Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-08-2012, n. 14688

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Svolgimento del processo
C.D., quale ex agente della xxx, ha chiesto la condanna della predetta compagnia assicuratrice al pagamento della somma di Euro 175.598,35, comma che era stata trattenuta dalla società sulle sue competenze di fine rapporto a titolo di risarcimento del danno subito dalla stessa società per la mancata vigilanza del C. sull’operato di un sub-agente che aveva emesso una polizza di assicurazione con efficacia retroattiva – benchè il premio fosse stato corrisposto successivamente alla verificazione del sinistro – non consentendo così alla compagnia di assicurazione di opporre valide ragioni alla richiesta di pagamento dell’indennizzo da parte del danneggiato.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello della stessa città, che l’ha invece accorta rilevando anzitutto che il credito della società era stato contestato dal C. e che nella specie, trattandosi di crediti (quello dell’agente, relativo alla corresponsione dell’indennità di fine rapporto, e quello della società, di carattere risarcitorio) aventi ciascuno una propria autonomia, dovevano ritenersi applicabili le regole stabilite in materia di compensazione propria, ex art. 1241 c.c., con la conseguenza che la compagnia assicuratrice non avrebbe potuto trattenere unilateralmente in sede stragiudiziale la somma pretesa a titolo risarcitorio ed avrebbe dovuto far valere la compensazione secondo le regole stabilite dagli artt. 1242 e ss. c.c..
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la xxx spa affidandosi ad un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso C.D..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione degli artt. 1241, 1242, 1246, 1753 e 1751 c.c., chiedendo a questa Corte di stabilire se "nell’ambito della gestione di un rapporto di agenzia di assicurazione e indennità di fine rapporto dovute dalla compagnia all’agente costituiscano una partita contabile scaturente dal rapporto di agenzia, regolabile contabilmente con l’addebito all’agente, da parte della compagnia di assicurazione, di un indennizzo relativo ad una polizza indebitamente emessa dall’agente, tramite un proprio subagente; e se, conseguentemente, l’ammissibilità di tale regolazione contabile – definita quale compensazione impropria – si colloca al di fuori delle previsioni dell’art. 1241, 1242 e 1246 c.c., per cui è lo stesso giudice che, anche senza una specifica domanda riconvenzionale, debba – d’ufficio – regolare contabilmente le indennità riconosciute all’agente (partita attiva dell’agente) e l’addebito dell’indennizzo (partita attiva per la compagnia di assicurazioni) definendo così il saldo relativo alla gestione del rapporto di agenzia in questione".
2.- Il ricorso deve ritenersi fondato nei limiti e nei termini appresso specificati.
La sentenza impugnata ha deciso la controversia facendo applicazione del principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 775 del 1999 – e recentemente ribadito, fra le altre, da Cass. n. 10629/2006 – secondo cui ai fini della configurabilità in senso tecnico di cui all’art. 1241 c.c., non rileva la pluralità o unicità dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni, essendo invece necessario solo che le suddette obbligazioni, quale che sia il rapporto da cui prendono origine, siano "autonome", ovvero "non legate da nesso di sinallagmaticità", posto che, in ogni altro caso, non vi sarebbe motivo per escludere l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 1246 c.c., che tiene conto anche delle caratteristiche dei crediti (specialmente in relazione alla – totale o parziale – impignorabilità dei medesimi) proprio per evitare, tra l’altro, che l’operatività della compensazione si risolva in una perdita di tutela per i creditori. In ogni caso, secondo il suddetto orientamento, escludere che, in alcune ipotesi, possa operare l’istituto della compensazione disciplinato dal codice, non può essere un modo indiretto per poi ammettere una sorta di "compensazione di fatto", oltre i limiti previsti dalla disciplina codicistica e in fattispecie in cui tale disciplina non ammetterebbe la compensazione. Le c.d. "compensazioni atecniche", pertanto, in mancanza di espressa previsione testuale, non possono essere estese oltre le ipotesi in cui una compensazione non sia logicamente configurabile, dovendo, in ogni altro caso, ritenersi applicabile l’istituto della compensazione previsto dal codice, con i limiti e le garanzie della relativa disciplina.
3.- Tale indirizzo non è stato costantemente seguito da questa Corte, che, in alcune occasioni, ha affermato il diverso principio secondo cui è configurabile la c.d. compensazione atecnica allorchè i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto – la cui identità non è pertanto esclusa dal fatto che uno dei crediti abbia natura risarcitoria derivando da inadempimento -, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta un accertamento che ha la funzione di individuare il reciproco dare ed avere senza che sia necessaria la proposizione di un’apposita domanda riconvenzionale o di un’apposita eccezione di compensazione (così, fra le altre, Cass, n. 28855/2008, cha ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano ritenuto la compensabilità tra i crediti vantati da una banca e nascenti dal comportamento illecito di un suo dipendente, e le somme cui la banca stessa era tenuta a titolo di t.f.r. a favore di quest’ultimo, nonchè, da ultimo, Cass. n. 7624/2010, Cass. n. 8971/2011).
4.- Con la citata sentenza n. 28855 del 2008 questa Corte ha precisato, fra l’altro, che nell’ambito dell’unico rapporto "l’accertamento del dare ed avere va compiuto possibilmente in un unico contesto giudiziario, perchè si tratta di operazione funzionale alla verifica di quanta parte della pretesa vantata possa essere realmente riconosciuta" e ha ribadito che, proprio per questo motivo, quando si discute in giudizio della sussistenza di crediti derivanti da un unico rapporto, la controversia tra le parti sulla misura di tali crediti "comporta l’accertamento del dare e dell’avere nell’ambito di quel rapporto, senza che sia necessaria la proposizione di un’apposita domanda riconvenzionale o di un’apposita eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono".
5.- Nella specie, peraltro, come evidenziato anche dalla sentenza impugnata, la domanda proposta da parte attrice, tendente ad ottenere il pagamento dell’indennità di fine rapporto nella misura intera, e non nella misura ridotta calcolata dalla R.A.S. portando in detrazione l’importo del proprio contocredito, presupponeva espressamente l’accertamento della illegittimità della trattenuta così operata dalla compagnia di assicurazione sulle indennità spettanti all’agente per la cessazione del rapporto di lavoro, sicchè la questione della legittimità di tale trattenuta e dell’esistenza del credito vantato dalla società (anch’essa espressamente contestata dal C.) era stata già introdotta dall’azione promossa da parte attrice ed era così entrata a far parte, comunque, del thema decidendum, senza che, già per questa sola ragione, dovesse ritenersi necessaria la proposizione di una apposita domanda riconvenzionale o di una apposita eccezione di compensazione. E tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.
ex plurimis Cass. n. 2289/2000), la proposizione dell’eccezione di compensazione non necessità di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento difensivo della parte risulti univocamente la volontà di opporre il contocredito (Cass. n. 7257/2006, Cass. n. 391/2006), e, pertanto, la stessa deve ritualmente e tempestivamente proposta nell’ipotesi in cui il convenuto, nell’effettuare i conteggi delle somme spettanti all’attore, abbia portato in detrazione l’importo del proprio contrapposto credito; come avvenuto appunto nella fattispecie in esame, nella quale la controversia è iniziata sul presupposto che la società convenuta avesse già operato, con la contestata trattenuta, la compensazione dei rispettivi crediti e la società, costituendosi in giudizio, ha ribadito la legittimità del proprio operato ed il suo diritto a trattenere le somme addebitate all’agente.
6.- Il ricorso deve essere pertanto accolto per quanto di ragione, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata per l’applicazione alla controversia dei principi di diritto enunciati sub 5).
Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte di appello di Catania, provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese alla Corte d’appello di Catania.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012
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