Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 07-11-2013, n. 45128

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Svolgimento del processo
1. S.G. è stato condannato dal Tribunale di Catania, con rito abbreviato, per il reato di furto nell’abitazione di S.L.S., aggravato dalla violenza sulle cose e dall’aver cagionato alla persona offesa un danno di rilevante entità, con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’imputato si introdusse nell’abitazione della persona offesa frantumando una finestra del bagno e si impossessò di un computer e diversi oggetti in oro; la sua responsabilità è stata affermata sulla base del sopralluogo della Polizia, di una impronta palmare acquisita sul luogo del delitto e confrontata dopo anni con quella dell’imputato, coincidente per 28 punti caratteristici, e sulla base delle ammissioni dell’imputato.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, con ricorso redatto dal difensore, avv. xxx xxx, affidato a due motivi: il primo, relativo a violazione di legge processuale, perchè la comparazione delle impronte doveva avvenire con le modalità previste dall’art. 360 c.p.p. e con l’intervento dei consulenti della difesa; il secondo, attinente a vizio di motivazione, con riferimento alla quantificazione della pena ed alla richiesta di esclusione della recidiva, formulata con i motivi d’appello.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
1.1 Con riferimento al primo motivo, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria non richiede particolari cognizioni tecnico – scientifiche e si risolve in mero accertamento di dati obiettivi ai sensi dell’art. 354 c.p.p., sicchè il suo svolgimento non postula il rispetto delle formalità previste dall’art. 360 c.p.p..
Di conseguenza qualora colui che abbia svolto tale attività di comparazione venga sentito in dibattimento e riferisca in ordine alla medesima, il giudice non è tenuto a disporre perizia, ben potendosi attenere alle emergenze di quanto esposto dal dichiarante (Sez. 5^, n. 16959 del 09/02/2010, Costache, Rv. 246872; Sez. 5^, n. 23319 del 17/03/2004, Puce, Rv. 228864; Sez. 1^, n. 28848 del 11/06/2009, Dedej, Rv. 244295).
Pertanto, è logica la deduzione dei giudici del merito che, dalla attribuibilità dell’impronta rilevata sul luogo del furto all’imputato, hanno ritenuto provata l’attribuzione del furto allo S., peraltro confermata dalle ammissioni dell’imputato.
2. Quanto al secondo motivo, relativo al difetto di motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed alla richiesta di esclusione della recidiva, parimenti la doglianza è manifestamente infondata, avendo la Corte d’appello ben chiarito, a fronte della richiesta formulata con l’appello e fondata sull’epoca del reato e sul comportamento processuale dello stesso, che non esiste alcun valido argomento per escludere la grave recidiva sussistente (in considerazione dei precedenti reiterati e specifici) e che la pena è stata decisa con una motivazione esaustiva, priva di vizi e non informata a clausole di stile (il giudice di primo grado ha richiamato la gravità del fatto, il danno provocato e l’abitualità a delinquere dello S.).
Non si può dimenticare, del resto, che non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.
3. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2013

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