Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-09-2012, n. 14766

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Svolgimento del processo

1.- Con sentenza n. 112 del 2004 il Tribunale di Verbania sezione distaccata di Domodossola rigettava la domanda con cui O.I., O.P. e O.C. avevano chiesto la demolizione dell’ampliamento del fabbricato realizzato dai convenuti O.A. e V.A. in violazione delle prescrizioni dell’art. 25 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Beura Cardezza e in violazione delle distanze legali.

Riteneva il primo Giudice che erano state rispettate le norme urbanistiche locali che, a determinate condizioni, consentivano di costruire a distanza inferiore a quella di metri dieci.

Con sentenza dep. l’11 aprile 2007 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione impugnata dagli attori, accoglieva la domanda proposta da questi ultimi, rilevando la illegittimità delle norme locali in quanto in contrasto con le prescrizioni di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione O. A. e V.A. sulla base di quatto motivi.

Resistono con controricorso gli intimati, depositando memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo, lamentando nullità della sentenza e violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che aveva pronunciato su una domanda improponibile o inammissibile, posto che mentre con l’atto di citazione era stata invocata la violazione delle norme prescritte dal piano regolatore e ne era stata chiesta l’applicazione così come esso era senza che ne fosse chiesta la declaratoria di illegittimità, nel giudizio di appello la domanda era stata trasformata, essendo stato chiesto di espungere le disposizioni in contrasto con il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

1.2. – Il secondo motivo, lamentando violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., formula la medesima censura sotto il profilo della violazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

1.3.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., deduce che la sentenza presupponeva la illegittimità della concessione edilizia, derivata dalla illegittimità delle norme del piano regolatore quando sulla legittimità della concessione e delle norme del piano regolatore si era formato il giudicato esterno con la sentenza del TAR Piemonte n. 251/98.

1.4.- Il quarto motivo, lamentando violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E, del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e artt. 8 e 25 del piano regolatore, censura la sentenza impugnata che aveva ritenuto immediatamente applicabile il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, tenuto conto dei limiti ai quali va incontro il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario che non può intervenire sul testo dell’atto e introdurre una nuova regula iuris.

2.- Il primo, il secondo, e il quarto motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

In tema di costruzioni su fondi finitimi, qualora l’attore abbia chiesto la condanna del proprietario frontista alla demolizione del fabbricato costruito in violazione delle distanze legali, non costituisce domanda nuova in appello il rilievo relativo all’illegittimità dell’adozione di un regolamento comunale contrastante con il D.M. pro tempore vigente (nella specie, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444) in quanto il giudice adito, nell’ambito della sua verifica delle norme applicabili, è tenuto a rilevare l’illegittimità dell’adozione da parte dell’amministrazione comunale di un regolamento edilizio contrastante con le norme vigenti e ad applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, le norme violate, in quanto divenute automaticamente parte integrante del successivo strumento urbanistico locale (Cass. 5741/2008). Al riguardo, va ricordato che il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (S.U. 14953/2011).

Del tutto è infondata è, dunque, la denuncia di novità della domanda accolta in appello, e ciò dicasi anche senza considerare che gli attori con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado avevano lamentato la violazione della distanza di metri dieci fra pareti finestrate.

3.- Anche il terzo motivo è infondato.

La sentenza del TAR Piemonte n. 251 del 1998 richiamata aveva avuto a oggetto la legittimità o meno della concessione amministrativa, che viene rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi, e non aveva e non poteva avere, come del resto chiarito anche dai giudici amministrativi, alcun riflesso sulla verifica circa la violazione delle distanze lesive del diritto di proprietà relativamente ai fabbricati confinanti, che è evidentemente oggetto della giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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