ricompreso nel novero dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie. In particolare i ricorrenti si lamentano dell’interpretazione letterale della norma in esame eseguita dalla Corte territoriale, ritenendo, invece, che la "ratio" dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, va ricercata nella finalità assistenziale del beneficio stesso e nell’esistenza di una situazione di bisogno da alleviare che, pur non presentando i requisiti di cui all’art. 38 Cost., comma 1 (carenza dei mezzi necessari per vivere), accomuna, comunque, tutti i soggetti colpiti da malattie altamente invalidanti, quali l’HCV e l’HIV, a prescindere dalla causa che li ha generati.
A conclusione del motivo i ricorrenti pongono i seguente quesito di diritto: "Se a norma della L. n. 238 del 1977, art. 1, comma 2, ed alla luce degli artt. 2 e 32 Cost., i soggetti di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, commi 2, 3 e 4, abbiano o meno il diritto di percepire l’assegno di retrodatazione dell’indennizzo al pari dei soggetti di cui al comma 1 della stessa legge, che hanno patito i medesimi danni a seguito di assunzione di sangue emoderivato infetto".
2. Col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici ratificato con L. 25 ottobre 1977, n. 881, nonchè dell’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con L. 4 agosto 1956, n. 848.
Affermano i ricorrenti che l’interpretazione restrittiva della L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 1, eseguita dai giudici d’appello si pone in aperto contrasto con l’art. 26 del summenzionato Patto internazionale adottato dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16/12/1966 e ratificato in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, secondo cui tutti gli individui sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela.
Inoltre, si realizzerebbe, secondo tale tesi difensiva, sia una violazione dei principi di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost., che del divieto di discriminazione contemplato dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4/11/1950 e ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848.
A conclusione del motivo è formulato il seguente quesito di diritto:
"Se a norma dell’art. 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ratificato dall’Italia con L. 25 ottobre 1977, n. 881), nonchè dell’art. 14 e dell’art. 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione europea per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (recepita nel nostro ordinamento con L. 4 agosto 1955, n. 848), il diverso trattamento cui sono sottoposti i soggetti di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 1, rispetto a quelli indicati negli altri commi della medesima norma, a causa della previsione contenuta nella L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 2, costituisca o meno una discriminazione, in quanto sprovvista di una giustificazione oggettiva e ragionevole".
3. Con l’ultimo motivo, nel segnalare l’incostituzionalità della soluzione interpretativa accolta dalla Corte d’appello, i ricorrenti pongono il seguente quesito: "Se sia ammissibile e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della L. 25 luglio 1977, n. 238, art. 1, comma, laddove non prevede il diritto di percepire l’assegno una tantum di retrodatazione dell’indennizzo per le categorie di soggetti non ricompresi nella L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, ed in particolare delle categorie di soggetti contagiati a seguito di trasfusioni ematiche".
Il ricorso è infondato.
1.1. Invero, le sezioni unite di questa Corte hanno già avuto modo di trattare la questione in esame attraverso la sentenza n. 578 dell’11 gennaio 2008 stabilendo che "in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, disciplinati dalla L. n. 210 del 1992 e dalla successiva L. n. 238 del 1997, la previsione – contenuta nella L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2 – di un indennizzo aggiuntivo, per il periodo antecedente l’entrata in vigore della legge medesima, sotto forma di assegno "una tantum", non è applicabile ai soggetti danneggiati da epatite post-trasfusionale o da infezione HIV, in quanto il menzionato art. 2 limita espressamente tale beneficio ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1, della legge stessa, e cioè a quanti abbiano subito una menomazione permanente alla salute a seguito di vaccinazione obbligatoria, senza che per questo sia configurabile un’illegittimità costituzionale, come già ritenuto anche dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 226 e n. 423 del 2000 e con l’ordinanza n. 522 del 2000".
In particolare, le sezioni unite hanno affrontato lo specifico quesito riproposto in tale sede, vale a dire quello di verificare se l’assegno "una tantum" previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2 (nel testo sostituito dal D.L n. 548 del 1996, art. 7) sia dovuto solo ai soggetti che hanno contratto il virus per vaccinazioni obbligatorie o a tutti i soggetti protetti dalla L. n. 210 del 1992.
1.2. Si è spiegato, nella suddetta occasione, che la L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2, ha subito numerose modifiche. Nel testo attuale, frutto della modifica introdotta con D.L. n. 548 de 1996, convertito in L. n. 641 del 1996, e poi ripetuta dalla successiva L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 2, esso prevede che: "Ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1, anche nel caso in cui l’indennizzo sia stato già concesso, è corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo, un assegno "una tantum" nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell’indennizzo dovuto ai sensi del presente articolo, comma 1, e del primo periodo del presente comma, con esclusione di interessi legali e di rivalutazione monetaria". In tal modo, il legislatore ha aggiunto all’originario indennizzo una seconda provvidenza, costituita da un assegno "una tantum" in misura pari, per ciascun anno, al 30% dell’indennizzo liquidato al danneggiato, per coprire uno spazio, vale a dire il periodo tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo, che la disciplina originaria aveva lasciato privo di tutela.
Infatti, ai sensi della L. n. 210, art. 2, comma 2, l’indennizzo – ove riconosciuto – ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, secondo il principio generale che lega la decorrenza della concessione di un trattamento previdenziale o assistenziale alla proposizione della domanda stessa. La tutela originariamente fornita dalla legge nel sua prima stesura in favore di chi avesse subito l’evento dannoso prima dell’entrata in vigore della legge, era limitata ad una sorta di rimessione in termini procedurale, nel senso che il termine di decadenza triennale per la proposizione della domanda di indennizzo iniziava a decorrere per loro dalla data di entrata in vigore della legge e non dal manifestarsi del danno, ma nulla cambiava sotto il profilo sostanziale, nel senso che la decorrenza de trattamento era pur sempre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, e quindi chi aveva subito un danno irreversibile per una delle cause previste dalla legge in anni remoti non aveva diritto a nessuna forma indennitaria per il passato.
L’intervento normativo volto a colmare questa lacuna di tutela è stato posto in essere anche in questo caso rispondendo alla chiara sollecitazione della Corte costituzionale, che con sentenza n. 118 del 18 aprile 1996 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 2, e art. 3, comma 7, nella parte in cui escludono, per il periodo ricompreso tra i manifestarsi dell’evento prima dell’entrata in vigore della predetta legge e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto all’equo indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti vi si siano sottoposti e da quanti abbiano prestato ai primi assistenza personale diretta. La formula della legge limita chiaramente i possibili fruitori dell’assegno aggiuntivo, nel senso che esso può spettare solo ai danneggiati da vaccinazioni e appare escludere che altre categorie di soggetti protetti dalla legge (danneggiati da emotrasfusioni e da somministrazione di emoderivati, personale ospedaliere che abbia contratto il contagio per ragioni di servizio) abbiano diritto alla provvidenza aggiuntiva.
1.3. Nella sentenza delle sezioni unite si è, altresì, dato atto della circostanza che in precedenza è stata costantemente privilegiata l’interpretazione più conforme al dato testuale, con esclusione della possibilità di estensione dell’indennizzo aggiuntivo, costituito dall’assegno "una tantum" di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, a soggetti diversi da quelli indicati dall’art. 1, comma 1, della legge, ovvero a soggetti diversi da quelli che abbiano subito menomazioni permanenti alla salute a causa delle vaccinazioni obbligatorie (e delle altre vaccinazioni ad esse equiparate dagli interventi della Corte costituzionale).
Si è, infatti, avuto modo di affermare che "l’assegno "una tantum" previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2 (nel testo sostituito dal D.L. n. 548 del 1996, art. 7) presuppone la riconducibilità dell’evento indennizzabile a vaccinazioni obbligatorie e compete ai soggetti puntualmente indicati dall’art. 1, comma 1, di detta legge, restando esclusa, tanto sul piano dell’interpretazione letterale, quanto su quello dell’interpretazione costituzionale (quale emergente dalle decisioni della Corte costituzionale, di cui alle sent. n. 226 e 423 del 2000 ed all’ord. n. 522 del 2000), la possibilità di estendere il beneficio ad eventi dannosi che presentino analogie con quelli derivanti dalle vaccinazioni obbligatorie, quali le somministrazioni di sangue o suoi derivati, le attività svolte nell’espletamento di servizi sanitari che abbiano esposto a contagio con sangue o derivati infetti da HIV ed i contatti con persone vaccinate" (in questo senso Cass. n. 6799 del 2002; Cass. n. 8907 del 2003; Cass. n. 11659 del 2003; Cass. n. 11355 del 2004; Cass. n. 12223 del 2004; Cass. n. 3938 del 2004;
Cass. n. 15614 del 2004; Cass. n. 429 del 2005).
1.4. Quanto ai dubbi di costituzionalità, essi sono stati già respinti dall’orientamento fermo assunto sul tema dalla Corte costituzionale (la questione è stata dichiarata manifestamente infondata con le sentenze n. 226/2000 e n. 423/2000, e con l’ordinanza n. 522/2000). Con la prima di tali pronunce la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 210 del 1992, artt. 1 e 2, come integrata dalla L. 25 luglio 1997, n. 238, art. 1, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., nella parte in cui, in caso di infezione da virus HIV e HCV (epatiti C), conseguente a trasfusione di sangue o derivati, verificatasi anteriormente alla data di entrata in vigore della L. n. 210 del 1992, fanno decorrere l’indennizzo previsto dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda e non dal verificarsi dell’evento dannoso o dalla conoscenza che di esso abbia avuto l’interessato. Ha osservato la Corte costituzionale, in tale occasione, che, ai fini della decorrenza dell’indennizzo, a carico dello Stato, in conseguenza di un danno irrimediabile alla salute, non può essere confrontata la disciplina apprestata in caso di danno da vaccinazione obbligatoria con quella del danno da trasfusione (che quindi la Corte ha ritenuto diversamente disciplinato), ancorchè quest’ultimo trattamento, pur non essendo imposto per legge sia comunque necessitato, pena il rischio della vita, instaurandosi, a tal fine, il rapporto tra "cogenza" dell’obbligo legale e la "necessità" della misura terapeutica.
Infatti, la ragione determinante del diritto all’indennizzo risiede nell’interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario e lo stesso interesse – una volta che sia assunto a ragione dell’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio o di una politica incentivante – è fondamento dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengono a soffrire di un pregiudizio alla loro salute.
Con analoghe argomentazioni, il Giudice costituzionale (sentenza n. 423 del 2000) ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità relativa alla mancata previsione da parte della L. n. 210 del 1992, a favore del soggetti danneggiati irreversibilmente da epatiti post – trasfusionali, del diritto all’assegno una tantum, previsto, invece, per quanti abbiano subito una menomazione permanente alla salute da vaccinazione obbligatoria: anche tale pronuncia ha dunque presupposto l’interpretazione della normativa di riferimento nel senso che l’assegno una tantum non è concedibile ai poli – trasfusi. In conseguenza di tale declaratoria, con successiva ordinanza n. 522/2000, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimità nella quale il Giudice rimettente aveva richiesto una pronuncia che estendesse il diritto al predetto assegno, previsto per il caso di menomazione permanente della salute da vaccinazione obbligatoria (o promossa e incentivata nell’ambito di una politica sanitaria pubblica) al diverso caso di chi abbia subito un danno irreversibile da infezione HIV o da epatite post-trasfusionale. Già nella precedente sentenza n. 118 del 1996, che da immediatamente origine all’intervento normativo del 1996 e del 1997, la Corte costituzionale chiarisce che, sotto il profilo dell’obbligo dello Stato di intervenire con una misura indennitaria la situazione dei soggetti che hanno subito un danno irreversibile perchè si sono sottoposti a vaccinazione obbligatoria non è assimilabile a quella degli altri soggetti pure tutelati da questa legge, al punto che è differente il parametro costituzionale di tutela: nel primo caso infatti, la Corte costituzionale afferma che la collettività ha l’obbligo di ripagare il sacrificio che taluno ha sostenuto, e il danno che ha subito adempiendo ad un proprio obbligo legale, per rendere un beneficio atteso dall’intera collettività, e la tutela del danneggiato si fonda in questo caso sull’art. 32 Cost., laddove nelle altre ipotesi si è in presenza di una misura di solidarietà sociale che trova il suo fondamento nell’art. 38 Cost.. La Corte costituzionale nella predetta sentenza afferma quindi che tutta la complessa casistica sottesa alla L. n. 210 del 1992, non si presta ad una valutazione unitaria, per cui le conclusioni cui essa ritiene di pervenire in ordine all’indennizzo dei soggetti colpiti, senza colpa di altri, da menomazioni conseguenti a vaccinazione obbligatoria (antipoliomelitica) non possono ritenersi di per sè estensibili a tutte le altre ipotesi previste dall’art. 1 della legge. Ne consegue che, "stante la diversità delle situazioni di fatto poste a confronto", come già rilevato dal Giudice delle leggi, manifestamente non sussistono i paventati dubbi di incostituzionalità nell’interpretazione letterale della norma in questione, sotto i profili già esaminati degli artt. 2, 3 e 32 Cost..
1.5. Le sezioni unite di questa Corte hanno, infine, osservato che è manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma, così interpretata, per violazione del divieto di discriminazione previsto dall’art. 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’ONU il 16.12.1996 e ratificato dall’Italia con L. del 25 ottobre 1977, sotto il profilo dell’art. 10 Cost.. Infatti il divieto di discriminazione, di cui alla predetta norma, attiene a differenze di trattamenti fondati sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione. Nella specie, invece, il differente trattamento indennitario è fondato non su una diversa qualità soggettiva delle persone, ma sulla diversa situazione di fatto, da cui eziologicamente discende la patologia indennizzata.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
La mancata costituzione del Ministero intimato comporta che non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese de presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012

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