Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 24-06-2013, n. 27612

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 01.03.2011, resa in contumacia dell’imputata, il Giudice di Pace di Prato dichiarava L.H., cittadina (OMISSIS), colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, così condannandola, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 3.500- di ammenda. Detto giudice riteneva invero provato che la predetta imputata, extracomunitaria, fosse stata presente sul territorio nazionale – fatto accertato il (OMISSIS) – priva di permesso di soggiorno e di qualsiasi altro titolo giustificativo.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore generale di Firenze che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge, in particolare argomentando -in sintesi- nei seguenti termini: il giudice non aveva in alcun modo esplorato le ricadute sulla normativa interna della disciplina comunitaria in tema di immigrazione (direttiva 115/2008); in particolare sottolinea il ricorrente come la direttiva europea sia informata, a differenza del D.Lgs. n. 286 del 1998, ad un criterio di espulsione ad intensità graduale e crescente (recepito dalla successiva L. n. 129 del 2011);

tanto doveva ritenersi ricadere anche sulla fattispecie di cui all’art. 10 bis (introdotto dalla L. n. 94 del 2009), posto che era prevista la possibilità di sostituire la pena con l’espulsione (anche in sede esecutiva); inoltre la normativa interna in ordine alla presenza illegale prevedeva solo tale dato oggettivo quale condotta di reato, senza alcun riferimento alla variabile casistica soggettiva, ancora una volta in contrasto con la predetta direttiva comunitaria; in conclusione si chiede di dichiarare non applicabile la norma di cui all’art. 10 bis cit. per contrasto con la direttiva comunitaria, in subordine di sollevare, sul punto, quesito pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato.

2. I temi proposti dall’impugnazione in favore della legge, come proposta dal Procuratore generale territoriale, sono stati già oggetto di scrutinio nelle competenti sedi ed hanno avuto una soddisfacente risposta, che il Collegio condivide (e di cui comunque occorre prendere atto), in senso contrario a quanto il ricorrente assume.

Va dapprima ricordato come la norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis) ha superato il vaglio della compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi ha precisato, con sentenza n. 250/2010, che la norma non punisce una condizione personale e sociale, quella cioè di straniero clandestino o comunque irregolare, ma uno specifico comportamento, costituito dal "fare ingresso" e dal "trattenersi" nel territorio dello Stato; si tratta, dunque, rispettivamente, di una condotta attiva istantanea (varcare illegalmente i confini nazionali) e di una condotta, parimenti attiva, di carattere permanente e di natura omissiva (non lasciare il territorio nazionale). Si tratta, pertanto, di condotte illecite la cui rilevanza penale è correlata alla concreta lesione del bene giuridico tutelato individuabile nell’interesse dello Stato al controllo ed alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo, in vista di beni pubblici di sicuro rilievo costituzionale.

Per quel che attiene poi alla compatibilità con la normativa soprannazionale, in particolare con la direttiva CE n. 115/2008 – che pure è oggetto di tanta parte del ricorso in esame – va rilevato come di recente si sia registrato l’intervento risolutivo della Corte di giustizia che, con decisione 06.12.2012, nel caso S., ha risolto la domanda pregiudiziale proposta dal Tribunale di Rovigo nel senso che la norma in questione (il cit. art. 10 bis) non viola la direttiva europea sui rimpatri. In particolare la sede europea ha rilevato come le disposizioni della direttiva anzidetta non impediscano alle legislazioni interne di affidare ad una pronuncia giudiziaria di carattere penale la decisione impositiva dell’obbligo del rimpatrio. Si tratta solo – il che è indiscutibile, ma non mina alla base la normativa interna – di rispettare alcuni profili di particolare rilievo (come quello relativo all’espulsione) per non contraddire la regola generale della priorità da accordare alla procedura di allontanamento volontario.

Va in proposito anche ricordato come già questa Corte di legittimità avesse statuito in senso sostanzialmente conforme (cfr.

Cass. Pen. Sez. 1^, n. 951 in data 22.11.2011, Rv. 251671, Gueye;

sentenza cui comunque si fa rimando).

Deve concludersi, pertanto, per l’infondatezza dei motivi svolti dal Procuratore generale territoriale nel ricorso in esame, avendo già avuto risposta nelle competenti sedi le varie questioni proposte; in particolare risulta già esaurita, con l’esito sopra ricordato, la via della domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia.

3. Trattandosi di condanna alla pena pecuniaria, senza sostituzione della stessa con l’espulsione, non assume diretta rilevanza, ai fini del presente scrutinio, la relativa questione; non può però questa Corte esimersi dal rilevare come la legittimità dell’espulsione – che può intervenire in sede esecutiva – debba essere subordinata, perchè non assuma incompatibilità convenzionale, per contrasto con la ridetta direttiva (art. 7, paragrafo 4), a concreti profili di pericolo di fuga, pericolo per l’ordine pubblico, pericolo per la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale, ovvero in caso di fraudolenza di precedente domanda, quali unici casi in cui può essere superata la regola dell’allontanamento volontario.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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