Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14718

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Svolgimento del processo
In data 5 maggio 1951 G.A. chiese al Comune di xxx l’assegnazione di un tratto di terreno sdemanializzato della superficie di metri quadrati 560, sito nella frazione (OMISSIS) e censito al foglio 8 e mappali 71 e 72, allo scopo di costruirvi una casa.
In data 28 luglio 1951 la Commissione edilizia approvò il progetto presentato da G.A., a condizione che quest’ ultimo ottenesse la assegnazione dell’area.
Il successivo 5 agosto 1952 il Comune, preso atto dell’avvenuta edificazione del fabbricato, chiese a G.A. il pagamento del prezzo di cessione dell’area, maggiorato della somma di L. 200.000 a titolo di penale, per l’occupazione del suolo pubblico.
Con atto di citazione notificato in data 12 settembre 1953 il Comune di xxx convenne G.A. di fronte al Tribunale di quella città, chiedendo una pronuncia di accertamento del proprio diritto a ritenere l’opera edificata sul terreno suddetto, contro il pagamento del valore dei materiali e della mano d’opera.
Costituitosi in giudizio, il convenuto lamentò l’iniquità della penale e propose all’attore una permuta con altra area di proprietà del fratello del convenuto. Con delibera in data 3 dicembre 1953 il Consiglio comunale decise di accettare la permuta proposta dal convenuto.
Il giudizio si estinse il successivo 20 luglio 1956,non essendo stato riassunto dopo la l’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo.
Con atto di citazione notificato in data 23 novembre 1994 il G. convenne il Comune di xxx dinanzi al Tribunale di quella città, chiedendo una pronuncia di accertamento dell’avvenuto acquisto dell’area per usucapione.
Con sentenza in data 5 maggio 2003 il Tribunale accolse la domanda.
Con sentenza dep. il 23 febbraio 2006 la Corte di appello di Cagliari, in riforma della decisione impugnata dal Comune, respinse la domanda proposta dall’attore, al quale nel frattempo erano subentrati gli eredi.
Nell’escludere che potesse essere maturato il periodo utile ad usucapione, i Giudici ritenevano che la materiale apprensione del bene de quo da parte dell’attore, che aveva riconosciuto il diritto di proprietà del Comune, era iniziata a titolo di detenzione e non erano risultati atti che potessero essere qualificati come interversione del possesso: l’edificazione, che era avvenuta contro la volontà del proprietario, e la sanatoria dell’abuso edilizio non potevano considerarsi al riguardo sufficienti, posto che per quanto riguardava la prima, l’attività era correlata necessariamente al contemporaneo riconoscimento dell’altrui proprietà del terreno, mentre l’esito positivo della pratica di condono non poteva costituire titolo idoneo a mutare la detenzione in possesso.
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione G. S., G.M.B., G.G., G. A. e P.M.V. sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso l’intimato, depositando memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1.1.- L’unico motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1164 cod. civ. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la decisione gravata laddove aveva erroneamente escluso l’animus possidenti facendo riferimento all’avvenuto riconoscimento della proprietà da parte del G. quando – secondo il consolidato orientamento dottrinario e giurisprudenziale – ciò non è affatto incompatibile con la nozione di possesso. Nella specie, erroneamente era stato ritenuto che la relazione con la cosa fosse iniziata a titolo di detenzione, atteso che non era stato mai stato emanato da parte del Comune di xxx un atto verbale o scritto di concessione del terreno che avesse autorizzato il G. a detenerlo in nome del concedente; l’apprensione del bene e la edificazione del fabbricato erano avvenuti, secondo quanto affermato dalla stessa sentenza "senza aver ottenuto il provvedimento richiesto ed era inoltre avvenuta "contro la volontà del proprietario con l’edificazione di un fabbricato"; quando il Comune di xxx, nel 1953, aveva proposto azione diretta ad affermare il suo diritto dominicale sull’immobile, il G. non poteva non riconoscere la proprietà in capo all’attore dell’immobile, essendo decorso appena un anno dall’impossessamento. Le trattative all’epoca intercorse per la vendita dell’immobile, non concretate in alcun atto formale, non valsero certamente a mutare in detenzione il possesso esercitato dal G..
La motivazione della sentenza impugnata era carente e contraddittoria, in quanto aveva affermato che l’apprensione del bene era avvenuta contro la volontà della proprietà e nello stesso tempo aveva qualificato il dominio sul bene da parte del G. come detenzione nomine alieno. Perchè si abbia detenzione è infatti necessario che la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario di apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario-possessore. Il mutamento dell’animus domini in animus detinendi non è ravvisabile senza un atto di volontà capace di produrlo, cioè senza un atto mediante il quale il possessore animo domini acconsenta ad iniziare un nuovo possesso nomine alieno;
l’elemento soggettivo del possesso non è incompatibile con la conoscenza del diritto altrui, giacchè l’esistenza del possesso astrae dall’esistenza o meno della corrispondente posizione di diritto soggettivo. L’opposizione del titolare del diritto all’esercizio del possesso – al pari del riconoscimento da parte del possessore dell’altrui diritto reale – non fa venir meno in quest’ultimo l’animus possidendi, se il possessore continui ad esercitare il possesso.
1.2.- Il motivo va disatteso.
La sentenza, nel ritenere che la relazione con la cosa del G. fosse iniziata a titolo di detenzione e non di possesso, ha escluso l’animus possidendi avendo correttamente negato che ciò potesse derivare dalla edificazione compiuta dal medesimo. Ed invero i Giudici, nel giungere a tale conclusione, hanno posto siffatta attività in correlazione con la pregressa istanza proposta al Comune dall’attore il quale aveva chiesto l’assegnazione del terreno per costruirvi una casa secondo il progetto che la Commissione edilizia aveva approvato a condizione che il G. avesse ottenuto l’assegnazione del terreno da parte del Comune.
Orbene, il richiamo ai precedenti di legittimità invocati dai ricorrenti per sostenere l’erroneità della decisione laddove i Giudici avevano fatto riferimento al riconoscimento dell’altrui diritto di proprietà, da parte del G. appare fuori luogo perchè – se è vero che l’animus possidendi non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui – occorre considerare che nella specie con la istanza formulata al Comune l’attore aveva manifestato non solo la consapevolezza dell’altruità del bene in questione ma – quel che rileva – il riconoscimento a favore del Comune di un potere poziore, nel senso che aveva mostrato l’intenzione di considerare che la relazione che l’attore intendeva instaurare con la cosa – e che poi effettivamente instaurò procedendo a edificare dipendeva (dalla) ed era subordinata (alla) volontà di colui che era titolare del diritto (il Comune). il sta a significare che la relazione con il bene era iniziata a titolo di detenzione, non potendo considerarsi atto di esercizio di poteri dominicali l’avere costruito, quando comunque prima era stato chiesto e quindi ritenuto necessario un provvedimento che ne avesse consentito da parte del Comune l’utilizzazione: pertanto, sarebbe stata necessaria la univoca ed esteriore manifestazione dell’intervenuto mutamento dell’animus da parte del detentore, idoneo a consentire al proprietario di rendersi conto dell’opposizione al suo possesso.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012

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