Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14717

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 28-6-1993 T.A. assumeva di avere ereditato dai genitori, insieme al fratello G., i beni costituenti un’azienda agricola in (OMISSIS), poi accresciuti dalle parti con l’acquisto dei terreni di cui ai rogiti per notaio xxx del 15-6-1983 e per notaio xxx del 14-1-1971, pur essendo stati tali beni formalmente intestati solo a G.. L’attore affermava che le parti, con scrittura privata del 5/6-7-1990, avevano proceduto ad un accordo divisionale, al quale, tuttavia, il fratello era rimasto inadempiente. Egli, pertanto, conveniva in giudizio T.G., chiedendone la condanna all’adempimento degli obblighi assunti ed alla corresponsione delle somme maturate a suo credito. L’attore, inoltre, chiedeva che si procedesse alla divisione dei terreni dell’azienda agricola in esecuzione delle disposizioni contenute nella citata scrittura privata, che venisse dichiarata la simulazione degli acquisiti dei terreni di cui ai rogiti xxx e xxx in capo al solo G., e che venisse pronunciata la condanna del convenuto al risarcimento danni.
Nel costituirsi, il convenuto eccepiva l’invalidità dei contratto di divisione invocato dalla controparte e, in via riconvenzionale, chiedeva, previa eventuale risoluzione di tale contratto per inadempimento del fratello, che si procedesse alla divisione giudiziale, con condanna dell’attore al risarcimento danni.
Con sentenza non definitiva del 25-3-1997 il Tribunale di Torino dichiarava la nullità della scrittura privata del 5/6-7-1990;
rigettava le domande di risoluzione, di risarcimento danni e di simulazione proposte dall’attore; dichiarava inammissibili la domande di divisione e alcune domande subordinate dal medesimo proposte;
ordinava lo scioglimento della comunione ereditaria paterna e materna; rigettava la domanda di risarcimento danni proposta dal convenuto e dichiarava quest’ultimo tenuto alla collazione relativamente al terreno di cui al rogito xxx del 14-1-1971.
Con ulteriore sentenza non definitiva del 25-1-2000 il Tribunale dichiarava esecutivo il progetto di divisione predisposto dal giudice istruttore, rigettando la domanda di assegnazione formulata dal convenuto.
Con sentenza definitiva del 23-4-2002 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di rendiconto proposta dall’attore e condannava quest’ultimo al pagamento dei due terzi delle spese di giudizio, che dichiarava compensate per il resto.
Avverso le predette sentenze proponevano appello principale T.G. e appello incidentale T.A..
Con sentenza depositata il 18-10-2005 la Corte di Appello di Torino rigettava il gravame principale; in parziale accoglimento dell’appello incidentale, dichiarava integralmente compensate tra le parti le spese di primo grado; condannava l’appellante principale al pagamento delle spese del grado di appello.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso T. G., sulla base di tre motivi.
T.A. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso T.G. lamenta l’omessa motivazione e la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Deduce che la Corte di Appello ha omesso di esaminare il primo motivo di gravame, con cui veniva chiesto che il mappale 79 (cortile e stagno), attribuito nel progetto di divisione al lotto 1, rimanesse in comunione; che, in subordine, il lotto 1 venisse attributo all’appellante; che, in via ulteriormente gradata, venisse dichiarata la non comoda divisibilità della cascina.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omessa pronuncia, in relazione alla richiesta, formulata dall’appellante con il secondo motivo di gravame, di dividere in parti uguali tra i fratelli i tre terreni di maggiore consistenza.
I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
La Corte di Appello ha rilevato che, essendovi più immobili nel patrimonio comune, il giudice di primo grado aveva ritenuto che gli interessi dei condividenti potessero trovare maggiore soddisfacimento non attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari, ma mediante l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio. Essa ha osservato che il criterio scelto dal Tribunale, oltre ad essere stato ampiamente e logicamente motivato, appare del tutto corretto, nell’ottica di garantire ai condividenti i migliori risultati possibili; ed ha, conseguentemente, disatteso le critiche mosse dall’appellante al progetto di divisione, facendo presente, in particolare, che la richiesta di suddivisione della particella 68 in due porzioni non porterebbe a risultati positivi per una più efficace coltivazione e sfruttamento di tale terreno, in quanto la particella in questione, pur essendo di notevoli dimensioni, si sviluppa in lunghezza e, quindi, con il suo frazionamento si determinerebbero porzioni di lunghezza alquanto ridotta, con difficoltà per l’utilizzo dei mezzi agricoli e per la costruzione dei fabbricati nel rispetto delle distanze legali.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, pertanto, la Corte territoriale ha dato sufficiente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere la richiesta dell’appellante di dividere in parti uguali tra i due fratelli ciascuno dei terreni di maggiore consistenza. La decisione resa al riguardo risulta conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui nella divisione non si richiede necessariamente, in sede di formazione delle porzioni, una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo, nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli (Cass. 14-5-2004 n. 9203; Cass. 3-4-1999 n. 3288); e ciò in quanto il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie dei beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, dei mobili e crediti, dovendosi evitare un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei condividenti di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere (Cass. 22-11-2000 n. 15105).
Il giudice del gravame si è espressamente pronunciato anche sul motivo di appello subordinato con cui T.G. aveva rinnovato la richiesta di assegnazione del lotto 1. Esso, infatti, ha dato atto della genericità e, comunque, della infondatezza delle censure mosse dall’appellante avverso la sentenza di primo grado, con la quale era stato rilevato che le quote erano di uguale valore e non vi erano ragioni per derogare al criterio della estrazione a sorte.
Non par dubbio, d’altro canto, che la Corte di Appello, nel dare atto, in via di principio, della correttezza dei criteri seguiti dal giudice istruttore nella formazione del progetto di divisione predisposto sulla base delle indicazioni fornite dal C.T.U., abbia inteso disattendere, sia pure implicitamente, tutte le contestazioni mosse dall’appellante in ordine a tale progetto, comprese quelle inerenti alla richiesta di mantenimento in comunione della particella 79 ed alla dichiarazione di non divisibilità del fabbricato rurale.
Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente, dovendosi piuttosto rilevare che le deduzioni svolte con i motivi in esame, volti a segnalare gli errori contenuti nei progetto di divisione predisposto dal giudice istruttore, investono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità.
2) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 91 c.p.c., e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nonchè dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla compensazione delle spese di primo grado. Sostiene che tale pronuncia è erronea, sia perchè la Corte di Appello, nel ritenere la soccombenza reciproca delle parti, ha preso in considerazione solo le due sentenze non definitive del Tribunale e non anche quella definitiva (con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di rendiconto proposta dal fratello), sia perchè nessuna soccombenza reciproca vi era stata, essendo state rigettate tutte le domande formulate dall’attore ed essendo stata invece accolta la domanda riconvenzionale del convenuto.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, nel sistema (applicabile ratione temporis al caso di specie) di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio della soccombenza, da intendersi nel senso che soltanto la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale ex art. 92 c.p.c. rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, potendo la relativa valutazione essere censurata in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione, riscontrabile nel caso in cui le ragioni addotte per giustificare la compensazione risultino tali da inficiare, per la loro inconsistenza o palese erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito (tra le tante v. Cass. 6-10-2011 n. 20457; Cass. 11- 2-2008 n. 3218; Cass. 17-7-2007 n. 15882; Cass. 17-11-2006 n. 24495;
Cass. 31-7-2006 n. 17457; Cass. 16-3-2006 n. 5828; Cass. 4-5-2005 n. 9260; Cass. 1-9-2003 n. 12744; Cass. 14-11-2002 n. 16012).
Nella specie, pertanto, non essendo stato violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, non è sindacabile in questa sede la decisione della Corte di Appello di compensare interamente le spese di primo grado.
E invero, pur avendo la Corte territoriale fatto specifico riferimento solo alle due sentenze non definitive emesse dal Tribunale e non anche a quella definitiva, appare evidente che la disposta compensazione riposa sostanzialmente su una valutazione globale di reciproca soccombenza delle parti; valutazione che non può ritenersi palesemente illogica ed erronea, avendo il giudice di appello dato atto che ciascuna delle parti ha visto disattendere alcune delle domande ed eccezioni rispettivamente proposte.
4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012

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