Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 07-11-2013, n. 45126

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 28 febbraio 2012, la Corte d’appello di Triste, riformando parzialmente la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Udine del 27 ottobre 2008, resa a seguito di giudizio abbreviato, riduceva la pena per C.S. in relazione al solo delitto di bancarotta patrimoniale ad 1 anno e 4 mesi di reclusione, commesso quale presidente del Consiglio di amministrazione della xxx s.r.l. (xxx s.r.l.), holding nel settore dei trasporti e nella gestione dei servizi ferroviari, dichiarata fallita dal Tribunale di Udine con sentenza del 5 marzo 2004, per aver distratto le quote di partecipazione azionaria detenute nella società pubblica "xxx s.p.a.", cedendole alla "xxx s.r.l.", società partecipata dalla xxx s.r.l., per l’apparente corrispettivo di 1.630.000.000 di L., consistente nella compensazione di un credito inesistente dell’acquirente, per L. 258.280.532 e nell’accollo di debiti per circa 1.400.000.000 di L., in realtà mai intervenuto.
1.1 La Corte d’appello qualificava in termini di dissipazione il precedente acquisto del pacchetto azionario del valore nominale di L. 300.000.000, pagato L. 670.728.406, intervenuto il 3 agosto 2000 e, non essendo il fatto contestato, disponeva la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Udine, per quanto di competenza; con riferimento alla successiva cessione, contestata invece in termini di distrazione, diversamente da quanto affermato in primo grado dal Tribunale, che aveva ritenuto inesistente il credito della "xxx s.r.l." e simulato l’accollo di debiti per circa 400.000.000 (tra cui i 670.728.406 di L. dovuti per l’acquisto delle azioni), la Corte territoriale ritenne esistere un fumus circa l’effettiva esistenza di un credito pari a circa 258 milioni di L. e reale il negozio di accollo.
Ciò nonostante, poichè l’accollo produce effetti liberatori soltanto se il creditore vi acconsente e non risultava che alcun creditore avesse liberato la xxx s.r.l. dai debiti originariamente assunti, tale accollo non poteva essere valutato positivamente sul piano economico, per cui la distrazione ascrivibile all’imputato doveva quantificarsi in circa 42 milioni di L..
2. Contro la sentenza di appello propone ricorso l’imputato, con atto dei propri difensori, avvocati xxx xx e xxx xxx, affidandolo a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B ed E, per erronea applicazione della legge penale, con riferimento al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, comma 1, n. 1 e art. 223 e per vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta.
Il ricorrente deduce che all’atto dell’assunzione della qualifica di amministratore unico della società, la xxx s.r.l. si trovava già ampiamente in stato di notevole difficoltà finanziaria, a causa di scelte imprenditoriali delle xxx relative al polo logistico interregionale, che escludevano la società dal progetto.
In un’ottica di scissione del gruppo, fu fatta l’operazione di cessione dei titoli azionari alla xxx s.r.l., a fronte della quale vi fu la compensazione di un precedente credito della società acquirente per L. 258.280.532 e l’accollo di debiti per circa 1.400.000.000 di L. ; poichè la Corte territoriale ha accertato l’esistenza del credito di L. 258.280.532 e considerando che una parte dei debiti oggetto di accollo (per un importo di 283.419.592 L., con un totale complessivo di 541.700.124 L.) non è stata oggetto di insinuazione nel fallimento xxx s.r.l., deve ritenersi che, almeno per quell’importo, l’accollo ha comportato un profitto, per cui deve escludersi l’elemento oggettivo del reato.
La circostanza che sei creditori (xxx, xxx (OMISSIS), xxx xxx, xxx, xxx xxx xxx) non hanno esercitato il proprio credito, non può essere ignorata sul piano del vantaggio economico e, dunque, delle conseguenze concrete ed effettive dell’atto di disposizione patrimoniale.
Inoltre l’accollo del debito, pur in assenza dell’effetto liberatorio (che comunque non dipendeva dalla volontà dell’imputato, ma da quella dei creditori), consentiva alla società un diritto di regresso nei confronti della xxx s.r.l., il che costituisce comunque un vantaggio di natura patrimoniale.
In ogni caso, anche a ritenere quale corrispettivo la sola compensazione del debito di L. 258.280.532, la discrasia di appena 42 milioni di L. avrebbe imposto una assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, perchè ad un valore astratto delle azioni di 300 milioni di L. non corrisponde poi un identico valore di realizzo, per cui l’importo di 258 milioni di L. poteva considerarsi adeguato, in considerazione della scarsa appetibilità della quota azionaria di una società, caratterizzata da una serie di vincoli operativi e gestionali derivanti dalla presenza di soggetti pubblici nella compagine sociale.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B ed E, per erronea applicazione della legge penale, con riferimento al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, comma 1, n. 1 e per vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta. Il ricorrente già con l’atto di appello aveva dedotto di aver realizzato una operazione di risanamento delle condizioni patrimoniali della società, per cui doveva escludersi il dolo di bancarotta, anche perchè egli era fideiussore della società stessa, per cui non aveva alcun interesse a diminuire il patrimonio della xxx; pertanto chiedeva la derubricazione del delitto in quello di bancarotta semplice.
Il mancato esame delle specifiche doglianze in punto di elemento soggettivo integra vizio di motivazione e al tempo stesso violazione di legge, con riferimento alla necessità del dolo generico, richiesto dall’art. 216 della legge fallimentare.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B e D, con riferimento al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 219, comma 3 e art. 133 c.p., in relazione alla mancata concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, avendo la Corte accertato una distrazione di appena 42 milioni di L.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è in parte fondato, nei limiti che si diranno.
1.1 il primo motivo è infondato, poichè la sentenza impugnata ha ampiamente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta per distrazione, sia pure ridimensionandone ampiamente la portata. La Corte territoriale ha chiarito che, se per un verso non può dubitarsi dell’esistenza di un credito di L. 258.000.000 della xxx nei confronti della xxx, sulla base della consulenza (OMISSIS), per altro verso l’accollo dei debiti della xxx non ha prodotto effetti liberatori per la società, in assenza di una espressa dichiarazione di consenso dei creditori. La mancata insinuazione di alcuni creditori nel fallimento xxx è un evento successivo, che non può essere valorizzato per sostenere l’avverarsi dell’effetto liberatorio, poichè, come specificamente indicato nella motivazione della sentenza d’appello (pagine 14-15) con riferimento esemplificativo a due creditori (xxx, oggi Banca Intesa e Cassa di risparmio di Gorizia) le ragioni della mancata insinuazione sono da rinvenire nella scelta di non sopportare un costo aggiuntivo, a fronte della previsione di non recuperare alcunchè; inoltre il giudice di appello ha accertato che era nelle intenzioni delle parti che l’accollo del debito rimanesse interno, come tale solo fonte di un rapporto di natura obbligatoria tra accollante ed accollato, tanto che la pattuizione non fu nemmeno comunicata ai creditori. Per giunta è verosimile che nessun creditore avrebbe mai acconsentito alla liberazione del debitore originario, sia perchè alcuni debiti della xxx erano assistiti da garanzia personale del C., sia perchè la situazione economica e patrimoniale della xxx era forse anche peggiore di quella della xxx.
1.2 Assumendo dunque quale valore delle azioni cedute quello nominale di L. 300.000.000 (comunque acquistate per un prezzo ben più elevato, di L. 670.000.000) e considerando quale corrispettivo la compensazione di crediti per L. 258.280.000, l’importo della distrazione è ridotto a L. 41.720.000.
2. Merita invece accoglimento, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso.
2.1 Nell’atto di appello il ricorrente aveva espressamente contestato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta patrimoniale per distrazione (terzo motivo), chiedendo altresì la derubricazione del delitto contestato in quello di bancarotta semplice (quinto motivo, considerando l’operazione di vendita delle azioni solo imprudente) anche sulla base di quanto affermato dal giudice di primo grado, a pagina 5 della sentenza appellata, circa l’iniziale ottimistica valutazione del valore di mercato delle azioni della "xxx del xxxs.p.a.", rispetto al valore della quota di patrimonio netto contabile della società, contraria ai parametri prudenziali imposti dai principi generali di contabilità ed affidata a mere aspettative prive di riscontro concreto, circostanza che denotava l’intento di risanare la claudicante condizione patrimoniale della xxx s.r.l.. Inoltre si era dedotto che l’imputato era fideiussore della società stessa, per cui non aveva alcun interesse a depauperare il patrimonio della xxx.
Trattasi di deduzioni che, per la loro potenziale capacità dimostrativa della insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, avrebbero certamente meritato una puntuale disamina da parte del giudice di appello e che invece sono state ignorarne dalla Corte territoriale, che dopo aver esaminato il motivo di appello relativo all’elemento oggettivo del reato, a pagina 17 della sentenza passa ad occuparsi del delitto di bancarotta documentale, tralasciando ogni considerazione in ordine al dolo.
2.2 Nella specie, pertanto, sussiste il denunciato vizio di mancanza di motivazione. Tale vizio, infatti, ricorre non soltanto quando vi sia un difetto grafico della motivazione, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività; nè può ritenersi precluso al giudice di legittimità, ai sensi della disposizione suddetta, l’esame dei motivi di appello, al fine di accertare la congruità e la completezza dell’apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo grado con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei compiti attribuiti dalla legge alla Corte di Cassazione la disamina della specificità o meno delle censure formulate con l’atto di appello quale necessario presupposto dell’ammissibilità del ricorso proposto davanti alla stessa Corte (Sez. 6^, n. 35918 del 17/06/2009, xxx, Rv. 244763).
2.3 Dalla suindicata invalidità della motivazione consegue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di xxx per nuovo giudizio in ordine all’elemento soggettivo del reato di bancarotta per distrazione, la quale, nella piena libertà delle valutazioni di merito di competenza, dovrà porre rimedio all’accertato deficit argomentativo.
3. Le ulteriori doglianze mosse col terzo motivo di ricorso restano assorbite.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di xxx per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2013

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