Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-09-2012, n. 14763

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Svolgimento del processo
Su ricorso di C.N., che assumeva di vantare nei confronti di Ma.Gi. un credito di L. 2.050.000, quale residuo corrispettivo per pretesi lavori eseguiti in immobili di proprietà del M., in Villaggio (OMISSIS), il Giudice di pace di Messina, con decreto del 13 aprile 2000, ingiungeva al M. di pagare la somma indicata, oltre interessi e spese.
Con atto di citazione notificato il 15 luglio 2000, Ma.
G. proponeva opposizione, deducendo che difettavano le condizioni di ammissibilità per l’emissione del decreto ingiuntivo e assumendo che, comunque, non sussisteva e non era provato il preteso credito della somma oggetto di ingiunzione, in quanto il C. non aveva portato a termine l’opera convenuta ed era stato soddisfatto per la parte dell’opera effettivamente compiuta.
Si costituiva il C., contestando i motivi di opposiione.
Il Giudice di pace, con sentenza depositata il 21 giugno 2002, rigettava l’opposizione perchè infondata e condannava il M. alle spese del giudizio.
Avverso detta sentenza, con atto di citazione notificato il 4 dicembre 2002, proponeva appello il M., il quale chiedeva, in riforma della sentenza impugnata, l’annullamento o la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, in ogni caso, il rigetto di tutte le domande proposte dal C., con contestuale condanna dello stesso al pagamento, in favore di esso M., delle spese e dei compensi difensivi del primo e del secondo grado del giudizio. Il M. chiedeva altresì che venisse disposta consulenza tecnica d’ufficio per accertare l’entità dei lavori effettivamente eseguiti dal C. e per determinare, così, il corrispettivo in denaro di tali lavori nel 1999. L’appellante lamentava infatti la manifesta violazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere il Giudice di pace invertito l’onere della prova in relazione alla incompletezza dei lavori effettuati in relazione agli accordi, ed avere erroneamente ritenuto provata la domanda del C..
Si costituiva in giudizio l’appellato, chiedendo il rigetto del gravame.
Il Tribunale di Messina, ritenendo assolto l’onere probatorio da parte del C. e ritenendo altresì corretta la ripartizione delle spese operata dal giudice di prime cure, con sentenza depositata in data 23 aprile 2007, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questa sentenza ricorrono B.S., M.G., M.A., Ma.An., quali eredi di Ma.Gi., nel frattempo deceduto, sulla base di un unico ed articolato motivo; l’intimato non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
I ricorrenti, innanzitutto, si dolgono sia della mancata valutazione delle deposizioni dei testi escussi su iniziativa del proprio dante causa, che avevano evidenziato circostanze decisive ai fini del giudizio, sia della mancata motivazione in ordine alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito. Si dolgono, altresì, del fatto che il giudice di appello non abbia rilevato che il C. non aveva fornito la prova del proprio adempimento e che non abbia motivato in ordine alla mancata ammissione della richiesta consulenza tecnica d’ufficio.
A conclusione del motivo, i ricorrenti formulano, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., i seguenti quesiti di diritto: "se, a seguito della eccezione di inadempimento dell’attore creditore proposta dal convenuto debitore ex art. 1460 cod. civ., gravi, o meno, esclusivamente sull’attore creditore l’onere di fornire la prova del proprio adempimento"; "se sia consentito al giudice di merito omettere di esaminare e valutare le risultanze delle deposizioni rese dai testi addotti dal convenuto rivolte a dimostrare l’inadempimento dell’attore, senza adottare alcuna motivazione al riguardo"; "se sia consentito al giudice del merito omettere di disporre un mezzo istruttorio (consulenza tecnica d’ufficio) richiesto dal convenuto, tendente a dimostrare la legittimità del proprio comportamento, senza adottare a riguardo motivazione alcuna".
Il ricorso è inammissibile per inidoneità dei quesiti di diritto formulati con riferimento alle denunciate violazioni di legge e per la mancanza del quesito di sintesi relativamente ai lamentati vizi motivazionali.
Invero, posto che il provvedimento impugnato è stato depositato il 23 aprile 2007, trova piena applicazione il disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., recante una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione.
Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che "il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata" (Cass., n. 11535 del 2008).
In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: "a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie" (Cass. n. 19769 del 2008) e "non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità" (Cass., ord. n. 20409 del 2008).
Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali – come nella specie – si denuncia vizio di motivazione, che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità" (Cass., S.U., n. 20603 del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).
Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi "con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto" (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).
Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).
Nella specie, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto l’unico motivo di ricorso si conclude con la formulazione di tre quesiti di diritto del tutto non rispondente alle indicazioni prima richiamate.
In particolare, il primo quesito si presenta astratto, generico e prescinde del tutto dall’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello, il quale ha invece affermato che il C. aveva assolto il proprio onere probatorio.
Il secondo e il terzo, ancorchè formulati nella forma del quesito di diritto, attengono piuttosto alla motivazione della sentenza impugnata, senza tuttavia adempiere alle indicazioni poste dall’art. 366-bis cod. proc. civ., comma 2, con riferimento alla deduzione del vizio di motivazione, e ciò con riferimento sia alla chiara indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, sia alla indicazione di quali siano le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.
Senza dire che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 7921 del 2011). E senza considerare che il riconoscimento, operato dal giudice dell’appello conformemente a quanto già ritenuto da quello di primo grado, dell’avvenuto adempimento, da parte dell’intimato, alle proprie obbligazioni, comportava che l’onere della prova in ordine all’inesatto inadempimento gravasse sul dante causa dei ricorrenti; con la precisazione che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, sicchè la stessa non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte – come nella specie – tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 3130 del 2011).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non avendo l’intimato svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2012

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