Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-09-2012, n. 14831

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 18.5 – 26.8.2006 la Corte d’Appello di Brescia accolse parzialmente il gravame proposto da D.M. nei confronti della xxx snc di xxx & C. snc riducendo la somma a cui il D. era stato condannato in prime cure per violazione del patto di non concorrenza sottoscritto contestualmente al contratto di agenzia in data 2.5.1995.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale osservò quanto segue:
"… il giudice di primo grado non ha effettuato alcuna distinzione ed ha assunto come base di calcolo la somma di L 500.000.000 indicata come costo di tre interventi di ristrutturazione persi, di cui solo uno effettivamente provato (nel contesto della prova di plurime violazioni dell’obbligo di concorrenza ma di assenza per tutte le altre della prova dell’effettivo pregiudizio economico subito). Se di costo si tratta non è corretto e nemmeno equo identificarlo con il pregiudizio subito (costi fissi non remunerati, mancato guadagno e diffusione/pubblicità del prodotto). Ritiene pertanto la Corte di assumere quale parametro di liquidazione in base ai documenti sopra richiamati e trattandosi della intera ristrutturazione di un negozio, la somma di L. 100 milioni e, tenuto conto di una percentuale presumibile almeno del 60% di costi diretti di produzione e messa in opera della fornitura di rideterminare in via equitativa il danno, sulla scorta delle osservazioni esposte circa la sua composizione, nel 50% del ricavo e quindi in Euro 25.000,00".
Avverso tale sentenza della Corte territoriale la xxx snc di xxx & C. snc ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato D.M. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deducendo che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sui presupposti originanti il risarcimento del danno subito da essa ricorrente.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) con riferimento all’entità del danno liquidato, assumendo che non era dato comprendere quale fosse il punto di partenza per affermare che, per giungere alla determinazione del danno subito, si dovesse partire dai "costi" e che, comunque, il costo non poteva certo essere identificato, come pareva invece nelle affermazioni della Corte, con un mancato guadagno e con la diffusione/pubblicità del prodotto. Ai sensi dell’art. 366 bis, la ricorrente, a conclusione del motivo, indica che "…la ragione per cui la motivazione è insufficiente (…) ed inidonea a giustificare la decisione (…) sul fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dall’entità del danno subito dalla società ricorrente, nonchè della liquidazione effettiva del suo ammontare, è il fatto che la Corte d’Appello di Brescia non ha dato conto delle motivazioni che hanno condotto all’importo della liquidazione del danno provocato dal D. ma si è limitata ad una frettolosa quantificazione dello stesso".
2. La Corte territoriale ha espressamente indicato in motivazione che il D., anche in grado d’appello, non aveva contestato che la società da lui costituita avesse effettivamente stornato un cliente.
Pertanto, se nessuna censura era stata rivolta riguardo al fatto materiale configurante la concorrenza sleale, nessuna motivazione era tenuto a svolgere sul punto il Giudice del gravame; il quale, peraltro, ha soltanto ridotto l’ammontare del risarcimento dovuto e, logicamente, nient’affatto negato il presupposto di tale risarcimento, sicchè appare evidente che l’odierna ricorrente non ha alcun interesse a dolersi al riguardo.
Ne discende l’inammissibilità del primo motivo.
3. Quanto al secondo motivo, la Corte territoriale, nei termini diffusamente esposti nello storico di lite, è partita, ai fini della liquidazione del danno, considerando il dato (del resto dedotto dalla stessa odierna ricorrente) sulla base del quale il primo Giudice aveva operato la liquidazione ("…la somma di L. 500.000.000 indicata come "costo" di tre interventi di ristrutturazione persi, di cui solo uno effettivamente provato) e ha dato poi adeguatamente conto, con motivazione piana ed esaustiva, dei diversi criteri sulla base dei quali ha ritenuto di dover procedere alla liquidazione equitativa, facendo altresì espresso riferimento ai documenti "sopra richiamati" (quelli cioè, dimessi da entrambe le parti ed analizzati, dai quali risultavano gli incassi derivanti dagli arredamenti dei punti vendita).
Secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per distaccarsi, l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 8807/2001; 6285/2004).
Ne discende l’infondatezza del motivo all’esame.
4. Per le suddette considerazioni il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna a parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 40,00 (quaranta), oltre ad Euro 4.000,00 (quattromila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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