Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Venezia confermava integralmente la sentenza emessa del Tribunale di Venezia, in data 16 settembre 2008, all’esito di giudizio abbreviato, con la quale X.A. e K.A. erano condannati alla pena di giustizia per il delitto di tentato furto aggravato, per violenza sulle cose, di attrezzi all’interno di un magazzino.
Contro tale decisione propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati, ciascun con ricorso proposto dal difensore di fiducia, avv. xxx ed il K. anche con ricorso personale.
Il ricorso personale del K. è affidato a quattro motivi:
1.1 Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. E, in relazione alle deduzioni difensive relative alla violazione degli artt. 192 e 533 c.p.p.. A giudizio del ricorrente, oltre all’avvenuta rottura del lucchetto, non Vi sono indizi da potersi reputare gravi, precisi e concordanti, tale da consentire di affermare la sua responsabilità penale; si segnalano ad esempio le espressioni improprie del verbale di arresto, nel quale si parla di balcone "divelto e scardinato", circostanze contrastanti con la deposizione testimoniale di P. A., che parla di scuri forzati.
1.2 Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B, per l’erronea qualificazione del fatto quale furto aggravato, anzichè violazione di domicilio (con conseguente improcedibilità per difetto di querela), poichè dalla dinamica dei fatti non sarebbe emersa la volontà di commettere un reato di furto; dalle dichiarazioni del coimputato X. sarebbe emersa solamente l’intenzione di rompere il lucchetto, ma non anche la realizzazione dell’intento, per cui il reato potrebbe essere stato opera di terzi. Inoltre la mancata concessione delle attenuanti generiche si fonda su precedenti penali insignificanti e risalenti nel tempo;
1.3 Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B ed E, per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 2 ed al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
1.4 Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. C, in relazione agli artt. 56 e 133 c.p., in merito alla corretta quantificazione della pena, poichè il giudice avrebbe potuto applicare la massima diminuzione prevista per il tentativo, pervenendo ad una sanzione più lieve.
2. X.A. e K.A., con atti di ricorso separati e sottoscritti dal difensore di fiducia, avv. xxx, dall’identico contenuto, lamentano violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B, in relazione all’art. 192 c.p.p..
Dopo aver ricostruito brevemente i fatti e le risultanze del verbale di arresto, i ricorrenti evidenziano che l’unico teste oculare, una signora che aveva dato l’allarme, ma che è rimasta non identificata, non è stata mai sentita dalla polizia giudiziaria; è stato sentito invece il teste P.A., il quale ha solamente udito "il rumore degli scuri che si stavano rompendo". Poichè dagli atti investigativi risulta solamente la rottura di un lucchetto, a giudizio dei ricorrenti la prova è insufficiente, poichè gli indizi sono suscettibili di interpretazioni alternative, in quanto privi del carattere di univocità.
Motivi della decisione
1. I ricorsi vanno rigettati per le ragioni di seguito esposte.
2.1 In via preliminare occorre precisare che la prova critica o indiretta, fondata sulla utilizzazione degli indizi, consiste essenzialmente nella deduzione di un fatto ignoto da un fatto noto, attraverso un procedimento gnoseologico che poggia su regole di esperienza, ricavate dall’osservazione del normale ordine di svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane, alla cui stregua è possibile riconoscere che il fatto noto è legato al fatto da provare da un elevato grado di probabilità o di frequenza statistica, che rappresenta la base giustificativa della regola di inferenza su cui poggia il metodo logico-deduttivo della valutazione degli indizi.
2.2 Nella giurisprudenza di questa Corte sono stati chiaramente enunciati i principi che regolano la prova indiziaria, sottolineando, innanzi tutto, che il procedimento indiziario deve muovere da premesse certe, nel senso che queste devono corrispondere a circostanze fattuali non dubbie e non possono, quindi, consistere in dati fondati su mere ipotesi o congetture ovvero su giudizi di verosimiglianza (Sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993, Bianchi, Rv. 193407;
Sez. 2, n. 43923 del 28/10/2009, P.M. in proc. xxx, Rv. 245606).
Gli indizi, oltre a corrispondere a dati di fatto certi, devono essere gravi, precisi e concordanti, secondo l’esplicito dettato dell’art. 192 c.p.p., comma 2, che subordina alla presenza di questi tre concorrenti requisiti l’equiparazione della prova critica o indiretta alla prova rappresentativa o storica o diretta: con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di essi, gli indizi non possono assurgere al rango di vera e propria prova idonea a fondare la dichiarazione di responsabilità penale.
2.3 Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili.
E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).
In tema di processi indiziari, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonchè la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non un nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito. Ne discende che l’esame della gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte del giudice di legittimità è semplicemente controllo sul rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove dall’art. 192 c.p.p., controllo seguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale (Sez. 6, n. 20474 del 15/11/2002, xxx, Rv. 225245; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241826).
2.4 Alla luce di queste premesse, i ricorsi proposti dall’avv. xxx ed il primo motivo di ricorso proposto dal K. sono infondati, al limite dell’inammissibilità, nella parte in cui si contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, in punto di univocità degli indizi, poichè la sentenza da conto delle ammissioni dell’imputato X., che ha riferito di aver avuto intenzione di rompere il lucchetto (a riprova del fatto che questo era integro) e chiarisce che, poichè gli imputati sono stati fermati dopo che avevano percorso qualche centinaio di metri a piedi, avevano avuto tutto il tempo di disfarsi degli attrezzi da scasso.
Inoltre si ricostruisce in maniera del tutto logica la coerenza tra quanto accertato dai Carabinieri in ordine all’effrazione della porta- finestra e quanto riferito dal teste P. (rumori di scuri che si stavano rompendo, repentino allontanamento di due persone e riconoscimento delle due persone negli odierni imputati), pur in presenza di alcune imprecisioni lessicali del verbale di arresto (essendo evidente che le espressioni "divelto" e "scardinato" non potessero riferirsi al balcone, ma piuttosto al lucchetto – la prima – e alla porta finestra – la seconda).
3. Va dichiarato manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso proposto dal K., relativo alla corretta qualificazione giuridica da attribuire al fatto, quale violazione di domicilio: la sentenza chiarisce in maniera adeguata che uno degli imputati era creditore della persona offesa ed era a conoscenza del fatto che la casa era disabitata e senza custodia e che vi si trovavano attrezzi, di notevole valore, sicchè appare evidente che l’azione degli imputati non era soltanto diretta a introdursi nella casa vincendo una volontà contraria dell’avente diritto, ma piuttosto ad impossessarsi di beni di valore, che si trovavano nell’abitazione deserta.
4. Gli ulteriori due motivi di ricorso sono parimenti inammissibili:
il terzo, relativo all’aggravante della violenza sulle cose, chiaramente desumibile dalla dinamica dei fatti, come accertata dall’analisi degli indizi, e relativo al diniego delle attenuanti generiche, motivato con riferimento al precedente penale specifico per furto ed ai precedenti di polizia, oltre che per la condotta processuale non collaborativa; il quarto, in merito alla corretta quantificazione della pena, considerata l’entità della pena assolutamente modesta (2 mesi e 20 giorni di reclusione e 140 Euro di multa), ritenuta "congrua" dalla Corte territoriale.
4.1 In proposito va rimarcato che tanto la modulazione della pena quanto la concessione delle attenuanti generiche, e il connesso giudizio di bilanciamento con le aggravanti, sono statuizioni che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, xxx e altro, Rv. 238851); ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena.
Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione sui punti in questione, come sopra riportato, senza trascurare di sottoporre a valutazione espressamente la condotta processuale dell’imputato, che lungi dall’ammettere i fatti, ha negato l’evidenza, "giacchè egli oltre a negare quanto accertato, ha addirittura negato di essere fuggito" (pagina 6 della sentenza).
4.2 Ne è scaturito un giudizio di adeguatezza della pena irrogata dal primo giudice sotto il duplice profilo, oggettivo e soggettivo, dei reati in contestazione. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.
4.3 Ed ancora legittimamente il giudice, tra gli elementi di valutazione che può utilizzare ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p. o di determinazione della pena, indicati dall’art. 133 c.p., può considerare i precedenti giudiziari, ancorchè non definitivi (conf.
Sez. 5, ord. N. 3540 del 5/7/1999, xxx, Rv 214477; Sez. 2, n. 18189 del 05/05/2010, xxx e altri, Rv. 247469, a proposito del diniego della sospensione condizionale della pena).
5. In conclusione il ricorso è infondato e la sentenza della Corte di appello di Venezia dev’essere confermata. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2013
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