T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 28-01-2011, n. 801

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 15/12/09 e depositato il 13/01/10 L.C. ha impugnato il provvedimento prot. n. 2575 del 12/10/09 con cui il Consolato Generale d’Italia a Canton ha respinto la richiesta di visto d’ingresso per studio presentata dal predetto.

Il Ministero degli Esteri, il Ministero degli Interni ed il Consolato Generale d’Italia a Canton, costituitisi in giudizio con memoria depositata il 20/01/10, hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 354/10 del 21 gennaio 2010 il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare proposta dal ricorrente.

Con atto notificato il 21/05/10 e depositato il 09/06/10 il ricorrente ha impugnato con motivi aggiunti il provvedimento già gravato in via principale.

All’udienza pubblica del 21 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

L.C. impugna il provvedimento prot. n. 2575 del 12/10/09 con cui il Consolato Generale d’Italia a Canton ha respinto la richiesta di visto d’ingresso per studio presentata dal predetto al fine di seguire un corso di operatore di computer a tempo pieno per la durata di sei mesi.

Secondo l’art. 5 del trattato di Schengen, ratificato dall’Italia con la l. n. 388/93, per l’ingresso nel territorio dei Paesi contraenti lo straniero deve esibire "i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza".

Tale disposizione è confermata dall’art. 5 comma 1° lettera c) del Regolamento CE n. 562/06 secondo cui, per ottenere l’autorizzazione all’ingresso nell’area Schengen, lo straniero deve "giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine".

Nello stesso senso l’art. 4 comma 3° d. lgs. n. 286/98 prevede che per conseguire il visto d’ingresso lo straniero deve dimostrare "di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza".

L’art. 5 comma 6° d.p.r. n. 394/99 stabilisce, inoltre, che al momento della domanda, oltre alla documentazione necessaria per il tipo di visto richiesto lo straniero deve depositare quella concernente "la finalità del viaggio".

In particolare, ai sensi dell’art. 44 bis d.p.r. n. 394/99, l’ingresso per la frequenza di corsi di studio e formazione professionale è consentito sul presupposto della verifica della "coerenza dei corsi da seguire in Italia con la formazione acquisita nel Paese di provenienza".

Secondo il decreto del Ministero degli Esteri del 12/07/00, poi, "i requisiti e le condizioni per l’ottenimento del visto per motivi di studio sono:

a) documentate garanzie circa il corso di studio, formazione professionale o attività culturale da svolgere;

b) adeguate garanzie circa i mezzi di sostentamento, non inferiori all’importo stabilito dal Ministero dell’interno con la Direttiva di cui all’art. 4, comma 3 del testo unico n. 286/1998;

c) polizza assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri, laddove lo straniero non abbia diritto all’assistenza sanitaria in Italia in virtù di accordi o convenzioni in vigore con il suo Paese;

d) età maggiore di anni 14".

Dalle disposizioni ora richiamate si evince che lo straniero che richiede il visto d’ingresso per seguire corsi di studio o di formazione professionale, come nella fattispecie, non deve dimostrare solo la disponibilità dei mezzi necessari ad assicurarne la sussistenza per la durata del soggiorno ed il ritorno in patria ma, più in generale, deve esibire quegli atti necessari a comprovare "lo scopo e le condizioni del soggiorno" (art. 5 del trattato di Schengen e art. 4 comma 3 d. lgs. n. 286/98) e le finalità dello stesso (art. 5 d.p.r. n. 394/99).

A tal fine l’interessato deve fornire all’amministrazione la prova delle condizioni che giustificano le finalità del soggiorno e, nella fattispecie, trattandosi di visto d’ingresso per seguire un corso di studio e formazione professionale, caratterizzato da necessaria temporaneità, dei presupposti dai quali si possa ragionevolmente ritenere l’interesse dello straniero a fare rientro nel Paese d’origine onde scongiurare il c.d. "rischio migratorio" (in questo senso TAR Lazio- Roma n. 6319/09).

Le condizioni in esame possono essere di varia natura quali l’esistenza di significativi legami familiari (ad es. coniuge e figli), l’esercizio di attività economiche, il possesso di fonti di reddito, la titolarità di beni immobili o, comunque, altre circostanze atte a comprovare che nel Paese di provenienza lo straniero abbia il centro dei suoi interessi e che proprio per questo vi farà ritorno al termine del soggiorno in Italia.

Nella fattispecie in esame nessuna delle condizioni in esame è stata comprovata dall’interessato il quale, come risulta dalla documentazione depositata dall’amministrazione in date 25/03/10 e 03/06/10, proviene da una zona della Cina estremamente povera e non ha dimostrato di possedere nel proprio Paese beni né di essere titolare di redditi propri da cui desumere un suo interesse al rientro in patria.

Correttamente, poi, il Consolato, ai fini della ritenuta sussistenza del c.d. "rischio migratorio" ha valorizzato, (oltre alla non perfetta coerenza del corso con la formazione pregressa) i non chiari rapporti tra ospitante (che nella lettera d’invito si dichiara "disoccupato" e, comunque, evidenzia di possedere mezzi per accogliere il cittadino straniero) e ospitato (non risulta come i due si siano conosciuti e abbiano intrattenuto rapporti tali da giustificare l’invito), le incongruenze tra dichiarazioni presentate circa la durata del viaggio (8 mesi complessivi) e le prenotazioni aeree (a distanza di sei mesi), l’età del ricorrente (27 anni) e l’esistenza in Cina di corsi dello stesso tipo di quello che il ricorrente vorrebbe seguire in Italia e maggiormente accessibili se non altro per ragioni logistiche.

Quanto fin qui evidenziato induce il Tribunale a ritenere nel merito corretto il provvedimento impugnato.

Alla luce delle considerazioni fin qui esplicitate vanno, poi, riguardati i singoli motivi posti a fondamento del ricorso.

Infondata è la prima censura con cui il ricorrente deduce di essere in possesso dei requisiti per il rilascio del visto e, comunque, lamenta di non essere stato convocato per produrre la documentazione integrativa.

Secondo quanto in precedenza evidenziato, infatti, non sussistono nella fattispecie le condizioni per l’ingresso del ricorrente in Italia laddove la mancata partecipazione al procedimento costituisce vizio inidoneo, secondo quanto previsto dall’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90, a determinare l’annullamento giurisdizionale dell’atto impugnato stante la natura vincolata e la correttezza sostanziale dello stesso.

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione dell’atto impugnato e la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90 per non avere ricevuto il preavviso di rigetto dell’istanza.

Le censure sono infondate.

Richiamato, in relazione alla dedotta violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, quanto evidenziato in riferimento alla precedente censura per quanto attiene alla preclusione all’annullamento giurisdizionale derivante, nella fattispecie, dall’applicazione dell’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90, va, poi, rilevato che, secondo l’art. 4 comma 2° d. lgs. n. 286/98 "in deroga a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego non deve essere motivato, salvo quando riguarda le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26, 27, 28, 29, 36 e 39".

Ne deriva che il diniego di visto per motivi di studio non universitario, quale è quello che viene in rilievo nella fattispecie, in quanto disciplinato dall’art. 39 bis d. lgs. n. 286/98, non è soggetto all’obbligo di motivazione.

Va, per altro, evidenziato che, secondo quanto statuito da questo Tribunale in più occasioni (TAR Lazio – Roma n. 5960/08; TAR Lazio – Roma n. 5163/07) la deroga al generale obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, introdotta dall’art. 4 del D. Lgs. n. 286 del 1998, deve essere intesa non già nel senso che la predetta norma abbia legittimato l’Amministrazione ad agire arbitrariamente (e che pertanto la stessa avrebbe la potestà di negare il visto anche nel caso in cui non vi sia alcuna legittima ragione per farlo) ma nel senso che nei casi in cui il visto può essere legittimamente negato (sempre, dunque, vi sia una ragione per farlo), il diniego può non essere motivato fermo restando il potere del Giudice di verificare la legittimità del diniego per cui l’Amministrazione non può esimersi dal fornire a quest’ultimo spiegazioni in merito alle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento.

Pertanto, nella fattispecie non è ravvisabile alcuna illegittimità invalidante tenuto conto del fatto che l’amministrazione, pur non avendo motivato l’atto impugnato in ossequio alla facoltà a tal fine riconosciuta dall’art. 4 comma 2° d. lgs. n. 286/98, ha, comunque, in giudizio esternato i motivi posti a base del gravato diniego consentendo all’interessato di proporre motivi aggiunti (facoltà, poi, esercitata).

Per gli stessi motivi debbono essere ritenute infondate le censure poste a fondamento del ricorso per motivi aggiunti con le quali si prospettano i vizi di difetto di motivazione e d’istruttoria e si contesta la valutazione dell’amministrazione in relazione alla non coerenza del corso da seguire con la formazione pregressa dell’interessato.

Va, in merito, precisato che la dedotta coerenza del corso da seguire con l’esperienza pregressa del ricorrente costituisce circostanza che, comunque, non incide sull’esistenza del c.d. "rischio migratorio" che è da ritenersi sussistente nella fattispecie, secondo quanto in precedenza evidenziato.

In ordine agli ulteriori vizi procedimentali prospettati nel ricorso per motivi aggiunti il Tribunale ritiene che gli stessi non presentino efficacia invalidante alla luce dell’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90.

Per questi motivi il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il ricorrente, in quanto soccombente, deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio il cui importo viene liquidato come da dispositivo;

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) respinge il ricorso;

2) condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio il cui importo, complessivamente per tutti gli enti resistenti, si liquida in euro millecinquecento/00, per diritti ed onorari, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del giorno 21 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Michelangelo Francavilla, Primo Referendario, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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