Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-09-2012, n. 14830

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza parziale del 9/2/07 il Tribunale di Bolzano, nel pronunziarsi sulla domanda degli odierni intimati volta a sentir dichiarare che la quota percentuale variabile del 15% sui crediti recuperati dal Fisco tramite l’Ufficio notifiche e protesti doveva essere ripartita tra gli Ufficiali ed Assistenti Giudiziari dell’UNEP della zona di riscossione, ha accertato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 3, che la redistribuzione a livello nazionale del 15% della quota di credito erariale riscosso non è legittima, in quanto comporta per determinati ufficiali giudiziari perdite retributive che vanno oltre la misura vantaggiosa e, pertanto, ha dichiarato che l’art. 6 del contratto nazionale di raccordo per gli ufficiali giudiziari del 24/4/2002 contemplante tale modalità di riparto non è valido.

Il Tribunale di Bolzano, pur partendo dalla constatazione che il contratto collettivo degli ufficiali giudiziari del 24/4/02 è un contratto collettivo nazionale di lavoro di livello superiore concluso dall’ARAN e dotato di efficacia "erga omnes", è pervenuto alla conclusione che la norma sul criterio di riparto oggetto di contestazione di cui all’art. 6 non può essere considerata valida in quanto, nel consentire la redistribuzione della suddetta quota percentuale variabile su base nazionale, viola il principio della ragionevolezza ed induce ad una probabile diminuzione della stessa produttività dei suoi destinatari.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero della Giustizia che affida l’impugnazione ad un solo articolato motivo di censura.

Resistono con controricorso gli intimati lavoratori i quali propongono, a loro volta, ricorso incidentale condizionato all’accoglimento di quello principale.

Al predetto ricorso incidentale resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con un solo articolato motivo di censura il Ministero della Giustizia denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del CCNL del 24.04.2002 (di raccordo per gli ufficiali giudiziari), oltre che dell’art. 1418 c.c., nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), formulando, a suggello della doglianza, il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se l’art. 6 del ccnl relativo alle norme di raccordo per gli ufficiali giudiziari, stipulato in data 24.4.2002, prevedendo che la percentuale pari al 15% ivi contemplato sia distribuita su base nazionale tra tutti gli ufficiali giudiziari dell’ufficio, modificando così il precedente sistema di ripartizione in sede di uffici locali, sia invalido e/o nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., sotto i profili enunciati nell’impugnata sentenza n. 59/2007 del Tribunale di Bolzano, giudice del lavoro, pronunciata ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 3".

In particolare la difesa erariale evidenzia la contraddittorietà della motivazione in cui è incorso il giudice del lavoro di Bolzano il quale, da una parte, ha respinto le censure degli ufficiali giudiziari ricorrenti, vale a dire quelle incentrate sulla lamentata violazione dei limiti stabiliti dal precedente ccnl del 16/2/1999 e di altre disposizioni normative, oltre che sulla dedotta mancanza di rappresentatività delle organizzazioni sindacali, dopo aver richiamato l’efficacia "erga omnes" del contratto collettivo in questione, la devoluzione alla contrattazione collettiva della regolamentazione del trattamento economico e la prevalenza delle previsioni pattizie su quelle normative precedenti, mentre, dall’altra, pur avendo premesso che non si poneva un problema di interpretazione della clausola "de qua", ha erroneamente dichiarato la nullità della stessa per una presunta violazione dei canoni di ragionevolezza e perequazione retributiva, senza nemmeno individuare la causa di nullità di cui all’art. 1418 c.c., ed invadendo, altresì, la sfera di discrezionalità riservata alle parti sociali nell’ambito delle trattative contrattuali.

Col ricorso incidentale la difesa degli ufficiali giudiziari contesta, invece, la parte della decisione impugnata che ha respinto le censure, considerate di tipo giuridico-formale, avverso l’art. 6 del ccnl del 24/4/2002, vale a dire quelle aventi ad oggetto la denunziata violazione dei limiti stabiliti dal precedente contratto collettivo del 16/2/99 e di varie disposizioni di legge, oltre che la mancanza del potere rappresentativo in capo alle organizzazioni sindacali, il tutto al fine di sostenere la perdurante validità del criterio di riparto su base locale e non nazionale della quota percentuale variabile oggetto di causa.

Tale ricorso si articola in cinque motivi che possono riassumersi nei seguenti termini:

1) Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi con riferimento al D.P.R. 15 febbraio 1959, n. 1229, artt. 140 e 122, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 246, art. 4 del ccnl del 16/2/99 del comparto Ministeri (esclusi i dirigenti) in vigore dall’1/1/98 al 31/12/01, art. 6 del contratto di raccordo del 24/4/02 (art. 360 c.p.c., n. 3).

2) Violazione o falsa applicazione di contratti o accordi collettivi con riferimento all’art. 4 del ccnl dd. 16/2/99 Comparto Ministeri (esclusi i dirigenti) e art. 6 del contratto di raccordo dd.

24/4/2002 (art. 360 c.p.c., n. 3).

3) Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi con riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. ed art. 6 del contratto di raccordo del 24/4/2002 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In pratica, attraverso i primi tre motivi di censura sì chiede di accertare se interpretandosi l’art. 6 del Contratto di Raccordo del 24/4/02 nel senso che la percentuale variabile pari al 15% sul recupero dei crediti del Fisco ivi contemplata debba essere distribuita tra gli ufficiali ed assistenti giudiziari su base nazionale e non più in base ad un sistema di ripartizione in sede di uffici locali, come ritenuto dal Tribunale di Bolzano con la sentenza n. 59/2007, si finisca per realizzare la violazione o falsa applicazione dello stesso art. 6 Contratto di Raccordo dd. 24/4/02, nonchè del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, artt. 140 e 122, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 246, dell’art. 4 CCNL dd. 16/2/99 comparto Ministeri (esclusi i dirigenti) in vigore dall’1/1/98 al 31/12/2001 e degli artt. 3 e 36 Cost..

4) Omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il fatto controverso, in relazione al quale si assume che la motivazione è omessa o contraddittoria, risiederebbe nel rapporto intercorrente tra l’art. 6 del Contratto di Raccordo del 24/4/02 ed il ccnl del 16/2/99 del Comparto Ministeri (esclusi i dirigenti) in vigore dall’1/1/98 al 31/12/2001, nonchè nella illegittimità dell’art. 6 del predetto contratto di raccordo, sia rispetto alle disposizioni di legge precedenti e successive, sia riguardo agli artt. 3 e 36 Cost..

5) Contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In tal caso il fatto controverso in relazione al quale è dedotto il predetto vizio motivazionale è costituito dall’eccepito difetto di rappresentatività e di legittimazione delle organizzazioni sindacali firmatarie del citato contratto di raccordo del 24/4/2002 rispetto alla posizione ed ai diritti retributivi degli ufficiali giudiziari della Provincia di Bolzano.

Osserva la Corte che il ricorso principale svolto dal Ministero della Giustizia è fondato.

Invero, ha ragione la difesa erariale a dolersi del fatto che il Tribunale di Bolzano, nel sancire l’invalidità della norma collettiva di cui all’art. 6 del contratto nazionale di raccordo per gli ufficiali giudiziari del 24/4/2002, non ha in realtà indicato quale sia in concreto la norma di legge violata da tale disposizione contrattuale in guisa tale da farla ritenere nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c. In effetti, il giudicante, pur facendo riferimento alle norme di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 ed all’art. 97 Cost., si è, in realtà, limitato a dichiarare l’invalidità della disposizione in esame sulla base dell’asserito contrasto con un astratto criterio di ragionevolezza, che non può di certo ricondursi alle ipotesi di nullità di cui all’art. 1418 c.c., oltre che col criterio perequativo retribuivo ispirato alla finalità della produttività, senza tener conto che la materia del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei pubblici dipendenti è devoluta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 1, alle parti protagoniste della contrattazione collettiva, a favore delle quali esiste, quindi, una vera e propria riserva di competenza.

D’altra parte, non appare possibile ravvisare un contrasto con la norma di cui al citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, atteso che proprio il comma 1 di tale articolo demanda alla contrattazione collettiva la regolamentazione della materia del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei pubblici dipendenti, prevedendo al riguardo una riserva di competenza in favore dell’autonomia negoziale. Nè è ravvisabile un contrasto col precetto costituzionale di cui all’art. 97 in tema di buon andamento ed efficienza della pubblica amministrazione, contrasto ravvisato dal primo giudice sul presupposto che l’applicazione del criterio di riparto a livello nazionale della quota percentuale variabile di cui trattasi finirebbe per non incentivare gli ufficiali giudiziari a proseguire nel migliore dei modi la loro attività di esazione per conto dello Stato, con inevitabili ripercussioni sul bilancio pubblico. Tale argomentazione è priva di pregio in quanto, ferma restando la natura accessoria dell’emolumento in questione e l’ampiezza dell’autonomia negoziale collettiva in materia, la valutazione che traspare dalla norma di cui all’art. 6 del contratto nazionale di raccordo per gli ufficiali giudiziari del 24/4/2002 è quella della trasformazione della percentuale dei crediti recuperati dall’erario da trattamento accessorio finalizzato alla premiazione della produttività individuale ad elemento diretto alla remunerazione della produttività collettiva.

Pertanto, la mancata individuazione di una specifica causa di nullità di cui all’art. 1418 cod. civ., non potendo considerarsi tale la presunta violazione dell’astratto criterio della ragionevolezza, da una parte, e la pretesa del giudicante di sostituirsi alla volontà delle parti collettive nella esatta individuazione del criterio di riparto della quota percentuale variabile di cui trattasi sulla scorta di una interpretazione giudiziale del concetto di produttività, in violazione della regola di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 1, che demanda alla contrattazione collettiva la regolamentazione della materia del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei pubblici dipendenti, dall’altra, finiscono inevitabilmente per tradursi nel denunziato vizio di violazione e falsa applicazione della norma collettiva di cui all’art. 6 del ccnl del 24/4/2002 di raccordo per gli ufficiali giudiziari, oltre che nel lamentato vizio di violazione di legge.

Nel contempo è, altresì, fondata la doglianza della difesa del Ministero concernente il denunziato vizio di contradditorietà della motivazione: in effetti, per un verso, il giudice adito ha respinto le censure degli ufficiali giudiziari incentrate sulla lamentata violazione dei limiti stabiliti dal precedente ccnl del 16/2/1999 e da altre disposizioni normative, oltre che sulla eccepita mancanza di rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, richiamando correttamente l’applicazione dei principi in tema di efficacia "erga omnes" del contratto collettivo applicato nella fattispecie, di devoluzione alla contrattazione collettiva della regolamentazione del trattamento economico e di prevalenza delle previsioni pattizie su quelle normative precedenti; per altro verso, però, il medesimo giudicante, dopo aver premesso che non sussisteva un problema di interpretazione della clausola contrattuale in esame, ne ha sancito l’invalidità sulla scorta di una presunta violazione dei canoni di ragionevolezza e perequazione retributiva ispirata alla produttività, senza indicare, però, la causa di nullità di cui all’art. 1418 c.c., ed invadendo, al tempo stesso, la sfera delle attribuzioni riservate per legge alle parti sociali nell’ambito delle trattative contrattuali. Ne consegue, pertanto, che è infondata l’eccezione di inammissibilità svolta dalla difesa dei lavoratori con riferimento al motivo del ricorso principale incentrato sul vizio motivazionale di contraddittorietà della decisione appena illustrato.

Nè possono porsi dei dubbi sul fatto che l’esame della eventuale invalidità doveva essere circoscritto alle ipotesi di nullità di cui all’art. 1418 cod. civ.. Anzitutto, il medesimo giudice di primo grado restringe la disamina della questione alla sola ipotesi della validità della clausola collettiva, dopo aver escluso che in ordine alla stessa potesse porsi un problema di carattere interpretativo, lasciando in tal modo intendere che nemmeno potevano porsi eventuali questioni di efficacia. Invero, i presupposti affinchè possa sorgere la questione pregiudiziale da risolvere ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, sono quelli dell’efficacia, della validità e dell’interpretazione della clausola pattizia. Infatti, il comma 1, di quest’ultima norma prevede la procedura di accertamento pregiudiziale per le controversie individuali di cui al cit. D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, allorquando è necessario risolvere una questione concernente l’efficacia, l’invalidità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o di un accordo collettivo nazionale sottoscritto dall’ARAN ai sensi dell’art. 40, e segg. D.Lgs. appena citato. A sua volta il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 3, stabilisce che, se non interviene l’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1. Orbene, l’ipotesi della invalidità può a sua volta dipendere da cause di nullità, annullabilità o rescindibilità dell’accordo. Escluso che possano ricorrere le due ultime ipotesi di invalidità, posto che la contrattazione collettiva non offre ipotesi di pattuizioni inique, la cui sottoscrizione sia stata resa possibile solo in ragione dello stato di bisogno o di pericolo in cui versava uno dei due contraenti (rescindibilità), nè di errore, violenza e dolo (annullabilità), residua il caso della nullità che non può che essere circoscritto al solo possibile contrasto con norme imperative di legge di cui all’art. 1418 c.c., comma 1 e non anche alla mancanza di un elemento costitutivo del negozio o di un requisito legale di forma, per le ragioni appena espresse, e nè, tanto meno, può essere esteso, come accaduto nella fattispecie, ad ipotesi di contrasto con affermati principi di generica ragionevolezza e di perequazione retributiva ispirata al criterio di produttività inteso in senso diverso da quello manifestato dalle stesse parti collettive.

Quanto al ricorso incidentale si osserva che lo stesso è infondato.

I primi tre motivi del ricorso incidentale possono essere trattati congiuntamente dal momento che attraverso gli stessi è denunziata, con riferimento all’interpretazione della stessa clausola collettiva in esame, la violazione e falsa applicazione di diverse disposizioni normative e pattizie.

Orbene, nella fattispecie non è ravvisabile la lamentata violazione delle richiamate disposizioni normative di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 140 e 122, sull’ordinamento degli ufficiali giudiziari, per la semplice ragione che l’ultimo inciso dell’art. 69, comma 1 delle norme transitorie del D.Lgs. n. 165 del 2001, prevede, tra l’altro, per quel che qui interessa, che le norme generali e speciali del pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001.

Quanto alla lamentata violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 246, si rileva che trattasi semplicemente di norma che disciplina le modalità e le regole tecniche telematiche per il versamento della percentuale in esame dai Concessionari all’Unep e che, pertanto, non può ritenersi violata dalla previsione collettiva che riguarda il nuovo criterio di riparto della stessa quota percentuale variabile del 15% sui crediti recuperati dal Fisco tramite l’Ufficio notifiche e protesti.

Oltretutto, come si è osservato in precedenza, la materia del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei pubblici dipendenti è devoluta in via esclusiva dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 1, alla contrattazione collettiva, per cui sussiste per l’autonomia negoziale una chiara riserva di competenza.

Egualmente infondata è la doglianza avente ad oggetto il denunziato contrasto dell’art. 6 del contratto di raccordo del 24/4/02 con la disposizione collettiva di cui all’art. 4, comma 4, del contratto del comparto Ministeri del 16/2/99 che prevedeva l’attribuzione dei compensi salariali, a livello di contrattazione integrativa, con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione dei programmi di incremento della produttività e di miglioramento della qualità del servizio di cui al secondo comma dello stesso art. 4.

L’infondatezza risiede nel fatto che il contratto di raccordo in questione non rappresenta, contrariamente a quanto sostenuto col ricorso incidentale, una fonte subordinata rispetto al precedente ccnl del 16/2/99, oltre che nella circostanza per la quale non risponde a verità che la norma collettiva contestata, nell’interpretazione datane dal Ministero, finirebbe col far venir meno l’aggancio ai criterio della produttività, per la semplice ragione che la disposizione in esame di cui al citato art. 6 ridetermina esclusivamente il criterio di riparto finale della suddetta quota percentuale variabile che non è più quello locale, bensì quello nazionale, con l’ulteriore conseguenza che la produttività premiata finisce per essere quella collettiva e non più quella individuale.

Oltretutto, nella stessa sentenza impugnata è puntualmente posto l’accento sul fatto che il contratto di raccordo degli ufficiali giudiziari del 24/4/02 è un contratto collettivo nazionale di lavoro di livello superiore concluso con l’ARAN, dotato di efficacia "erga omnes", ed in maniera altrettanto corretta la difesa erariale ha evidenziato che la partecipazione di quest’ultima agenzia, in rappresentanza della parte datoriale, alla stipulazione del contratto in esame escludeva ogni dubbio sulla sua natura di accordo collettivo nazionale.

Infatti, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 46, comma 1, prescrive che le pubbliche amministrazioni sono legalmente rappresentate dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – ARAN, agli effetti della contrattazione collettiva nazionale.

Da ciò consegue, come pure eccepito correttamente dalla difesa erariale, l’inapplicabilità, nella fattispecie, della disposizione normativa di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, che solo con riferimento alle clausole contenute nei contratti collettivi integrativi definiti in sede di amministrazione prevede la nullità delle stesse in quanto difformi dal contratto collettivo nazionale.

La stessa norma di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, prevede al quarto ed ultimo comma che le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti. In virtù di questa previsione e di quella contenuta nel citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, sul trattamento economico si assicura un’efficacia erga omnes del contratto collettivo del settore pubblico: infatti, l’estensione della contrattazione ai lavoratori deriva da quest’obbligo di legge e dall’obbligo di garantire la parità di trattamento di tutti i dipendenti previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2.

Infine, è infondata la censura con la quale si sostiene che l’interpretazione della norma collettiva in esame, nei senso inteso dall’amministrazione, si pone in contrasto coi precetti di cui agli artt. 36 e 3 Cost.. Secondo la difesa dei lavoratori la modifica apportata dall’art. 6 del contratto di raccordo del 24/4/02, nel senso voluto dall’amministrazione, avrebbe come effetto quello di attribuire una retribuzione eguale per tutti gli ufficiali giudiziari, a prescindere dalla quantità e qualità del lavoro svolto da ciascuno nell’ambito del proprio ufficio NEP, creando, in tal modo, una eguaglianza meramente formale tra i medesimi che rappresenterebbe, in realtà, lo specchio di una disuguaglianza sul piano sostanziale, stante il livellamento di posizioni retributive tra le diverse aree geografiche del paese con costi della vita e del potere d’acquisto differenti.

In realtà, il minimo costituzionale appare assicurato, nella fattispecie, dal minimo garantito di cui all’art. 4 del ccnl 24/4/02 dal quale risulta esclusa la voce relativa alla quota del 15% di cui all’art. 6 dello stesso accordo.

Infatti, l’art. 4 prevede, al comma 1, che "agli ufficiali giudiziari è garantito un trattamento economico minimo pari alla somma delle voci di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 2 del presente CCNL".

Al terzo comma dello stesso art. 4 è, inoltre, stabilito che "qualora la quota di diritti mensilmente spettanti non sia sufficiente a coprire l’importo minimo garantito, la differenza è posta a carico del bilancio dell’amministrazione secondo le disposizioni già in atto".

A sua volta l’art. 2 del ccnl di raccordo per gli ufficiali giudiziari del 24/4/02 delinea la struttura della retribuzione stabilendo, al primo comma, che al personale di cui al presente CCNL competono le seguenti voci retributive: a) stipendio tabellare; b) retribuzione individuale di anzianità, comprensiva delle maggiorazioni previste; c) indennità integrativa speciale; d) sviluppo economico di cui all’art. 17 del CCNL sottoscritto il 16.2.1999; e) indennità di amministrazione; f) 50% dell’indennità di trasferta, ove spettante; g) percentuale sui crediti recuperati dall’erario, di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959; h) compensi di cui al Fondo unico di amministrazione ai sensi dell’art. 32 del CCNL – comparto ministeri – sottoscritto il 16.2.1999, ove spettanti. Come è dato vedere, dalla lettura del combinato disposto dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, emerge che il minimo garantito è costituito dalla somma dello stipendio tabellare e della retribuzione individuale di anzianità, per cui le stesse parti collettive hanno escluso che l’elemento accessorio della quota percentuale variabile del 15% sui crediti recuperati dal Fisco potesse entrare a farne parte.

D’altronde, anche nelle ipotesi di adeguamento parametrico della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., si è costantemente ritenuto che il giudice del merito, il quale assuma come criterio orientativo un contratto collettivo non vincolante per le parti, non può fare riferimento a tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione solo quelli che costituiscono il c.d.

minimo costituzionale, dal quale sono escluse le voci tipicamente contrattuali quali i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità o la quattordicesima mensilità, (in tal senso v. ad es. Cass. sez. lav. n. 21274/10, n. 7528/10, n. 15148/08, n. 14791/08, n. 18584/08, n. 5519/04, n. 6878/02).

In ogni caso è bene ricordare che il criterio giuridico della "sufficienza" della retribuzione è volto a garantire la soddisfazione dei bisogni di una esistenza libera e dignitosa, così come il criterio giuridico della "proporzionalità" è volto a correlare la stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, rimanendo di contro l’apprezzamento in concreto dell’adeguatezza della retribuzione riservato al giudice di merito.

E’ altresì infondato il quarto motivo del ricorso incidentale col quale è lamentata l’omessa o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso del rapporto della norma collettiva in esame con le disposizioni del precedente ccnl del 16/2/1999, col D.P.R. n. 115 del 2002 e con gli artt. 3 e 36 Cost..

In realtà, per quel che concerne il dedotto contrasto della disposizione pattizia oggetto di causa col precedente contratto collettivo non è ravvisabile una omessa motivazione del primo giudice, atteso che quest’ultimo ha dato giusto risalto alla prevalenza della nuova disposizione contrattuale per effetto della previsione normativa della riserva di autonomia negoziale collettiva in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti.

Quanto alla dedotta contrarietà con le summenzionate norme costituzionali e col D.P.R. n. 115 del 2000, si tratta, in realtà, della riproposizione, sotto forma di apparente vizio della motivazione, del denunziato vizio di violazione di legge di cui al primo e al terzo motivo dello stesso ricorso incidentale, per cui anche in tal caso valgono le ragioni espresse in precedenza in ordine alla decisione di rigetto di tali doglianze.

Infine, è infondato l’ultimo motivo del ricorso incidentale col quale ci si duole del difetto di motivazione in ordine all’eccepita mancanza di rappresentatività e di legittimazione delle organizzazioni sindacali firmatarie del citato contratto di raccordo del 24/4/2002 rispetto alla posizione ed ai diritti retributivi degli ufficiali giudiziari della Provincia di Bolzano.

Al riguardo la difesa dei lavoratori rileva che il giudice adito non aveva ammesso la prova testimoniale vertente sulla eccepita carenza di rappresentatività del sindacato firmatario dell’accordo del 24/4/2002, eccezione, questa, che trovava riscontro nel verbale d’assemblea del 10/4/2002 e nel comunicato degli ufficiali giudiziari della Provincia di Bolzano e che se valutata attentamente avrebbe consentito al medesimo giudicante di rilevare l’inopponibilità ad essi dipendenti della clausola collettiva oggetto di contestazione.

La censura è infondata per le seguenti ragioni: la motivazione espressa dal primo giudice al riguardo è stata incentrata sul fatto che l’argomentazione difensiva della mancanza di rappresentatività del sindacato doveva essere rigettata in quanto non esposta in maniera esauriente; a fronte di tale decisione la difesa dei lavoratori si limita a riproporre, nel presente giudizio di legittimità, il richiamo ad un verbale di assemblea e ad un comunicato degli ufficiali giudiziari della Provincia di Bolzano i quali avevano lamentato una grave mancanza di rapporti dei loro rappresentanti provinciali col sindacato nazionale ed il loro dissenso in ordine al criterio di suddivisione in ambito nazionale dell’emolumento in questione, oltre che la condanna del sindacato che aveva sottoscritto il documento per non avere lo stesso richiesto i pareri alla base. Orbene, tali generiche argomentazioni non consentono di superare il rilievo di insufficienza espositiva evidenziata dal primo giudice in quanto le stesse non provano che il suddetto dissenso e le suddette critiche si erano tradotte concretamente in una effettiva carenza di legittimazione del sindacato provinciale al momento della sottoscrizione del contratto collettivo in questione.

In ogni caso, il sistema attuale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 4, pone a carico solo delle pubbliche amministrazioni il dovere di osservare le disposizioni dei contrati collettivi, per cui in virtù di questa previsione e di quella contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 1 (il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi), si assicura un’efficacia erga omnes del contratto collettivo del settore pubblico: infatti, l’estensione della contrattazione ai lavoratori deriva da quest’obbligo di legge e dall’obbligo di garantire la parità di trattamento di tutti i dipendenti previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2.

A tal riguardo è interessante rilevare che già con riferimento al testo previgente di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45, commi 2, 7 e 9 e art. 49, comma 2, pressochè analogo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 4, la Corte Costituzionale, con sentenza del 16/10/1997, n. 309, aveva affermato che " è infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 45, commi 2, 7 e 9 e art. 49, comma 2, nella parte in cui impongono alle amministrazioni pubbliche di osservare i contratti collettivi, stipulati con le confederazioni e con le organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e nell’ambito del comparto, di garantire parità di trattamento e comunque di non applicare trattamenti inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi, in riferimento all’art. 39 Cost.".

Sul versante della posizione soggettiva del dipendente la stessa Corte Costituzionale ha affermato, attraverso la summenzionata sentenza, che è agevole osservare come quest’ultimo rinviene nel contratto individuale di lavoro, che sostituisce ad ogni effetto l’atto di nomina, la fonte regolatrice del proprio rapporto:

l’obbligo di conformarsi, negozialmente assunto, nasce proprio dal rinvio alla disciplina collettiva contenuto in tale contratto. In altri termini, per effetto della privatizzazione dei rapporti, la prestazione e le condizioni contrattuali della stessa trovano la loro origine, non già in una formale investitura, bensì nell’avere il singolo dipendente accettato che il rapporto di lavoro si instauri (o prosegua) secondo regole definite, almeno in parte, nella sede della contrattazione collettiva.

Il ricorso incidentale va, perciò, rigettato.

In definitiva, la sentenza impugnata va cassata in relazione all’accoglimento del ricorso principale.

Conseguentemente, in accoglimento della domanda del Ministero della Giustizia, va affermato che l’art. 6 del CCNL relativo alle norme di raccordo per gli ufficiali giudiziari, stipulato in data 24 aprile 2002, che prevede che la percentuale del 15% ivi contemplata sia distribuita su base nazionale tra tutti gli ufficiali giudiziari dell’ufficio inquadrati nelle posizioni economiche ivi previste, è valido ed efficace.

Ne consegue, altresì, che la causa va rinviata, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, ad altro giudice del Tribunale di Bolzano il quale tratterà il merito della controversia attenendosi all’interpretazione della clausola collettiva in esame come formulata da questa Corte.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti in via incidentale e vanno poste a loro carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e condanna i ricorrenti in via incidentale al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate complessivamente in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per onorario, oltre accessori di legge. Rinvia la causa ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, ad altro giudice del Tribunale di Bolzano.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *