Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-08-2012, n. 14693

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Svolgimento del processo

Con sentenza dell’11/10/06 – 4/1/07 la Corte d’appello di Cagliari – sezione lavoro ha accolto per quanto di ragione l’impugnazione proposta per il governo delle spese di prime cure da P.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Cagliari che le aveva riconosciuto il diritto alla fruizione dell’assegno di invalidità civile, e per l’effetto, in parziale riforma della gravata decisione, ha liquidato le stesse nella misura complessiva di Euro 1302,75, ponendo tale somma, unitamente alle spese del secondo grado, a carico dell’Inps, con distrazione delle stesse in favore dei difensori antistatari dell’assistita.

Nel motivare tale decisione la Corte territoriale ha spiegato che, contrariamente all’assunto dell’appellante, il criterio da seguire nella fattispecie per la determinazione delle spese di lite era quello di cui all’art. 13 c.p.c., comma 1, trattandosi di prestazione assimilabile per natura al regime delle prestazioni alimentari; nel contempo, la medesima Corte ha ritenuto che correttamente, seppur implicitamente, il primo giudice aveva compensato le spese tra la ricorrente ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, data l’estraneità di quest’ultimo al giudizio.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.A., la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Rimangono solo intimati l’Inps ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 12 e 13 c.p.c., dell’art. 12 disp. prel. cod. civ., nonchè l’omessa e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Al riguardo la medesima rileva che erroneamente la Corte sarda ha ritenuto applicabile la previsione dell’art. 13 c.p.c., comma 1, nonostante che la prestazione d’invalidità in esame si sostanzi in una somma di denaro da corrispondere periodicamente, perciò del tutto assimilabile ad una rendita vitalizia, con la conseguenza che, nel caso di contestazione del diritto a percepire la prestazione economica, e non solo alcune annualità, il valore della causa non può che essere pari a dieci annualità, per come previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 2.

Il primo motivo è infondato, previa correzione della motivazione della decisione impugnata.

Ha ritenuto la corte territoriale, con riferimento allo scaglione tariffario applicabile, che il valore delle controversie aventi ad oggetto le prestazioni assistenziali debba effettuarsi in base al disposto dell’art. 13 c.p.c., comma 1, trattandosi di prestazioni che partecipano della natura di quelle alimentari.

Deve, tuttavia, ribadirsi che il criterio per determinare il valore della causa ai fini in questione è quello del cumulo delle annualità della rendita nella misura spettante fino ad un massimo di dieci, secondo come previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 2.

Costituisce, infatti, giurisprudenza costante di questa Suprema Corte che la determinazione del valore della causa in materia di prestazioni assistenziali (pensione di invalidità e inabilità, rendite per malattie professionali e infortuni sul lavoro, ecc.), deve essere effettuata, ai fini dell’individuazione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al difensore dell’ assicurato, secondo il criterio stabilito dalla norma indicata, in quanto anche le prestazioni di invalidità, pur partecipando della natura delle prestazioni alimentari, si sostanziano in una somma di denaro da corrispondere periodicamente e sono, perciò, del tutto assimilabili ad una rendita vitalizia, sicchè il valore della causa deve essere determinato cumulando le annualità domandate sino ad un massimo di dieci (v. ad es. da ultimo Cass. n. 2148/2011; Cass. n. 4258/2007; Cass. n. 21841/2007).

Ne segue che le annualità da prendere in considerazione non sono solo quelle controverse, non essendo nel caso in contestazione il diritto ad una somma determinata, ma l’accertamento del diritto stesso alla prestazione, ed, al tempo stesso, che il cumulo delle dieci annualità rappresenta il limite massimo, ma non anche la misura fissa delle annualità da prendere in considerazione ai fini della determinazione del valore della lite, per come risulta dal tenore letterale della disposizione e dalla distinzione, nella stessa reperibile, fra le controversie relative a rendite perpetue, per le quali si fa riferimento al cumulo di "venti annualità", e alle cause relative a rendite temporanee o vitalizie, per le quali il riferimento è alle "annualità domandate fino ad un massimo di dieci" (cfr., Cass. n. 2148/2011).

Non può, pertanto, trovare accoglimento la tesi della ricorrente, la quale assume che, in tale ultima ipotesi, il valore della causa va determinato non già cumulando le annualità domandate (pari ciascuna ad Euro 3040,31) "fino ad un massimo di dieci", ma senz’altro, fino a dieci.

Ciò chiarito, ritiene il Collegio che il motivo, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata, debba essere rigettato, non potendo, comunque, il valore della causa determinarsi con riferimento allo scaglione richiesto (compreso tra Euro 25.900,01 e Euro 51.700,01), avuto riguardo alla modesta difficoltà delle questioni controverse (cfr. anche Cass. n. 2148/2011 cit.).

2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 3, della L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 42, comma 1, nonchè l’erronea e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In pratica, la P. contesta la motivazione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto corretta, seppur implicita, la decisione del primo giudice di compensare le spese tra l’assistita ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, motivando tale convincimento sulla scorta del rilievo che tale ente era stato citato in giudizio come parte sostanziale del rapporto dedotto in causa e non solo quale litisconsorte processuale. Spiega la ricorrente che la citazione del Ministero e della Direzione Provinciale dello stesso Ministero si era resa necessaria stante l’obbligatorietà di tale chiamata in causa ai sensi della L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 42, comma 1, mentre l’incertezza di fondo esistente sulla identificazione del legittimato passivo alla corresponsione della prestazione oggetto di domanda era stata circoscritta agli altri enti chiamati in causa, cioè l’Inps o la Regione Sardegna. La ricorrente aggiunge che, in ogni caso, con l’appello non si era lamentata della implicita compensazione delle spese, bensì dell’omessa condanna dell’Inps alla liquidazione di quelle che aveva dovuto sostenere sia per la convocazione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze quale litisconsorte necessario, che per la notifica alla Direzione Provinciale dello stesso Ministero.

Il motivo è infondato.

Al riguardo questa Corte ha, infatti, già avuto modo di precisare (Cass. sez. lav. ord. n. 16691 del 17/7/2009) che "in tema di invalidità civile, la partecipazione necessaria al giudizio del Ministero del Tesoro, ancorchè nei suoi confronti non sia stata spiegata alcuna domanda, prevista dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, convertito nella L. n. 326 del 2003, non comporta l’assunzione da parte del medesimo della veste di parte solo in senso formale, ma gli attribuisce un ruolo di parte in senso processuale, con la conseguenza che a carico del Ministero può gravare la responsabilità nei confronti della parte vittoriosa sia per le spese di lite, sia per le spese della consulenza tecnica di ufficio".

In concreto, l’autonoma posizione di parte processuale e non solo formale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, comporta l’infondatezza della pretesa della ricorrente per la quale il giudice d’appello non avrebbe dovuto adottare una statuizione sulle spese, seppur di implicita compensazione, direttamente nei confronti del Ministero, bensì nei riguardi dell’Inps sul quale il giudicante avrebbe dovuto riversare, sempre secondo tale non condivisa tesi, anche le spese sostenute dall’assistita per la chiamata in causa dei suddetti enti ministeriali.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di questo giudizio a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., avuto riguardo al testo vigente a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012
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