Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 05-12-2013, n. 48787

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 2.12.2011 la corte di appello di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione rigettava l’istanza con cui i coniugi N.V. e D.P. chiedevano la restituzione di due fondi, catastalmente individuati alla partita x, foglio x, particella x, e foglio x, particelle x, x e x, acquistati dalla xxx sulla base di un contratto di vendita con patto di riservato dominio, che il tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, in data 5.6.1993, aveva sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale della confisca e di cui, in seguito ed erroneamente secondo gli istanti, era stata ordinata, ma non eseguita, la restituzione in favore della xxx, successivamente incorporata nella I.S.M.E.A. (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), che, costituitasi nel giudizio di secondo grado, chiedeva, dal suo canto, la restituzione dei beni immobili innanzi indicati, rilevando che il contratto di vendita stipulato con i coniugi N./ D., era stato risolto dal tribunale di Roma, per inadempimento degli acquirenti.
La corte territoriale, nel ripercorrere la vicenda per cui è ricorso, ha innanzitutto evidenziato come la confisca delle particelle in questione sia stata motivata dalla convinzione che N.G. avesse svolto il ruolo di intestatario fittizio di beni in realtà riconducibili al cognato M.S., esponente di vertice di una xxx della "xxx calabrese operante nel territorio di (OMISSIS), confisca, che, tuttavia, veniva revocata, in sede di gravame, dalla corte di appello di Reggio Calabria, che, con provvedimento del 4.12.1996, aveva disposto, in motivazione, la restituzione alla xxx di tutti i fondi (quindi anche di quelli relativi alle particelle innanzi indicate) che avevano formato oggetto del contratto di vendita in cui i coniugi N./ D. risultavano acquirenti, qualificato dalla stessa corte di appello come "complessa vicenda negoziale ritenuta lecita in sede penale", laddove in dispositivo si disponeva la restituzione delle sole particelle n. 168 e n. 308.
Tale provvedimento, in data 16.12.1997, veniva annullato con rinvio dalla Corte di Cassazione e la corte di appello di Reggio Calabria, investita del nuovo esame, con provvedimento del 26.3.2001, nell’accogliere i gravami proposti sul rilievo della carenza di prova in ordine alla disponibilità dei beni da parte dei prevenuti, rilevava come nel decreto annullato dal Supremo Collegio del tutto immotivatamente la restituzione era stata limitata alle richiamate particelle, in quanto, alla luce della "indubbia estraneità della cassa alle vicende di prevenzione personale che hanno coinvolto personaggi legati al gruppo xxx", la restituzione andava estesa anche ad altre particelle, specificamente indicate nel suddetto provvedimento.
Tuttavia, come rilevato dalla corte di appello nell’ordinanza oggetto del presente ricorso, anche in questo caso il giudice di secondo grado era incorso nel medesimo errore di chi lo aveva proceduto, non disponendo la restituzione dei fondi di cui alle particelle in precedenza indicate, reclamati dagli istanti e dalla I.S.M.E.A, beni in relazione ai quali, si legge in motivazione, "valgono le considerazioni svolte, da un canto, in ordine alla estraneità della xxx alle dinamiche che hanno caratterizzato l’agire della xxx xxx e, dall’altro, alla carenza di prova circa la disponibilità dei fondi in testa agli esponenti di spicco della "xxx".
A tale omissione, ad avviso della corte territoriale, non è possibile, ormai, ovviare, in quanto il decreto con cui è stata disposta originariamente la confisca non è mai stato riformato in relazione alle particelle di cui si discute ed il provvedimento adottato in sede di rinvio dopo la pronuncia di annullamento, è divenuto irrevocabile il 3.7.2001, dovendosi, pertanto, concludere nel senso della definitività della confisca disposta il 5.6.1993.
Tale definitività, ad avviso della corte territoriale, che richiama sul punto arresti della Suprema Corte, impedisce di accogliere la richiesta degli istanti, da qualificare, ai sensi della L. n. 1423 del 1956, art. 7, come richiesta di revoca della disposta confisca, anche perchè, inerendo la suddetta richiesta all’ambito della rivedibilità del giudicato ex artt. 630 c.p.p. e segg., essa postula l’acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento ovvero l’inconciliabilità di diversi provvedimenti giudiziari oppure che il procedimento di prevenzione si fondi su atti falsi o su un altro reato, condizioni, evidenzia la corte, del tutto assenti nel caso in esame.
Avverso la menzionata ordinanza, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso i coniugi N./ D. e la I.S.M.E.A., articolando autonomi motivi di impugnazione. Il N. e la D., in particolare, lamentano il vizio della erronea applicazione della legge penale, in relazione alla L. n. 1423 del 1956, art. 7, evidenziando come nel caso in esame si verta in una ipotesi di contraddittorietà dei presupposti fattuali, atteso che, nell’ambito del medesimo provvedimento, da un lato si è riconosciuta espressamente l’estraneità della xxx agli illeciti accertati a carico del M., ragione per la quale è stata disposta a favore dell’ente la restituzione della particella 7/b, dall’altro si è proceduto alla confisca della particella 7/a, come se, per converso, la Cassa fosse coinvolta nelle menzionate vicende delittuose del M.; per ciò, a prescindere dall’esistenza di "prove nuove", l’istanza meritava accoglimento in quanto tesa a rimediare ad una inconciliabilità tra ricostruzioni del fatto e conseguenti disposizioni contenute nel medesimo provvedimento. Identico vizio, fondato sulle medesime ragioni, lamenta l’I.S.M.E.A., che, al pari dei coniugi N./ D., evidenzia come una corretta interpretazione della L. n. 1423 del 1956, art. 7, impone di salvaguardare la possibilità di rimuovere un provvedimento erroneo ed ingiusto a prescindere se l’inconciliabilità esterna, cioè tra diversi provvedimenti giudiziari ovvero interna, vale a dire tra valutazioni e statuizioni contenute nel medesimo provvedimento, aggiungendo come nel caso in esame ricorra, in realtà, un’ipotesi di errore materiale, che può essere corretto indipendentemente dalla definitività del provvedimento ablativo.
Con requisitoria scritta depositata 11.6.2012 il pubblico ministero, nella persona del sostituto procuratore generale, Dott. xxx xxx, chiedeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Tanto premesso, i ricorsi appaiono fondati e vanno, pertanto, accolti.
Ed invero appare non condivisibile il richiamo operato dalla corte territoriale, al fine di rigettare l’appello dei coniugi N./ D., ai principi affermati nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 19.12.2006, n. 57, Auddino ed altri, secondo cui la misura di prevenzione della confisca è soggetta soltanto alla revoca con effetti "ex tunc", su iniziativa di quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o siano stati messi in condizione di prendervi parte, per il caso in cui si accerti, sulla base di elementi nuovi sopravvenuti, l’invalidità genetica del provvedimento per difetto di uno o più dei presupposti di legge, dati dalla pericolosità del proposto, dalla disponibilità diretta o indiretta del bene da parte di questi, dalla sproporzione del valore del bene rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, dall’essere il bene frutto di attività illecite o del reimpiego di profitti illeciti.
Tale condivisibile orientamento giurisprudenziale, confermato da più recenti arresti (cfr. Cass., sez. 1^, 31/01/2013, n. 6016, C.D.G.;
Cass., sez. 2^, 13/01/2012, n. 4312, P. e altro, rv. 251811), valorizza la finalità di revisione della revoca ex tunc della confisca, funzionale a porre rimedio ad un errore giudiziario, facendo valere l’originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione, che resta pur sempre un rimedio straordinario, incompatibile con il mero riesame degli stessi elementi fattuali che hanno portato a disporre la confisca, anche dopo l’introduzione del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28, che prevede casi e modalità tassativi di revocazione della misura.
Infatti, come è stato osservato, nella menzionata sentenza delle Sezioni Unite Penali, "la dimostrazione dell’insussistenza non è tanto diretta a far cessare gli effetti di una confisca legittimamente imposta, quanto a farne palese un vizio d’origine.
Talchè, una volta riconosciuta l’invalidità del titolo, la ritenuta irreversibilità dell’ablazione non esclude la possibilità di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, e, quanto meno, provoca l’insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si è verificata". Come chiarito, inoltre, dal Supremo Collegio nella sua più autorevole espressione, "la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 c.p.p. e segg., con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento (e sono tali anche quelle non valutate nemmeno implicitamente: S.U., 26 settembre 2001, Pisano), ovvero di inconciliabilità di provvedimenti giudiziari, ovvero di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su un altro reato. Gli elementi dedotti saranno diretti a dimostrare l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto in primo luogo la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti".
Nella fattispecie in esame, tuttavia, tali principi non sono applicabili, in quanto, se è vero che i ricorrenti non si sono mossi nell’alveo della rivedibilita del giudicato di cui agli artt. 630 c.p.p. e segg., (ovvero del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28) non prospettando elementi sopravvenuti da cui desumere l’invalidità genetica del provvedimento impositivo della misura di prevenzione reale, è altrettanto vero che essi non erano in condizione di farlo, perchè l’illegittimità del provvedimento ablativo era già stata sancita dalle precedenti decisioni della corte di appello di Reggio Calabria.
Essi, peraltro, non hanno dedotto il mero riesame degli elementi fattuali in base ai quali è stata disposta la confisca, che avrebbe giustificato il rigetto di una richiesta di revoca ex tunc del provvedimento di confisca.
L’ oggetto della richiesta non accolta dai giudici di merito, infatti, va, piuttosto, individuato nella correzione dell’evidente e reiterato errore, riconosciuto dalla stessa corte territoriale nell’impugnata ordinanza, in cui è incorsa la corte di appello di Reggio Calabria nei provvedimenti del 4.12.1996 e del 26.3.2001, nel non disporre, conformemente a quanto deciso, l’integrale restituzione all’avente diritto di tutti i fondi che i coniugi N./ D. avevano acquistato dalla xxx, rispetto ai quali il provvedimento ablativo era stato ritenuto dalla stessa corte di appello nelle sue diverse composizioni ab origine privo di giustificazione, errore che non può ritenersi sanato dal formarsi del giudicato, per mancata impugnazione, sull’ultimo provvedimento adottato dalla corte di appello di Reggio Calabria il 26.3.2001, che i ricorrenti non avevano interesse ad impugnare, per avere il giudice di secondo grado accolto i rilievi difensivi sulla insussistenza dei presupposti per l’adozione della confisca.
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio alla corte di appello di Reggio Calabria Bari, che si atterrà per il nuovo esame ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2013

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