Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-09-2012, n. 14762

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Svolgimento del processo
L’Ente xxx e xxx, in data 26 marzo 1996, premesso che con atto per notar Varone dell’8 giugno 1965 il Sig. N.F. aveva donato alla Mensa Vescovile di xxx "una zonetta di terreno sulla quale è stata eretta la Chiesa Benedetta e dedicata al culto di Gesù Bambino Redentore, sita nel Comune di (OMISSIS), alla contrada (OMISSIS)"; che la donazione era stata accettata, previa autorizzazione del Prefetto di Napoli del 12 novembre 1980, con atto notar D’Orsi dell’11 marzo 1984; che con atto per notaio Pelosi di Roma del 6 settembre 1998, la signora F.I.P. aveva donato, con riserva di usufrutto, a M.E. una piccola casa di abitazione, in pessime condizioni di manutenzione, con annessa piccola chiesa privata e area di circa 230 mq, sita nel Comune di xxx; tanto premesso conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torre Annunziata M.E. affinchè venisse dichiarata la nullità del trasferimento della chiesa di cui si è appena detto, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della stessa.
Costituitosi il contraddittorio, l’adito Tribunale, con sentenza n. 602 del 2003, accoglieva la domanda.
M.E., assumendo essa stessa di essere proprietaria della chiesetta, in forza dell’atto di donazione da parte di F.I. P., per notar Pelosi di Roma del 6 settembre 1988, proponeva allora gravame, chiedendo che, in accoglimento dell’appello, fosse rigettata la domanda proposta in primo grado dalla xxx e xxx.
La Corte d’appello di Napoli, seconda sezione civile, con sentenza n. 2191 del 2009, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla spese del grado.
Per la cassazione di tale sentenza M.E. ha proposto ricorso affidato a undici motivi, cui ha resistito con controricorso l’Arcixxx – Castellaminare.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia vizio di omessa o comunque insufficiente motivazione per avere la Corte d’appello di Napoli completamente tralasciato di esaminare un fatto del giudizio acquisito con prova scritta che, se esaminato, avrebbe portato ad una decisione diversa da quella adottata, con particolare riferimento alla proposta eccezione di incapacità a testimoniare, ex art. 246 cod. proc. civ., del parroco della Chiesa di xxx al Puntone, in quanto appartenente alla Diocesi di xxx e di Sorrento, nonchè dell’economo di tale Diocesi, con violazione delle disposizioni della L. n. 117 del 1988.
La Corte d’appello, osserva la ricorrente, ha affermato che l’incapacità a testimoniare non risultava eccepita subito dopo l’assunzione della prova testimoniale; al contrario, subito dopo l’escussione del parroco, il difensore aveva dichiarato di impugnare "le rese dichiarazioni testimoniali, riservandosi ogni ulteriore eccezione anche di carattere processuale nella dichiarazione resa" e, dopo l’escussione dell’economo, il medesimo difensore aveva impugnato e contestato "le dichiarazioni rese dal teste in udienza riservandosi ogni provvedimento ulteriore".
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 246 cod. proc. civ., per avere i giudici di secondo grado ritenuto insussistenti i requisiti di incapacità a testimoniare relativamente al teste Don D.G.L., parroco della Chiesa di xxx.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello ritenuto comunque infondata l’eccezione di incapacità a testimoniate del teste suindicato, risultando in tal modo non considerato quanto stabilito dall’ordinamento canonico, secondo il quale la Diocesi è composta dalle Parrocchie ubicate nel suo territorio. In particolare, il teste, al momento della deposizione, era parroco della Chiesa di xxx.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia un grave errore di diritto della Corte territoriale nella valutazione dei testi indicati ed escussi per la Diocesi di xxx e Sorrento. La Corte d’appello, osserva la ricorrente, ha ritenuto maggiormente convincenti le deposizioni del parroco e dell’economo, pur rilevando che le dette deposizioni erano de relato, per avere i testi assunto le informazioni riferite dai precedenti parroci della Chiesa, anch’essi membri della Diocesi di Castellammare e Sorrento.
1.4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’errore di diritto e dell’omessa e insufficiente motivazione della sentenza nella valutazione del teste xxx, Comandante della Polizia Municipale di xxx. La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che tutte le circostanze riferite dal teste fossero de relato, per averle apprese dalla dante causa di essa ricorrente, laddove lo stesso teste aveva offerto indicazioni variegate sulle fonti delle circostanze riferite.
1.5. Con il quinto motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame dei documenti da essa prodotti, il che avrebbe determinato il mancato riconoscimento dell’usucapione sia ordinaria che abbreviata in capo ad essa ricorrente, con conseguente vizio di motivazione della sentenza impugnata. Al contrario di quanto affermato dalla Corte d’appello, secondo cui non sarebbe stata offerta una significativa prova che la dante causa di essa ricorrente avesse costruito la Chiesa con materiali propri e a proprie spese e che la avesse posseduta con l’animus del proprietario, vi erano invece atti dai quali emergeva l’acquisto dei materiali, la costruzione, la manutenzione e il possesso della chiesa. In particolare, la ricorrente menziona numerosi documenti, indicandoli con riferimento alla data e all’oggetto, soffermando la propria attenzione su alcune ricevute di pagamento, sulla erogazione alla sua dante causa di un contributo da parte del Comune di xxx nel 1977, alle ricevute relative all’acquisto di beni e a lavori di ristrutturazione.
1.6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce che la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore di diritto per non avere riconosciuto l’usucapione abbreviata in suo favore, erroneamente ritenendo che la donazione effettuata dalla F. non fosse utile a costituire il titolo di cui all’art. 1159 cod. civ..
1.7. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione di diritto e vizio della motivazione per non avere riconosciuto l’animus rem sibi habendi in capo alla sua dante causa F.I.P. prima, e in capo a se stessa, poi, e ciò con riferimento sia all’usucapione ordinaria che a quella abbreviata. In particolare, la ricorrente rileva che, avendo il Comune concesso un contributo alla sua dante causa per gli oneri sostenuti per le riparazioni della chiesa, la prova sia del possesso in epoca anteriore al 1977, sia dell’animus possidendi doveva ritenersi offerta.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente lamenta omessa e insufficiente motivazione della sentenza; violazione di legge per il mancato riconoscimento dell’usucapione ordinaria; "errore in diritto nel mancato riconoscimento delle presunzioni come chieste in quanto usucapione immemorabile e contestuale ammissibilità dell’atto di notorietà del 1971" da essa prodotto.
1.9. Con il nono motivo la ricorrente deduce violazione di legge "per il mancato riconoscimento della titolarità della costruzione e possesso della Chiesa in capo a F.I.P. e conseguente errore nell’iter logico della sentenza che ha portato la Corte di appello di Napoli sez. 2^ ad emettere una sentenza con omessa, od insufficiente motivazione".
1.10. Con il decimo motivo la M. denuncia l’errore di diritto consistente "nel mancato riconoscimento in sentenza della carenza di legittimazione attiva dell’ente Diocesi di Castellammare e Sorrento". La ricorrente sostiene che l’ente Diocesi non avrebbe potuto accettare la donazione senza previa autorizzazione prefettizia. Nella specie, l’autorizzazione era stata concessa a distanza di anni dal decesso del donante, che aveva comportato la nullità della donazione non ancora accettata.
1.11. Con l’undicesimo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3, per la mancata ammissione dei testi da lei indicati nel giudizio di primo grado.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Avendo ad oggetto un provvedimento pubblicato in data 30 giugno 2009, il ricorso doveva rispettare le prescrizioni di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., recante una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione, ancorchè abrogato dalla L. n. 69 del 2009, ma con riferimento ai provvedimenti suscettibili di ricorso per cassazione depositati dopo il 4 luglio 2009.
Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che "il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola, juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata" (Cass., n. 11535 del 2008);
In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: "a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie" (Cass. n. 19769 del 2008) e "non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità" (Cass., ord. n. 20409 del 2008).
Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali – come nella specie – si denuncia vizio di motivazione, che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità" (Cass., S.U., n. 20603 del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).
Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi "con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto" (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).
Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).
Si deve poi rilevare che è del tutto irrilevante la circostanza che l’art. 366-bis cod. proc. civ., alla data di proposizione del ricorso, fosse stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009. In proposito, questa Corte ha chiarito che alla stregua del disposto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente, purchè dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, come nel caso di specie, tale norma è da ritenersi ancora applicabile (Cass. n. 7119 del 2010; Cass. n. 26364 del 2009).
2.2. Nella specie, deve innanzitutto rilevarsi che i motivi di ricorso con i quali vengono denunciate violazioni di legge sono inammissibili, in quanto è del tutto mancante il prescritto quesito di diritto.
Quanto ai motivi con i quali la ricorrente denuncia contestualmente violazione di legge e vizio di motivazione, valgono i principi prima richiamati, nel senso che un siffatto modo di articolare il motivo di ricorso per cassazione in tanto potrebbe ritenersi ammissibile in quanto lo stesso si concludesse con un distinto quesito di diritto e con un quesito di sintesi, idoneo ad evidenziare il vizio motivazionale denunciato. In che, nella specie, deve escludersi sia avvenuto, atteso che la mancanza del quesito di diritto rifluisce anche sulla ammissibilità del vizio di motivazione contestualmente denunciato.
Quanto, infine, ai motivi con i quali vengono denunciati esclusivamente vizi di motivazione, ferma la già ricordata necessità che il motivo presenti un quesito di sintesi, omologo al quesito di diritto, deve rilevarsi una ulteriore ragione di inammissibilità. I motivi attinenti alla motivazione della sentenza impugnata, invero, si risolvono in una critica all’apprezzamento delle risultanze istruttorie effettuato dalla Corte d’appello, la quale, nella sentenza impugnata ha dato conto puntualmente e logicamente delle ragioni del proprio convincimento. E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. n. 7394 del 2010). Il vizio di omessa od insufficiente motivazione, invero, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 6064 del 2008).
Senza dire che non è consentito alla parte censurare con un unico motivo sia la mancanza, sia l’insufficienza, sia la contraddittorietà della motivazione (Cass. n. 5471 del 2008).
3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2012

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