Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14722

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato l’avv. V.V. conveniva in giudizio, dinanzi al Pretore di Sondrio – sez. dist. di Tirano, la signora C.A.A. invocando la declaratoria di acquisto per usucapione, ai sensi dell’art. 1158 c.c., di una parte dell’area sita in (OMISSIS), rientrante nel terreno al mappale n. 862, di proprietà della C., ma contiguo ai proprio, insistente sul mappale 100.
Nella costituzione della convenuta, il Tribunale di Sondrio (nel quale era confluita la soppressa Pretura), con sentenza n. 605 del 2001, rigettava la domanda e condannava l’attore al pagamento delle spese giudiziali. Interposto appello da parte del V. e nella resistenza della C., la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1409 del 2005 (depositata il 30 maggio 2005), rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte lombarda, delimitato in via preliminare l’ambito oggettivo della controversia (che ineriva, in effetti, una parte di suolo sulla quale insisteva un’altalena posta in essere dall’originario dante causa dell’appellante, mediante l’installazione di due pali, uno dei quali infisso nel terreno della C.), rilevava che, alla stregua delle espletate prove, non era emersa – come già ritenuto dal giudice di primo grado – una prova univoca per l’affermazione della fondatezza della proposta domanda ex art. 1158 c.c., avuto riguardo ai presupposti previsti da tale norma e, in particolare, alla prova del possesso "uti domini" da parte del V. e dei suoi danti causa per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’avv. V.V., articolato in sei motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata C.A.A..
Il ricorrente ha depositato, altresì, memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine all’apprezzamento delle prove (art. 116 c.p.c., comma 1), nonchè l’illogicità e la contraddittorietà della definizione di scienza diretta di un rilevante fatto di causa di cui un teste ( Co.), non presente, aveva avuto successiva notizia, donde l’irrilevanza della relativa deposizione.
1.1. Il motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.
Al di là del profilo (inerente all’osservanza del necessario requisito dell’autosufficienza) che il contenuto delle deposizione del C. non risulta trascritta, osserva il collegio che la Corte di appello di Milano, nella sentenza impugnata, ha dato sufficientemente conto, in funzione della valutazione della prova assunta già in primo grado, che i testi addotti nell’interesse della Ca. erano a conoscenza dei fatti di causa per scienza diretta, mentre i testi indicati dal V. avevano reso deposizioni sostanzialmente generiche. La circostanza che la Corte territoriale abbia ritenuto anche la deposizione del Co.Gi. fondata sulla conoscenza diretta dei fatti della vicenda non ha scalfito l’esito che il giudice di appello ha fatto scaturire dalle complessive prove oggetto di esame, non essendo certamente rimasta dimostrata, in senso contrario, che tale testimonianza "de relato" abbia avuto valore esclusivo ai fini della decisione della controversia.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine all’apprezzamento delle prove (art. 116 c.p.c., comma 1), relativamente alla specificazione del contenuto del presunto "accordo" e alle sue conseguenze giuridiche, oltre all’eventuale violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c.. In particolare, il ricorrente ha inteso confutare la conclusione secondo cui la circostanza in base alla quale il dante causa dell’appellata non avesse inteso abdicare al proprio diritto di proprietà non poteva essere desunta dall’esistenza di un accordo del quale non era stato definito il contenuto e che non era stato redatto per iscritto.
2.1. Anche questa doglianza è priva di pregio giuridico.
Infatti, al di là del fatto che la Corte distrettuale ha fondato la valutazione dell’esclusione dell’acquisto immobiliare a titolo di usucapione preteso dall’odierno ricorrente sulle altre complessive prove (soprattutto orali) acquisite e ritenute maggiormente attendibili, lo stesso giudice di appello ha rilevato che l’accordo intervenuto tra il padre della C. e il sacerdote P. R. aveva riguardato la sola circostanza del posizionamento dell’altalena, evidenziando come tale condotta servisse soltanto a colorire il comportamento che le parti avevano inteso realizzare al fine di approntare un servizio per i bambini della colonia nei mesi estivi; tuttavia, a tale condotta non poteva certamente riconoscersi alcuna rilevanza ad altri scopi, spettando al V. provare – senza che ciò sia, però, risultato riscontrato – l’idoneità dell’accordo a far ritenere che il dante causa della C. avesse inteso abdicare al possesso vantato sulla zona del fondo in cui era stato infisso il predetto manufatto.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’apprezzamento delle prove testimoniali e documentali.
4. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione in ordine all’apprezzamento delle prove sulla durata del possesso come richiesto dall’art. 1158 c.c., rilevando come la Corte territoriale non avesse fatto neanche un minimo accenno al requisito temporale del possesso continuato per venti anni necessario per l’acquisito del diritto a titolo di usucapione.
4.1. Anche questi due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi – non meritano accoglimento.
Occorre, innanzitutto, rilevare che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (nella versione applicabile "ratione temporis" antecedente alle modifiche sopravvenute con la L. n. 69 del 2009) non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’"iter" seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Oltretutto, è risaputo (v. Cass. n. 4035 del 2007 e Cass. n. 11410 del 2010) che l’accertamento relativo al possesso "ad usucapionem", alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici.
Orbene, la Corte lombarda ha dato conto – con motivazione sufficientemente logica ed adeguata – di aver congruamente svolto la valutazione dei complessivi esiti probatori scaturiti dalla espletata prova orale e, nel tenere presente i presupposti giuridici idonei – ai sensi dell’art. 1158 c.c. – a determinare l’acquisto del preteso diritto di proprietà a titolo di usucapione, ha escluso che, nella fattispecie, fossero rimasta univocamente riscontrata la prova della loro sussistenza (e, quindi, anche con riferimento al requisito temporale ventennale, per quanto desumibile dall’inequivoca frase riportata in fondo a pag. 3 della sentenza impugnata, laddove si allega che non era stata offerta la prova del possesso "uti domini" da parte del V. e/o dei suoi danti causa per il tempo necessario al compimento dell’usucapione). In particolare, la Corte territoriale ha coerentemente ed adeguatamente preso in considerazione le prove testimoniali assunte in primo grado evidenziando come, alla precisione delle dichiarazioni rese dai testi indicati dalla C. (a conoscenza dei fatti prevalentemente per scienza diretta), avesse fatto riscontro la sostanziale genericità delle deposizioni dei testi addotti dal V., che si erano limitati o a confermare le circostanze capitolate senza alcuna specificazione o a rendere dichiarazioni poco attendibili siccome generiche, ponendo in risalto come, dalle complessive emergenze probatorie valutate, era risultato che l’uso dell’altalena era discontinuo e limitato al periodo estivo e che non ostava ad un’attività di coltivazione "in loco" negli altri periodi, che il proprietario aveva, invero, continuato ad esercitare.
Del resto, in virtù della consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della "ratio decidendi", e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata; pertanto, questi vizi non possono consistere – contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente nella presente sede di legittimità – nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova.
5. Con il quarto motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 c.c. in ordine all’abdicazione al diritto di proprietà del fondo da parte del titolare come condizione per il possesso per l’acquisto a titolo di usucapione da parte del "non dominus".
5.1. Anche questo motivo non coglie nel segno e deve, quindi, essere respinto. Al di dell’adeguatezza e logicità della motivazione della sentenza impugnata nei sensi appena indicati in risposta al terzo e quinto motivo del ricorso, si osserva (cfr, per riferimenti, Cass. n. 1538 del 1967 e Cass. n. 15755 del 2001) che, se è vero che l’acquisto della proprietà per usucapione ha per fondamento una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisca a lui nella utilizzazione di essa, ne consegue che l’esercizio, da parte del proprietario, di taluna delle facoltà inerenti al suo diritto (come rimasto accertato in punto di fatto nella fattispecie, sulla scorta del congruo percorso argomentativo adottato dalla Corte territoriale), oltre a rendere di per sè equivoca e non pacifica l’altrui situazione possessoria, fa sì che questa non aderisca al contenuto del diritto di proprietà (ai sensi dell’art. 1140 c.c.), che deve presentare i caratteri della pienezza e dell’esclusività (in virtù dell’art. 832 c.c.), e non possa, quindi, dar luogo all’acquisto del diritto stesso per usucapione.
6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente ha inteso far valer il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 209 e 281 c.p.c. per il mancato provvedimento sull’istanza di esso ricorrente di espletamento della prova contraria già ammessa, nonchè il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze dell’attività istruttoria nell’ipotesi di implicito rigetto dell’istanza stessa.
6.1. Questo motivo si prospetta inammissibile.
Rileva, infatti, il collegio che, al di là della circostanza che la Corte di appello di Milano ha menzionato e valutato tutte le deposizioni dei testi escussi (ivi compresi quello indicati dal V.), il ricorrente, a fronte della censura rivolta alla revoca della prova delegata ritenuta non necessaria, anche se l’istanza di escussione era stata riproposta in secondo grado, avrebbe dovuto indicare le ragioni esposte per contrastare la superfluità dell’escussione e, in ogni caso, in osservanza del principio di autosufficienza, indicare, ai fini della valutazione della eventuale decisività della mancata audizione, i capitoli sui quali i testi avrebbero dovuto essere sentiti. Non avendo il ricorrente assolto a questo onere, il motivo non può che essere ritenuto inammissibile (cfr., ad es., Cass. n. 5394 de 1998; Cass. n. 11895 del 2003 e, da ultimo, Cass., S.U., n. 28336 del 2011).
7. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2A Sezione civile, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012
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