Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14723

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 25, 26 gennaio e 5 febbraio 1994, S.R. e V.A., in qualità di eredi di U. C.G., convenivano dinanzi al Tribunale di Cagliari B. U., Va., M., V. e R., quali eredi di B.U., chiedendo la condanna dei convenuti al rilascio dell’area fabbricabile sita in (OMISSIS), in catasto f.

11, mappale 45 sub e). A sostegno della domanda, gli attori deducevano:

-che gli istanti, nella qualità, avevano citato dinanzi allo stesso Tribunale B.U., chiedendo la sua condanna al rilascio del predetto immobile;

-che il convenuto, nel costituirsi, aveva sostenuto di essere proprietario del terreno, trasferitogli dall’ U. con una lettera del 10-7-1954, quale corrispettivo per prestazioni professionali da lui svolte;

-che, per l’ipotesi in cui il contenuto della lettera venisse inteso come promessa di vendita, il convenuto aveva chiesto una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c.;

-che il Tribunale aveva accolto la domanda attrice, ritenendo che la lettera in questione avesse natura di atto ricognitivo di precedenti intese verbali, non idoneo a perfezionare il trasferimento immobiliare;

-che tale decisione era stata riformata dalla Corte di Appello di Cagliari, la quale aveva attribuito al negozio contenuto nello scritto la natura di datio in solutum, ed aveva dichiarato il B. proprietario dell’area, per effetto del mancato rifiuto dell’offerta contenuta nella citata lettera;

-che con sentenza del 30-6-1987 la Corte di Cassazione aveva cassato con rinvio la sentenza di appello, affermando il principio di diritto secondo cui, per poter effettuare il trasferimento del bene mediante datio in solutum, è necessaria un’accettazione espressa della proposta, non potendosi ritenere l’applicabilità dell’art. 1333 c.c.;

-che la Corte di Appello di Roma, in sede di rinvio, con sentenza dei 3-11-1992 aveva dichiarato l’estinzione del processo, in quanto non riassunto tempestivamente nei confronti degli eredi di S. V., deceduto nelle more del giudizio.

Tanto premesso, gli attori, affermando di voler far valere il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, deducevano che non era mai stato concluso il contratto dedotto dal B., in difetto di accettazione scritta della proposta contenuta nella lettera del 1954; sostenevano altresì l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 1330 c.c., in quanto, non essendo l’impresa U. sopravvissuta al titolare, il contratto non poteva ritenersi concluso dopo la morte del proponente.

Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della domanda, rilevando, in particolare, che dal 1971 essi erano rimasti, animo domini, nel possesso del bene, del quale, pertanto, avevano acquistato la proprietà a titolo originario, per l’ipotesi in cui si escludesse un loro acquisto a titolo derivativo.

Il Tribunale adito, dopo aver disposto l’integrazione del contraddicono nei confronti degli eredi di S.C. e S. V., con sentenza depositata il 14-10-2004 rigettava la domanda attrice; in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava l’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà del bene da parte dei convenuti, dando atto, in particolare, che il possesso del dante causa dei convenuti doveva essere sommato a quello esercitato da questi ultimi, e che l’unico atto interruttivo dell’usucapione era costituito dalla citazione introduttiva del giudizio instaurato nel 1971.

Con sentenza depositata il 15-12-2007 la Corte di Appello di Cagliari rigettava il gravame proposto avverso la predetta decisione da S. G. e V.B.M., quali eredi di S.R. e di S.A..

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso S. G. e V.B.M., sulla base di un unico motivo.

Hanno resistito con un comune controricorso B.R., M. e V., e con distinti controricorsi Ba.

V. e U..

Ba.Va. ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1) Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112 e 393 c.p.c., dell’art. 2943 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi. Sostengono che la Corte di Appello, nel pronunciare sulla domanda di usucapione proposta dai convenuti, ha violato l’art. 393 c.p.c., non avendo tenuto conto dell’effetto vincolante che la sentenza della Corte di Cassazione conserva nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda del processo dichiarato estinto. Rilevano che la sentenza impugnata ha altresì violato l’art. 112 c.p.c., in quanto non si è pronunciata sull’eccezione dei S. di inammissibilità della domanda di usucapione proposta dai convenuti e sulle altre eccezioni formulate dagli appellanti in ordine a tale domanda. Deducono, inoltre, che la Corte di Appello ha errato nel ritenere l’inidoneità dell’atto di citazione per riassunzione del processo dinanzi al giudice del rinvio ad interrompere il corso dell’usucapione.

2) Il motivo, nella parte in cui denuncia vizi di motivazione, è inammissibile, non rispondendo ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame, proposto avverso una sentenza di appello pubblicata dopo l’1-3-2006 e prima del 4-7-2009.

E invero, in base alla menzionata disposizione di legge, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (v. per tutte Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603).

Nella specie, nel motivo in esame non è dato cogliere una sintetica e chiara esposizione riassuntiva del fatto controverso in relazione al quale sussisterebbero i dedotti vizi motivazionali, nonchè delle ragioni della ritenuta inidoneità della motivazione a sorreggere la decisione adottata.

3) In relazione alle dedotte violazioni di legge procedurale e sostanziale, il ricorrente ha formulato i seguenti quesiti di diritto:

a) Vero che l’effetto vincolante della sentenza della Corte di Cassazione di cui all’art. 393 c.p.c., nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda del processo estinto, deve e non può che tradursi nella preclusione di ogni mutamento della domanda e dei fatti accertati nella sentenza dalla stessa cassata ed inibisce alle parti ogni nuova attività istruttoria o assertiva, che non dipenda strettamente dalle statuizioni della Suprema Corte, come anche detto da Cass. 20-3-1992 n. 3520, 5-12-2002 n. 17266 e Cass. 5- 9-2003 n. 13006? b) Vero che la mancata pronuncia, da parte della sentenza che si impugna al riguardo, sulle domande ed eccezioni delle parti concernenti il merito della causa, importa la nullità della stessa per violazione dell’art. 112 c.p.c? c Vero che l riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, conseguente a cassazione della sentenza di secondo grado, che attenga al merito, costituendo una nuova ed autonoma fase del processo, che pur essendo soggetta per ragioni di rito alle norme riguardanti il corrispondente procedimento di primo e secondo grado voluto dalla sentenza rescindente, ha natura integralmente rescissoria, nel senso che mira ad una sentenza, che senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia riformandola, statuisce per la prima volta sulle domande proposte dalle parti e, come tale, è un atto valido ad interrompere la prescrizione o a costituirsi in mora, come anche detto dall’art. 2943 c.c.? Nella parte de qua, contrariamente a quanto eccepito dai controricorrenti, il motivo in esame deve ritenersi ammissibile. Come è stato puntualizzato da questa Corte, infatti, allorchè uno stesso motivo contenga, come nella specie, diverse censure, aventi ciascuna un proprio, specifico e ben delimitato oggetto, appare rispondente alle prescrizioni di cui al citato art. 366 bis c.p.c. la formulazione di distinti quesiti, corrispondenti a ciascuna delle censure prospettate (v. Cass. 21-9-2007 n. 19560).

4) Le censure mosse dai ricorrenti, tuttavia, appaiono infondate.

Non sussiste, in primo luogo, la dedotta violazione art. 393 c.p.c. Deve premettersi che, a seguito della declaratoria di estinzione del precedente procedimento instaurato con citazione del 29-3-1971, gli attori hanno proposto un nuovo giudizio, riproponendo ex novo, con autonoma citazione dinanzi al Tribunale di Cagliari, quale giudice di primo grado, la domanda di rilascio d’immobile già formulata nel procedimento estinto.

In relazione al nuovo giudizio così introdotto, trova applicazione il citato art. 393 c.p.c., il quale, dopo aver disposto che, se la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio non avviene entro il termine previsto dall’art. 392 c.p.c. o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, si estingue l’intero processo, stabilisce che la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda.

Ciò posto, si osserva che i giudici di merito non hanno affatto violato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5748 del 30-6-1987, secondo cui, anche ai fini del trasferimento di un bene immobile con la datio in solutum, è necessaria l’accettazione scritta. Proprio in applicazione di tale principio, infatti, come si legge a pag. 5 della sentenza impugnata, il giudice di primo grado (con statuizione non impugnata dalle parti e, quindi, passata in giudicato), ha escluso che il negozio traslativo dell’immobile per cui è causa si sia perfezionato, mancando una valida accettazione con atto scritto della proposta di cessione di cui alla lettera del 1954.

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, d’altro canto, la vincolatività, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione anche nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda, non preclude alle parti la possibilità di proporre, nel nuovo procedimento, domande o eccezioni nuove rispetto a quelle proposte nel processo estinto.

Trattandosi, infatti, di un processo nuovo, non opera la preclusione prevista dall’art. 394 c.p.c., comma 2, che, con riguardo ai giudizio di rinvio, non consente alle parti di prendere conclusioni diverse rispetto a quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata.

Nella specie, pertanto, legittimamente i giudici di merito si sono pronunciati sulla domanda riconvenzionale di usucapione, proposta dai convenuti in via subordinata rispetto alla tesi dei loro acquisto della proprietà per effetto dell’accordo traslativo tra il dante causa dei S. con il loro dante causa, già prospettata dai B. nel procedimento estinto.

5) La Corte di Appello, inoltre, non è incorsa nella dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto si è pronunciata su tutte le eccezioni sollevate dagli appellanti, indicate nel ricorso, rilevando:

– che la domanda di accertamento dell’usucapione, proposta in via subordinata dagli appellati nel nuovo giudizio, costituisce una domanda diversa rispetto a quella sulla quale si è formato il giudicato per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione;

-che non sussiste alcuna incompatibilità logica e giuridica tra tale domanda e la tesi dell’acquisto della proprietà a titolo traslativo sostenuta nel precedente giudizio, essendo entrambe volte all’accertamento della proprietà del bene, sia pure sulla base di diversi titoli giuridici;

-che gli eredi B., pertanto, ben potevano far valere nel nuovo giudizio instaurato dai S. l’acquisto del bene a titolo originario per effetto dell’usucapione verificatasi;

-che l’accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione mon ha comportato alcuna violazione del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, la quale ha giudicato solo sulla proposta contenuta nella lettera del 1954, ritenendo che nessuna accettazione fosse mai intervenuta;

-che, a prescindere dalla validità della lettera del 1954 come proposta, in ordine alla quale è intervenuta la pronuncia della Corte di Cassazione, il contenuto di tale missiva vale sicuramente quale atto fondante il possesso da parte di B.U., il quale, in virtù di essa, riteneva di essere proprietario e, quindi, possessore del bene;

– che gli eredi di B.U. hanno continuato a possedere il terreno ai sensi dell’art. 1146 c.c.;

– che a fronte di tale possesso, connotato dei requisiti richiesti dall’art. 1163 c.c., il primo atto interruttivo posto in essere dagli attori si è verificato nel 1971, con la notifica dell’originario giudizio promosso dinanzi al Tribunale di Cagliari;

-che a seguito dell’estinzione del processo, tale atto ha prodotto effetti istantanei con effetti permanenti, non potendosi, in particolare, attribuire un’autonoma efficacia interruttiva all’atto di riassunzione del processo;

-che l’unico atto successivo idoneo ad interrompere il termine di usucapione è rappresentato dalla notifica della citazione dei nuovo giudizio di merito, avvenuta nel gennaio-febbraio 1994, quando l’usucapione ventennale era ormai maturata.

4) La sentenza impugnata, infine, non ha violato l’art. 2943 c.c..

Giova rammentare che in tema di usucapione, poichè, con il rinvio fatto dall’art. 1165 cod. civ. all’art 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge; con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere "ope iudicis" la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (tra le tante v. Cass. 25-7-2011 n. 16234; Cass. 23-12-2010 n. 26018;

Cass. 11-6-2009 n. 13625).

Con riguardo agli atti giudiziali, come del resto previsto anche in tema di prescrizione, l’efficacia interruttiva è riconosciuta dalla legge solo ad atti tipici e specificamente enumerati, quali l’atto introduttivo di un giudizio, ovvero la domanda riconvenzionale, non già a qualsiasi atto del processo genericamente considerato (Cass. 16-1-2006 n. 726; Cass. 5-3-1973 n. 603; Cass. 12-2-1971 n. 435).

In particolare, questa Corte ha avuto modo di precisare che l’atto di riassunzione del processo, essendo un atto di impulso processuale destinato essenzialmente a riattivare il corso del processo, non ha l’autonoma e distinta efficacia interruttiva della prescrizione attribuita agli atti indicati nei primi due commi dell’art. 2943 c.c.; sicchè i suoi effetti restano assorbiti e travolti dalla successiva estinzione dei processo che con esso sia tardivamente riassunto, a meno che non possano allo stesso riconnettersi, ricorrendone gli estremi, gli effetti di un atto di costituzione in mora (Cass. 13-12-2010 n. 25126; Cass. 16-5-1987 n. 4523; Cass. 26-6- 1976 n. 2414).

Tali principi valgono anche in relazione all’atto di riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, disponendo l’art. 393 c.p.c. che qualora, a seguito della cassazione con rinvio della sentenza impugnata, si verifichi l’estinzione del giudizio di rinvio, alla stessa consegue l’estinzione dell’intero processo, permanendo quindi solo l’effetto interruttivo della prescrizione provocato dalla originaria domanda giudiziale, dalla quale comincia a decorrere il nuovo periodo di prescrizione.

Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello, nel dare atto dell’intervenuta estinzione del precedente giudizio di rilascio dell’immobile promosso dai S. nei confronti dei B., ha riconosciuto efficacia interruttiva (istantanea) dell’usucapione solo alla notifica della relativa citazione introduttiva del 1971, negando invece analoga efficacia alla notifica dell’atto di riassunzione del processo dinanzi al giudice di rinvio.

Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, infatti, l’atto di riassunzione ex art. 392 c.p.c. non potrebbe assumere rilevanza, agli effetti considerati, nemmeno quale atto di costituzione in mora, in quanto, come è noto, gli atti di diffida e di messa in mora sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione, ma non anche il termine utile per usucapire, potendosi esercitare il relativo possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare dei diritto reale (Cass. 11-7-2011 n. 15199;

Cass. 19-6-2003 n. 9845; Cass. 23-11-2001 n. 14917).

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, alla cui liquidazione si provvede in dispositivo, tenendo conto delle attività difensive concretamente svolte dai vari controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida per B.R., M. e V. in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, per Ba.Va. in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, e per B.U. in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *