Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 05-12-2013, n. 48788

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 16.3.2012 la corte di appello di Campobasso dichiarava inammissibile l’istanza di revisione proposta da C. N., avente ad oggetto la sentenza, passata in giudicato, con cui la corte di appello di L’Aquila, in data 4.2.2009 aveva condannato il suddetto C. alla pena di anni due di reclusione in relazione al delitto di cui all’art. 423 c.p..
La corte territoriale, nel dichiarare inammissibile la menzionata richiesta di revisione con ordinanza resa de plano, ai sensi dell’art. 634 c.p.p., comma 1, rilevava che gli elementi che ne sono posti a fondamento, rappresentati dalle sopravvenute dichiarazioni, documentate in forma scritta e fonoregistrata, con cui la S. E., testimone di accusa ritenuta essenziale dalla corte di appello di L’Aquila per affermare la responsabilità del C., aveva rivelato che quanto da lei riferito nel corso della sua deposizione testimoniale circa la responsabilità di quest’ultimo "era solo un suo pensiero", specificando di essersi "sentita intimorita durante la deposizione testimoniale" e di essere sicura che il suddetto C. fosse estraneo all’episodio criminoso per cui ha riportato condanna, "non sono idonei per ammettere la revisione della sentenza di condanna e portare a pronunzia proscioglitiva del richiedente".
A siffatta conclusione la corte territoriale perveniva, evidenziando sia come la modifica o la ritrattazione di dichiarazioni testimoniali non possa considerarsi "prova nuova", sia il contenuto generico delle sopravvenute dichiarazioni della S. (sulla cui autenticità, inoltre, avanzava delle perplessità), rispetto alle "precise circostanze fattuali comunque da lei dichiarate nella istruttoria dibattimentale." Aggiungeva, infine, il giudice di secondo grado che l’affermazione di responsabilità del C. trova, altresì, fondamento "su ulteriori circostanze" fattuali specificamente indicate in motivazione, nonchè sulla inverosimiglianza della versione alternativa, che attribuisce a mera fatalità l’incendio dei due autoveicoli per cui si è proceduto e sulla dimostrata esistenza di un movente di natura ritorsiva, che ha indirizzato l’azione criminosa del C..
Avverso tale ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso il C., articolando quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 631 c.p.p., per avere la corte territoriale fondato la propria decisione di inammissibilità della proposta istanza di revisione, su valutazioni di merito che le erano precluse in una fase in cui nessuna garanzia difensiva è contemplata, in assenza di contraddittorio tra le parti, laddove il giudice di secondo grado si sarebbe dovuto limitare ad una sommaria delibazione circa i nuovi elementi di prova addotti, al solo scopo di valutare se, così come prospettati, essi potessero apparire astrattamente idonei ad incidere favorevolmente sulla valutazione delle prove già raccolte e sul giudizio di colpevolezza scaturizione.
Il ricorrente, inoltre, contesta l’affermazione della corte territoriale, secondo cui l’istanza di revisione si fonda sulla ritrattazione della teste S., la cui deposizione ha fondato la condanna del C., osservando che le dichiarazioni della S. non costituiscono una "ritrattazione", in senso tecnico, ex art. 376 c.p., ma, piuttosto, essendo contenute in una missiva pervenuta al C. ovvero nella fonoregistrazione di una conversazione intercorsa tra l’imputato e la stessa S., semplici circostanze di fatto idonee ad incidere sulle ragioni del giudicato, e, comunque, che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, non può sostenersi che la ritrattazione non costituisce mai una "prova nuova", ai sensi dell’art. 630 c.p.p., dovendosi, invece, in presenza di una ritrattazione, procedere ad un rigoroso accertamento incidentale sulla attendibilità di quest’ultima.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 634 c.p.p., per avere la corte territoriale ritenuto inammissibile per manifesta infondatezza la proposta richiesta di revisione, come si evince dal tenore della motivazione dell’ordinanza impugnata, non sulla base di un semplice e sommario esame delibativo, ma alla luce di una vera e propria valutazione di merito degli elementi di prova, svolta al di fuori delle garanzie del contraddittorio, incompatibile con la ratio, i limiti e le finalità del giudizio delibativo di cui al citato art. 634 c.p.p..
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta i vizi della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 125, c.p.p., per avere la corte territoriale, da un lato affermato che le dichiarazioni della S. sono decisive per la condanna del C., dall’altro, contraddittoriamente, che la responsabilità di quest’ultimo trova fondamento in ulteriori elementi, specificati in motivazione, che, tuttavia, ad avviso del ricorrente, non sono altro che circostanze meramente indizianti, del tutto prive di consistenza probatoria.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 634 c.p.p., per avere la corte territoriale assunto la decisione oggetto di ricorso, dopo avere acquisito il parere del procuratore generale presso la corte di appello di Campobasso, che, tuttavia, non veniva mai comunicato al ricorrente.
Con requisitoria scritta depositata il 19.7.2012 il pubblico ministero, nella persona del sostituto procuratore generale, Dott. xxx xxx, chiedeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Tanto premesso, il ricorso appare fondato e va, pertanto, accolto.
Vertendosi, nel caso in esame, in tema di richiesta di revisione fondata su elementi sopravvenuti mai valutati dai giudici di merito, rappresentati dalle nuove dichiarazioni della S., ritiene il Collegio di uniformarsi alla prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di revisione, l’art. 631 c.p.p., prevede che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione debbano, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, "se accertati", che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 c.p.p..
Pertanto l’autorità giudiziaria, nella prima fase del procedimento, deve svolgere unicamente una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, finalizzata alla verifica dell’eventuale sussistenza di un’infondatezza che, in quanto definita come "manifesta" (art. 634 c.p.p.), deve essere rilevabile "ictu oculi", senza necessità di approfonditi esami.
Mentre è soltanto nel successivo giudizio di merito (che, peraltro, può concludersi, con una pronuncia di inammissibilità) che gli elementi posti a fondamento della domanda devono essere sottoposti a un’indagine volta ad accertarne la concreta sussistenza.
In altri termini, la valutazione preliminare sulla richiesta non può mai consistere in un’anticipazione dell’apprezzamento di merito riservato al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti, dovendo il giudice di merito, nel corso della fase rescindente che si conclude con la pronuncia in ordine all’ammissibilità della domanda, limitare il proprio compito alla valutazione in astratto, e non in concreto, della sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare, ove accertati, che il condannato, attraverso il completo riesame di tutte le prove, unitamente a quelle nuove prodotte, debba essere prosciolto (cfr.
Cass., sez. 4^, 15/03/2007, n. 18350, C, nonchè, nello stesso senso, Cass., sez. 4^, 03/12/2009, n. 2437, G.). A tali principi non si sottrae l’ipotesi in cui gli elementi di novità sono costituiti dalle nuove dichiarazioni del teste dell’accusa, di contenuto opposto, rispetto a quanto dallo stesso riferito nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
In tale evenienza, infatti, ai fini della ammissibilità della istanza di revisione, la ritrattazione della precedente testimonianza, sia che la si voglia qualificare in termini di "prova nuova" ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. c), sia che la si consideri rilevante per dimostrare, ex art 630, lett. d), il carattere calunnioso della precedente dichiarazione poi ritrattata su cui si è fondata la condanna, nel caso in cui, come quello in esame, l’ipotizzabile reato di calunnia è già estinto e non può pertanto essere valutato nel merito dal giudice competente, deve formare oggetto di un rigoroso vaglio di attendibilità da parte del giudice della revisione, che deve procedere incidentalmente all’accertamento della calunnia al fine di valutare l’attendibilità della ritrattazione, in quanto l’ordinamento non può consentire che l’efficacia del giudicato venga rimessa in gioco da una tardiva e ingiustificata ritrattazione, non accompagnata dalla spiegazione delle ragioni che avrebbero determinato il pregresso, preteso mendacio (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 3^, 28/11/2007, n. 4960, G., rv. 239089). Tanto premesso, appare evidente che la corte di appello di L’Aquila, nel dichiarare de plano l’inammissibilità della richiesta di revisione proposta dal C., ha operato una valutazione in concreto, e non in astratto, in ordine alla idoneità dei nuovi elementi prospettati dall’imputato a mettere in discussione l’efficacia del giudicato già formatosi, fondata su di un giudizio di inattendibilità della intervenuta ritrattazione della S., desunta non ictu oculi, ma sulla base di un approfondito esame che ha investito la autenticità dei documenti prodotti a sostegno della richiesta in questione, il ritenuto contrasto tra la genericità delle nuove dichiarazioni e la precisione della deposizione testimoniale resa in dibattimento e la presenza di ulteriori elementi che, comunque, ad avviso della corte territoriale, giustificano la condanna del C..
In tal modo il giudice di secondo grado ha in tutta evidenza oltrepassato i limiti che gli consentivano di giungere ad una pronuncia di inammissibilità con ordinanza resa in assenza del contraddittorio tra le parti ex art. 634 c.p.p., imponendosi, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio alla corte di appello di Bari, che si atterrà per il nuovo esame ai principi sopra esposti.
La fondatezza del ricorso per i motivi illustrati, rendono superfluo l’esame di ogni ulteriore doglianza, apparendo tuttavia opportuno, per completezza espositiva, evidenziare l’infondatezza dell’ultimo motivo di ricorso, in quanto, se è vero che nel giudizio di revisione il parere del pubblico ministero irritualmente acquisito ai fini della valutazione sull’ammissibilità della richiesta e dotato di contenuto argomentativo, deve essere comunicato alla parte richiedente (cfr. Cass., sez. un., 19/01/2012, n. 15189, D., rv.
252020), è altrettanto vero che nel caso in esame il suddetto parere, effettivamente richiesto ed acquisito dalla corte territoriale, si risolve nella formula "parere contrario", priva di qualsivoglia argomentazione, di talchè non andava comunicato al ricorrente.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla corte di appello di Bari per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2013

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