Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 13-06-2013, n. 26037

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il giudice di pace di Prato condannava W.H.G. per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 3.500 di ammenda.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze, denunciando la violazione di legge, in primo luogo, avuto riguardo alla compatibilità del reato in oggetto con le disposizioni della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE e con le modifiche normative di cui alla L. n. 129 del 2011. In specie, rileva che la modifica delle modalità di espulsione e delle sue conseguenze, intervenuta nella legislazione nazionale a seguito della predetta direttiva ed il necessario adeguamento agli scopi della stessa, induce a dubitare che la previsione di una pena pecuniaria sostituibile con l’espulsione sia compatibile con dette norme, dovendo essere applicata al cittadino straniero irregolare in via prioritaria una procedura di rimpatrio.
Del resto, anche secondo il tenore della disciplina nazionale modificata dalla L. n. 129 del 2011 ogni decisione di rimpatrio deve essere assunta con esame caso per caso e non può basarsi sulla mera irregolarità del soggiorno; tanto non è avvenuto nel caso di specie. Evidenzia, al riguardo, che le predette valutazioni sono rilevanti benchè, nella specie, il giudice non abbia disposto l’espulsione come sanzione sostitutiva, atteso che l’attestazione di illegalità del soggiorno determina la convertibilità della pena pecuniaria con l’espulsione in sede di esecuzione.
Infine, rileva che il giudice ha omesso di accertare se nel lungo tempo tra aprile 2010 e febbraio 2010 fosse o meno intervenuta l’espulsione dell’interessata, con conseguente violazione del comma 5 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis – ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale. Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una "condizione personale e sociale" – quella, cioè, di straniero "clandestino" (o, più propriamente, "irregolare") – e non criminalizza un "modo di essere" della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento costituito dal "fare ingresso" e "trattenersi" nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.
Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di "clandestinità" è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto e la rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene strumentale, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici finali di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di categoria, capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la compatibilità della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico di xxx. Ed è appena il caso di ricordate che già questa Corte aveva statuito che "la fattispecie contravvenzionale prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva Europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato" (Sez, 1, n. 951 del 22/11/2011, xxx, rv.
251671).
Nel caso di specie, quindi, il giudice di pace che ha inflitta sanzione pecuniaria, senza neppure disporre espulsione, ha applicato correttamente la normativa vigente, in relazione a condotta che è ancora prevista come reato.
Non può rilevare in questa sede quanto dedotto dal Procuratore generale ricorrente in ordine alla possibilità che venga disposta la conversione della pena pecuniaria con l’espulsione in sede di esecuzione, atteso che, all’evidenza, il giudice dell’esecuzione potrà operare la necessaria valutazione in ordine alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti dell’espulsione, secondo le indicazioni della direttiva e la disciplina nazionale novellata.
Quanto all’ultimo rilievo, deve evidenziarsi che la disposizione di cui al comma 4, seconda parte, dell’art. 10-bis prevede che il questore comunica all’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato la eventuale avvenuta esecuzione dell’espulsione o del respingimento; pertanto, il giudice non ha alcun onere di verificare l’eventuale espulsione o respingimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2013
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