Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-08-2012, n. 14689

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Alessandria ha dichiarato il diritto di R. S., dipendente della xxx – xxxi spa, ad essere inquadrata nella categoria A2 del c.c.n.l. industria chimica a decorrere dal 15.8.1996, respingendo la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno da demansionamento sul rilievo che le maggiori somme dovute alla lavoratrice dovevano ritenersi assorbite nel superminimo individuale attribuitole dal datore di lavoro e che non era stata fornita prova del danno da demansionamento.
La Corte d’appello di Torino, riformando sul punto la sentenza impugnata, ha riconosciuto il diritto della ricorrente alla corresponsione delle differenze retributive derivanti dal superiore inquadramento, respingendo le eccezioni proposte dalla società in ordine alla nullità del ricorso in appello per mancata specificazione del quantum e per mancata specificazione dei motivi di gravame e ritenendo che il superminimo non potesse essere assorbito nelle suddette differenze retributive in quanto lo stesso era stato sempre erogato in misura rimasta inalterata nel tempo, nonostante i progressivi adeguamenti ed incrementi contrattuali, sicchè doveva ritenersi che le parti, attraverso tale comportamento, avessero dimostrato di non voler fare ricorso al criterio dell’assorbimento.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la xxx – xxxi spa affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso R.S., che ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 414 c.p.c. e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nonchè vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se "un ricorso in appello in materia di diritto del lavoro, qualora privo dell’indicazione numerica del quantum richiesto, quantum non rilevabile e calcolabile neppure da una attenta lettura del complessivo atto di appello e di tutti gli atti di causa, debba essere dichiarato affetto da nullità insanabile dalla costituzione in giudizio dell’appellata, o piuttosto, se debba, in siffatto caso, essere nullo il motivo di ricorso portato da tale, specifico, capo della domanda di appello".
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 434 c.p.c. e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nonchè vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se "un ricorso in appello in materia di diritto del lavoro, qualora l’appellante chieda la riforma parziale della sentenza di primo grado senza indicare chiaramente e precisamente quali punti della stessa intende impugnare, non potendosi desumere l’acquiescenza di alcuni di essi dal tenore complessivamente contraddittorio dell’atto di appello, quest’ultimo risulti sprovvisto del requisito della specificità dei motivi di gravame … e debba essere, pertanto, dichiarato nullo nella sua interezza o piuttosto nullo riguardo quei motivi di gravame che risultano incerti nella determinazione e nell’esposizione".
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nonchè vizio di motivazione, relativamente alla statuizione concernente la questione dell’assorbibilità del superminimo, chiedendo a questa Corte di stabilire se "in presenza di un accertamento di demansionamento della lavoratrice, in mancanza di inconfutabili ed incontrovertibili elementi fattuali che possano far presumere il contrario, in sede di accertamento giudiziale delle differenze retributive richieste, il superminimo corrisposto alla lavoratrice vada considerato assorbibile da tali differenze retributive oppure vada, ad esse, cumulato".
4.- I primi due motivi, che attengono entrambi alla validità del ricorso in appello, sono palesemente infondati. Questa Corte ha già precisato che nelle cause relative a crediti retributivi l’esigenza di determinazione del petitum è soddisfatta quando l’attore, nel richiederne il pagamento, indichi i relativi titoli, essendo irrilevante la mancanza di un’originaria quantificazione monetaria (cfr. ex plurimis Cass. n. 25753/2008, Cass. n. 5469/2004). Ed ha anche ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. n. 15966/2007, Cass. n. 820/2007) che nel rito del lavoro l’omessa indicazione dei requisiti di cui all’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, in modo formale non è sufficiente a far ritenere nullo l’atto introduttivo, essendo necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto, ben potendo, peraltro, il giudice d’appello trarre elementi di conforto del proprio giudizio positivo circa la sufficienza delle indicazioni contenute in ricorso dal rilievo che esse consentirono al giudice di primo grado di impostare e svolgere l’istruttoria ritenuta indispensabile alla soluzione della controversia (Cass. n. 7843/2003).
5.- In tema di specificità dei motivi di appello, questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. n. 16422/2004) che l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria, ma, in quanto funzionale all’individuazione delle censure mosse dall’appellante, può emergere anche indirettamente dalle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di impugnazione, ove questi forniscano gli elementi idonei a consentire l’individuazione dell’oggetto della controversia e delle ragioni del gravame. Inoltre, atteso il carattere devolutivo dell’appello e la mancanza in esso del principio di autosufficienza, tale requisito è soddisfatto mediante il rinvio circostanziato a singoli atti del processo, in modo da consentire al giudice, attraverso l’esame di tali atti (che si presumono noti), di acquisire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dei termini della controversia e delio svolgimento del processo.
6.- Da ultimo, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza n. 8077 del 22 maggio 2012, resa all’udienza dell’8 maggio 2012, hanno enunciato il seguente principio di diritto:
"Quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 cod. proc, civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod. proc, civ., comma 2, n. 4)".
Con tale sentenza le Sezioni Unite hanno così composto il contrasto denunciato dalla 1^ sezione civile con le ordinanze interlocutorie n. 20146 e n. 22513 del 2011.
Tali ordinanze avevano, invero, sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte al fine di chiarire se il sindacato di legittimità sulla nullità della citazione, conseguente alla mancata determinazione dell’oggetto della domanda o alla mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui essa si fonda, debba investire direttamente l’invalidità denunciata e la decisione che su di essa sia stata eventualmente adottata dal giudice di merito, indipendentemente dalle motivazioni spiegate al riguardo, con l’inevitabile effetto di attivare il potere-dovere della Corte di procedere al diretto esame degli atti per acquisire gli elementi di giudizio necessari alla relativa pronunzia.
All’eventualità di tale esame diretto degli atti ad opera del giudice di legittimità, si opponeva, invero, la soluzione alternativa, secondo cui una siffatta valutazione, in quanto tipico accertamento di fatto, sarebbe rimasta comunque riservata per legge al giudice di merito, rientrando nell’attività di interpretazione della domanda, consistente nella ricognizione del suo contenuto e nell’apprezzamento della sua ampiezza, sicchè alla Suprema Corte non sarebbe restato da compiere altro che il controllo della motivazione sul punto adottata dalla pronunzia impugnata.
Le Sezioni Unite hanno così chiarito che, quando il ricorso per cassazione denunci un vizio di attività rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, quale, in specie, quello afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza del petitum o della causa petendi, la Corte è investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso stesso si fonda, non dovendo affatto limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione.
D’altro canto, come chiariscono le Sezioni Unite, la censura del ricorrente dovrà pur sempre essere proposta in ossequio al requisito di specificità dei motivi di gravame, sicchè l’esame diretto degli atti, che pur si impone, come detto, quando sia denunciato il compimento di un’attività difforme da una disciplina processuale vincolante, va subordinato al rispetto delle prescrizioni oggi fissate dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, risultando circoscritto, quindi, da quanto analiticamente indicato ed allegato col ricorso.
7.- Nella specie, deve escludersi, per le ragioni già dette, che possa ravvisarsi un’ipotesi di nullità del ricorso in appello per la sola mancata quantificazione dell’importo richiesto, importo che era ben possibile calcolare sulla base delle indicazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio ed era stato effettivamente calcolato dal c.t.u. di primo grado all’esito degli accertamenti ai quali ha fatto riferimento la sentenza impugnata (pag. 10).
Analogamente, deve escludersi la nullità del ricorso in appello ex art. 434 c.p.c., avendo la ricorrente in appello ampiamente argomentato in ordine alla erroneità delle statuizioni del giudice di primo grado con le quali le somme dovute in conseguenza del riconoscimento del diritto al superiore inquadramento erano state dichiarate "assorbite" nel superminimo individuale ed era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da demansionamento.
Tale essendo l’ambito del giudizio devoluto al giudice d’appello, non potevano, dunque, sorgere dubbi in ordine alla individuazione dei capi della sentenza oggetto della impugnazione ed all’ambito della cognizione nel giudizio di gravame, dubbi che, del resto, la società ricorrente ricollega sempre, nella sostanza, al rilievo della mancata (e, per quanto detto, solo formale) determinazione del quantum nelle conclusioni del ricorso in appello.
8.- La sentenza impugnata non merita, dunque, le censure che le sono state mosse con il primo e con il secondo motivo di ricorso.
9.- Anche il terzo motivo è infondato.
In tema di c.d. superminimo (consistente nella eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari che sia stata individualmente pattuita tra datore di lavoro e lavoratore) questa Corte ha ripetutamente affermato che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a categoria superiore, ove le parti non abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva non disponga altrimenti, l’emolumento in questione è di norma soggetto al principio dell’assorbimento nei miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore (cfr. ex plurimis Cass. n. 8498/99, Cass. n. 2984/98, Cass. n. 2058/96), restando a carico del lavoratore l’onere di fornire la prova della sussistenza del titolo che autorizzi il mantenimento del compenso ed escluda l’assorbimento (Cass. n. 2984/98 cit.), con l’ulteriore precisazione che, ai fini della ricostruzione della volontà negoziale in ordine a tale compenso, deve essere valutato il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del patto relativo (Cass. n. 1899/94).
10.- A questi principi, pienamente condivisi dal Collegio, si è correttamente attenuta la Corte territoriale con l’affermazione che la volontà delle parti di sottrarre il superminimo al principio dell’assorbimento era desumibile, nella specie, dalla circostanza che, come risultava anche dagli accertamenti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio, il superminimo era sempre rimasto inalterato nel tempo, nonostante i vari rinnovi contrattuali (e i relativi incrementi retributivi) intervenuti nel corso del rapporto di lavoro.
11.- Le contrarie affermazioni della società ricorrente, secondo cui difetterebbero nella fattispecie elementi fattuali che possano far presumere l’esistenza di una volontà delle parti intesa ad escludere l’assorbimento del superminimo nei miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, non tengono conto del rilievo correttamente assegnato dalla sentenza impugnata al comportamento tenuto dalle parti nel corso dell’intero rapporto di lavoro e si risolvono nella contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennato, alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio e che non risulta in alcun modo inficiato dalle suddette affermazioni (anche perchè la ricorrente, con palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha riportato nel ricorso il contenuto degli scritti difensivi e dei documenti ai quali fa genericamente riferimento nel terzo motivo e dai quali dovrebbe evincersi che il superminimo non sarebbe rimasto invariato nel tempo e che la volontà delle parti si era atteggiata, quindi, nel senso di ritenerlo assorbibile nei successivi miglioramenti retributivi).
12.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto, tutte le censure non espressamente esaminate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012

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