Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 22-5-2002 C.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria R. C. esponendo di essere succeduta alla madre M. C., a sua volta succeduta al proprio coniuge S. R. il quale, pochi giorni prima di morire, aveva emesso due assegni bancari del complessivo importo di L. 34.000.000 a favore del nipote R.C.; tanto premesso, chiedeva dichiararsi la nullità delle donazioni delle somme portate dai due assegni per difetto di forma solenne e la condanna del convenuto alla restituzione di tale importo, pari ad Euro 17.559,53 oltre interessi.
Si costituiva in giudizio il convenuto negando che la dazione dei due assegni avesse avuto natura di donazione, perchè il primo era stato utilizzato per il pagamento di spese e competenze notarili in relazione ad un atto pubblico stipulato da R.S., mentre con l’altro quest’ultimo aveva adempiuto ad un’obbligazione naturale, essendo sempre stato seguito dal convenuto nei suoi affari ed assistito durante la degenza in ospedale.
Con memoria ex art. 180 c.p.c., comma 2 depositata il 2-11-2002 il convenuto rilevava che C.M., dante causa dell’attrice, non era erede di R.S. il quale, con testamento olografo, aveva istituito eredi i propri nipoti.
Con memoria depositata il 19-12-2002 l’attrice chiedeva che R. C. venisse condannato a restituire alla massa ereditaria la somma di Euro 17.559,53 indebitamente percepita o, in subordine, che la stessa venisse restituita all’attrice ad integrazione della quota di legittima della propria madre.
Con sentenza del 13-1-2004 il Tribunale adito dichiarava inammissibili tutte le domande attrici.
Proposta impugnazione da parte di C.M.G. cui resisteva R.C. la Corte di Appello di Torino con sentenza del 6-2-2006 ha rigettato il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza C.M.G. ha proposto un ricorso affidato a due motivi illustrato successivamente da una memoria cui R.C. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 588 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso che la dante causa dell’esponente fosse stata chiamata all’eredità del coniuge R.S., con le relative conseguenze in punto inammissibilità delle domande di nullità delle suddette donazioni disposte dal "de cuius".
C.G. sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che l’assegnazione di singoli immobili ai nipoti doveva intendersi come distribuzione del proprio patrimonio da parte del testatore e quindi come istituzione di eredi "ex re certa"; invero l’elencazione dei beni di cui al testamento del 24-2-1968 non esauriva la massa dei beni di proprietà di R.S., restandone esclusi, come riconosciuto dallo stesso giudice di appello, i beni mobili e le somme esistenti nei depositi bancari; in proposito apoditticamente la sentenza impugnata ha ritenuto implicita la volontà del testatore di attribuire tale denaro ai singoli eredi.
La ricorrente ritiene poi irrilevante l’espressione usata dallo stesso testatore in una successiva scheda del 30-7-1972 in cui si leggeva tra l’altro: "Mia moglie esenta di tutti i diritti essendo già avuto da me ricevuto diversi alloggi e negozi"; infatti tale disposizione, se intesa quale clausola di diseredazione, sarebbe priva di effetti per il nostro ordinamento, ed in ogni caso da essa non potrebbe desumersi la volontà di escludere la moglie dalla successione in tutti i beni del testatore, in quanto riferita all’esclusione di ogni diritto su quel solo bene indicato nella scheda, e non su tutti quelli appartenenti al "de cuius".
La ricorrente rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto estendere la ricerca della volontà del testatore anche ad elementi estrinseci alla scheda testamentaria, quale la mancata assegnazione di un intero immobile sito in (OMISSIS); con riferimento a tale bene, mentre era ovvio che di esso non vi fosse traccia ne testamento del 1968, essendo stato acquistato nel 1981, era invece rilevante che non fosse stato assegnato ad alcun parente;
detta circostanza, così come la mancata assegnazione di consistenti somme di danaro esistenti sui conti bancari intestati al testatore, dimostra come l’attribuzione da parte di quest’ultimo di singoli beni e non di quote del proprio patrimonio non possa intendersi quale istituzione di erede, lasciando quindi concorrere la successione testamentaria con quella legittima cui il coniuge partecipa, per i beni non assegnati, in virtù dell’art. 583 c.c..
La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha affermato che dalla lettura del testamento olografo del 24-2-1968 emergeva inequivoca la volontà del testatore di attribuire ai nipoti "pro quota" l’intero patrimonio, e quindi di istituirli eredi e non di attribuire loro singoli beni a titolo di legato; in tal senso ha evidenziato che nella scheda testamentaria tra i beni destinati ai nipoti erano indicati tutti quelli (ad eccezione del denaro verosimilmente depositato in banca e degli oggetti personali) allora appartenenti al "de cuius", in particolare gli immobili ed i titoli, ha aggiunto che era stata disposta la suddivisione dei titoli tra tutti i nipoti, e l’assegnazione dell’alloggio in (OMISSIS) in parte uguali sempre ai nipoti; ha poi rilevato che l’indicazione di ciascun nipote come assegnatario di uno o più immobili appariva finalizzata a compiere la divisione tra loro di detti beni, e che da essa non poteva essere desunta una volontà di effettuare delle disposizioni a titolo particolare, ma quella di attribuire tali beni come quote del patrimonio; l’omessa menzione dell’immobile di (OMISSIS) si spiegava poi con il fatto che esso era stato acquistato il 25-11-1981, quindi in epoca successiva al suddetto testamento olografo, mentre il mancato riferimento al denaro, verosimilmente depositato sui conti correnti bancari, era spiegabile con l’implicita volontà del testatore di attribuire lo stesso in proprietà comune ai nipoti istituiti eredi.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’espressione letterale con cui si apriva la scheda testamentaria del 24-2-1968 "Dichiaro che alla mia morte chiamo eredi i nipoti" rifletteva il contenuto oggettivo delle disposizioni e ne confermava il significato di attribuzione del patrimonio ai nipoti a titolo universale.
Il giudice di appello ha poi sostenuto che nelle successive schede testamentarie R.S., limitandosi ad attribuire determinati beni a taluno degli eredi o ad altri soggetti, non aveva revocato espressamente o implicitamente l’istituzione quali eredi dei nipoti, nè aveva manifestato la volontà che con la delazione testamentaria dovesse concorrere quella legittima; anzi la volontà del testatore di destinare il suo intero patrimonio alla sua morte ai propri nipoti (ad eccezione di alcuni legati ad altri soggetti) era confermata dalla precisazione contenuta nella scheda testamentaria del 30-7-1972 secondo cui nessun diritto spettava alla moglie in quanto già adeguatamente beneficiata in vita mediante l’attribuzione di diversi alloggi e negozi.
Orbene la sopra enunciata interpretazione del testamento olografo del 24-2-1968 resa dalla sentenza impugnata è frutto di una attenta ed esauriente valorizzazione di elementi di ordine sia letterale (rilevante in tal senso il richiamo alla premessa della scheda testamentaria in oggetto, laddove i nipoti vengono espressamente qualificati eredi) sia logico e sistematico, avuto riguardo all’oggetto della disposizione testamentaria ora menzionata, riguardante sostanzialmente tutti i beni allora appartenenti a R.S., nonchè al coordinamento di tale scheda testamentaria con quelle successive, in particolare con quella del 30- 7-1972, laddove è evidente che il riferimento agli immobili già attribuiti alla moglie in vita spiega la volontà del testatore di escluderla dall’attribuzione di altri beni "mortis causa".
Pertanto la volontà di R.S. di istituire soltanto i nipoti quali eredi delle sue sostanze emerge, nell’interpretazione offerta dal giudice di appello, non soltanto dall’aver lasciato a ciascuno di detti nipoti i suoi beni come "institutio ex re certa", avendo con tali attribuzioni esaurito il proprio patrimonio, ma anche dall’inequivocabile riferimento alla volontà di chiamare i nipoti "eredi", cosicchè tutti gli elementi valorizzati convergono nel legittimare il convincimento offerto dalla Corte territoriale; si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove del resto la ricorrente, a sostegno del suo assunto, propone argomentazioni già esaurientemente vagliate dalla sentenza impugnata senza sollevare ulteriori e specifici spunti di censura al riguardo.
Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2943 c.c. nonchè vizio di motivazione, afferma che erroneamente la Corte territoriale ha escluso che l’azione proposta davanti al Tribunale di (OMISSIS) da C.M. – con la quale quest’ultima, asserendo di essere erede legittima del coniuge R.S., aveva chiesto la declaratoria di nullità o, in subordine, la riduzione di alcune donazioni compiute dal "de cuius" lesive della sua quota di riserva – potesse far ritenere sussistente un interesse ad agire dell’esponente nel presente giudizio in ordine all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie, ritenuta prescritta per l’avvenuto decorso del termine decennale decorrente dal decesso di S. R., avvenuto il (OMISSIS); C.M., premesso di essere subentrata alla propria dante causa nel suddetto giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria, afferma che il diritto fatto valere con l’azione di riduzione, riguardi essa delle donazioni ovvero delle disposizioni testamentarie, è sempre lo stesso, ovvero quello di ricevere la quota indisponibile del patrimonio del "de cuius", riservata dalla legge in favore dei parenti più prossimi; la proposizione dell’azione di riduzione delle donazioni pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria aveva quindi avuto l’effetto di interrompere, con effetti permanenti, la prescrizione del diritto di esperire l’azione di riduzione anche per le disposizioni testamentarie, rendendo pertanto possibile l’acquisto della qualifica di erede.
La censura è infondata.
Il giudice di appello, premesso che R.S. era deceduto il (OMISSIS), ha osservato che l’eventuale azione di riduzione delle disposizione testamentarie lesive dei diritti di C. M. avrebbe dovuto essere proposta entro il termine, ormai decorso, di dieci anni dalla sua morte (e non interrotto dall’esperimento di azioni giudiziali di altra natura); pertanto non poteva essere ravvisato un interesse dell’appellante ad ottenere una pronuncia di nullità delle donazioni per cui è causa, non potendo più essere riconosciuta la qualità di legittimaria pretermessa alla sua dante causa (qualità peraltro non allegata nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado).
La Corte territoriale ha poi aggiunto, quanto all’azione di riduzione introdotta da C.M. dinanzi al Tribunale di Alessandria con atto di citazione notificato il 4-8-1992, che l’attrice, asserendo di essere erede legittima del marito S. R., aveva chiesto in quella sede la dichiarazione della nullità o, in subordine, la riduzione di alcune donazioni compiute dal "de cuius" lesive della sua quota di riserva; pertanto in quella causa non avrebbe mai potuto essere accertata la qualità di legittimaria totalmente pretermessa di C.M., altre essendo le domande proposte in quella sede sulla base del diverso presupposto dell’asserito operare della successione legittima; quindi l’appellante non avrebbe potuto ottenere alcun beneficio dalla declaratoria di nullità delle donazioni per cui è causa, considerato che le relative somme, qualora fosse stata dichiarata tale nullità, sarebbero andate ad accrescere la massa ereditaria sulla quale la dante causa di C.G. non aveva alcun diritto, non essendo erede di R.S..
Tali argomentazioni sono condivisibili e sono quindi immuni dai profili di censura sollevati dalla ricorrente.
Infatti, una volta accertato che nell’altro giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria la dante causa dell’attuale ricorrente C.M. non aveva proposto alcuna azione di riduzione di disposizioni testamentarie, avendo chiesto la nullità o in subordine la riduzione di alcune donazioni poste in essere da R.S. sulla diversa premessa dell’operatività della successione legittima (avendo anzi espressamente dedotto nell’atto di citazione che non era stato reperito alcun testamento riferibile al defunto), ne consegue che alcun rilievo tale vicenda poteva dispiegare nel presente giudizio, laddove C.G. C., onde far valere la nullità delle donazioni in questione quale avente causa da C.M., avrebbe dovuto provare, ai fini della sussistenza del suo interesse all’accoglimento di tale domanda, la qualità di erede di R.S. in capo a quest’ultima, qualità di erede che, in presenza di un testamento che l’aveva totalmente estromessa quale legittimarla, esigeva necessariamente il positivo esperimento dell’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie, azione invece non proposta nel richiamato giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3.000,00 per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012
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