Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-09-2012, n. 14765

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Svolgimento del processo
C.G. e D.L.V., premesso di essere condomini dello stabile sito in Via (OMISSIS), lamentarono che altro condomino, la s.n.c. xxx, aveva apposto, senza autorizzazione, una sbarra metallica all’ingresso di una rampa condominale da cui sia accedeva sia ad un garage di cui quest’ultima era proprietaria esclusiva sia ad un vano caldaia dell’impianto condominiale, nonchè una porta in ferro nel locale cantinato, appropriandosi anche in questo caso di uno spazio comune, aggiungendo che con Delib. adottata 30 marzo 1999 l’assemblea del condominio, del tutto illegittimamente, aveva deciso di non proporre azione giudiziaria a tutela dei suddetti beni comuni. Ciò esposto, convennero dinanzi al Tribunale la xxx ed il Condominio chiedendo la condanna al ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni.
I convenuti si opposero alle domande; in particolare la xxx dedusse di non aver violato alcun diritto dei condomini ed eccepì di avere usucapito il bene comune.
Il Tribunale di Napoli rigettò la domanda avanzata nei confronti del Condominio, mentre accolse quella rivolta nei confronti della xxx, che condannò al ripristino dello stato dei luoghi.
Interposto gravame da parte di quest’ultima, resistendo gli attori e rimanendo contumace il Condominio, con sentenza n. 3575 del 20 dicembre 2005 la Corte di appello di Napoli annullò la decisione impugnata dichiarando la nullità del giudizio di primo grado per difetto di integrità del contraddittorio e, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., rimise la causa dinanzi al Tribunale. La Corte d’appello motivò tale pronuncia rilevando che "l’azione diretta, tra l’altro, alla riduzione in pristino di un immobile comune a più persone (come nella specie) da vita ad una causa inscindibile per ragioni sostanziali comportanti litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari" e che, inoltre, se il singolo condomino può proporre le azioni a difesa della proprietà comune senza che si renda necessaria la citazione in giudizio di tutti i partecipanti, tale necessità invece sussiste quando (come nel caso in esame) risulti affermato che la proprietà del bene rivendicato non è comune, ma forma oggetto di proprietà individuale, occorrendo in tale ipotesi accertare il titolo di proprietà opposto, con l’effetto che il rapporto dedotto in giudizio acquista carattere plurisoggettivo unico ed inscindibile.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato 19 maggio 2006, ricorrono C.G. e D.L.V., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso la società xxx, mentre il Condominio di Via (OMISSIS) non si è costituito.
La società controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., in relazione all’art. 1105 cod. civ., e segg., censurando l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’azione diretta alla riduzione in pristino di un immobile comune a più persone darebbe vita ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari. Tale conclusione, sostiene il ricorso, è errata, ponendosi in contrasto con l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, che ammette il singolo condomino ad agire da solo a tutela delle parti comuni dell’edificio, senza alcuna necessità di citare in giudizio gli altri condomini.
Il secondo motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., in relazione all’art. 163 c.p.c., e segg., assume che la Corte di merito ha ravvisato in causa un’ipotesi di litisconsorzio necessario in ragione di una erronea valutazione della causa petendi e del petitum, tenuto conto che la domanda degli attori era unicamente diretta alla tutela ed alla conservazione della cosa comune, dal momento che con essa si chiedeva la rimozione della sbarra elettrica sulla rampa garage, di proprietà comune, e della porta di ferro apposta nel piano scantinato, senza incidere sulla natura giuridica dei beni comuni su cui tali opere erano state realizzate.
Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento agli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., assumendo che la sentenza impugnata ha giustificato la soluzione accolta in forza di una motivazione contraddittoria, dal momento che, da un lato, ha affermato che l’azione diretta alla riduzione in pristino di un immobile comune a più persone da vita ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari, dall’altro ha riconosciuto che ciascun condomino può proporre individualmente le azioni reali a difesa della proprietà comune senza necessità di citare in giudizio gli altri comproprietari.
Il quarto motivo, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., in relazione all’art. 167 c.p.c., e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza nella parte in cui ha giustificato la conclusione accolta con il rilievo che la xxx avrebbe in rivendica affermato che la proprietà del bene non era comune, ma esclusiva in suo favore, avanzando richiesta di accertamento della maturata usucapione. Ad avviso dei ricorrenti, tale motivazione non solo è indeterminata, non precisando in relazione a quale dei due beni (la rampa di accesso al garage ovvero lo spazio del piano scantinato) la convenuta avesse opposto l’usucapione, ma altresì erronea, non avendo la controparte mai formalizzato una domanda di rivendita del bene comune nè un’eccezione riconvenzionale in senso proprio, essendosi limitata, in comparsa di costituzione e risposta, ad opporre il vincolo di pertinenza tra la rampa ed il garage di sua esclusiva proprietà e, per mero tuzionismo, di averla acquistata per usucapione, chiedendo al giudice un mero accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, situazione che escludeva la ricorrenza della figura di un litisconsorzio necessario.
I motivi, che per la loro connessione oggettiva vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
La lettura della sentenza impugnata sembra evidenziare che la sussistenza nel presente giudizio dell’ipotesi di litisconsorzio sia stata affermata dalla Corte di appello sulla base di un duplice rilievo: da un lato infatti si sostiene che "l’azione diretta, tra l’altro, alla riduzione in pristino di un immobile comune a più persone (come nella specie) da vita ad una causa inscindibile per ragioni sostanziali comportanti litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari"; dall’altro che se è vero che il singolo condomino può proporre le azioni a difesa della proprietà comune senza che si renda necessaria la citazione in giudizio di tutti i partecipanti, tale necessità invece sussiste quando (come nel caso in esame) risulti affermato che la proprietà del bene rivendicato non è comune, ma forma oggetto di proprietà individuale, occorrendo in tale ipotesi accertare il titolo di proprietà opposto, "essendo dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile, onde la sentenza può conseguire un risultato utile solo se pronunciata in contraddittorio di tutti i soggetti attivi e passivi del rapporto".
Entrambe le argomentazioni, che appaiono costituire due autonome rationes decidendi, non sono condivisibili.
Non la prima, in quanto disattende un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, avendo il diritto di ciascun condomino per oggetto la cosa comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui, ciascun condomino può legittimamente proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune senza che si renda necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari (Cass. n. 19460 del 2005; Cass. n. 8842 del 2001). Nel caso di specie si era per l’appunto verificata questa ipotesi, atteso che gli attori, in qualità di condomini, avevano agito in giudizio a tutela di beni comuni, assumendo che essi erano stati abusivamente occupati in via esclusiva da altro condomino.
Anche la seconda argomentazione deve ritenersi giuridicamente errata, scontando una non compiuta consapevolezza delle differenze che intercorrono tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale.
Dalla stessa esposizione delle vicende del processo contenuta nella sentenza di secondo grado risulta invero che la società convenuta xxx non aveva proposto alcuna domanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione con riguardo alla rampa di accesso al garage, ma soltanto un’eccezione di usucapione, al fine limitato di paralizzare la pretesa avversaria. La parte non aveva pertanto chiesto che venisse accertato il suo diritto di proprietà esclusiva sul bene, ma aveva, più semplicemente, opposto tale diritto al fine di ottenere la reiezione della domanda avversaria.
Ciò precisato, ritiene il Collegio che nella situazione dedotta in giudizio non risulti applicabile il principio affermato da questa Corte, e richiamato dalla Corte di appello a sostegno della propria statuizione, che ravvisa un’ipotesi di litisconsorzio necessario nel caso in cui un condomino, convenuto in giudizio perchè cessi l’uso esclusivo di un bene comune, proponga domanda riconvenzionale di accertamento delle proprietà esclusiva di predetto bene.
Invero, nonostante le oscillazioni nella giurisprudenza meno recente, deve ritenersi che il litisconsorzio necessario sussista soltanto nel caso in cui il convenuto proponga una vera e propria domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva (Cass. n. 19385 del 2009). Per contro esso va negato nel caso, affatto diverso, in cui la proprietà individuale del bene venga opposta dal convenuto in via di eccezione, atteso che, se la natura riconvenzionale di essa amplia di fatto il iberna decidendum, tuttavia l’accertamento con essa richiesto è domandato soltanto in via incidenter tantum, al solo fine di paralizzare la pretesa avversaria.
Deve infatti sottolinearsi, conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, che l’eccezione riconvenzionale si differenzia dalla domanda riconvenzionale in quanto, con essa, il convenuto oppone a quello dell’attore un proprio diritto al solo fine di far respingere la sua pretesa, mentre con la domanda riconvenzionale mira ad ottenere, attraverso la decisione, l’utilità pratica attinente al diritto fatto valere (Cass. n. 4233 del 2012; Cass. n. 16314 del 2007; Cass. n. 22341 del 2006). Con riferimento al tema che qui interessa, si è altresì precisato che il giudice, nell’esercizio del suo potere-dovere di controllare d’ufficio il rispetto del principio del contraddittorio nei casi di litisconsorzio necessario, deve prendere in considerazione esclusivamente le domande proposte dalle parti e non anche le eventuali eccezioni, ancorchè riconvenzionali (Cass. n. 26422 del 2008).
L’applicazione di tali principi comporta che, nel caso in esame, l’eccezione di usucapione sollevata dal condomino convenuto si risolveva nella richiesta di un accertamento che, essendo svolto soltanto incidenter tantum, era destinato ad esplicare efficacia soltanto tra le parti, senza estendersi anche altri condomini, che, pertanto, non potendo esserne pregiudicati, non dovevano necessariamente partecipare al giudizio.
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2012

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