Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 23-10-2013, n. 43364

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 5 marzo 2012 la Corte di appello di Perugia dichiarava inammissibile l’istanza di revisione proposta con più atti nell’interesse di D.P.A., con riferimento alla sentenza del 23 aprile 1993 della Corte di assise di appello di Roma, che l’aveva condannato alla pena dell’ergastolo per l’omicidio in danno di R.S. ed a quattro anni di reclusione e L. 800.000 di multa, per reati in materia di armi. Il condannato deduceva inconciliabilità fra giudicati, con riferimento alla sentenza della Corte di assise di Campobasso del 17 luglio 1993, irrevocabile dal 17 dicembre 1993, che l’aveva assolto da altro omicidio, ed alla sentenza del G.U.P. Presso il Tribunale di Roma del 9 gennaio 1991, in materia di armi, ricettazione e falso in documento di identità; inoltre deduceva prove nuove, ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. C, con riferimento alla valutazione di un accertamento balistico, impugnando altresì tre ordinanze, la prima relativa alla ripetibilità dell’accertamento tecnico balistico, la seconda relativa alla distruzione dei reperti e la terza in materia di permessi premio; infine invocava il motivo di revisione introdotto dalla sentenza della Corte costituzionale numero 113 del 2011.
2. La Corte d’appello di Perugia, con il provvedimento impugnato in via principale, dichiarava l’inammissibilità delle istanze, con riferimento alle ordinanze ed alla mancata concessione di permesso premio, in quanto non previste dall’art. 630 c.p.p.; dichiarava l’inammissibilità delle istanze, con riferimento alla inconciliabilità fra giudicati, mancando allegazione delle copie autentiche delle due sentenze; dichiarava ancora l’inammissibilità delle istanze, con riferimento alla nuova prova, rappresentata dall’accertamento balistico, poichè la valutazione della natura giuridica del suddetto accertamento non concretizza un novum idoneo a fondare una richiesta di revisione. Anche gli altri elementi di prova richiamati dal condannato (prove testimoniali di C.G. e di P.L., valutazione della distanza tra (OMISSIS)), secondo la Corte territoriale, non rappresentano nuove prove, nel senso inteso dall’art. 630 c.p.p., lett. C, perchè sono già state oggetto di valutazione con ordinanza del 18 febbraio 2000 della Corte d’appello di Perugia, in esito ad analoga istanza di revisione. Quanto poi al richiamo della sentenza della Corte costituzionale numero 113 del 2011, la Corte non rinveniva alcuna violazione delle garanzie riconosciute dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo.
3. Contro l’ordinanza propone ricorso per cassazione il D. P., personalmente, deducendo un unico motivo, con il quale deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. E, per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con riferimento alla declaratoria di inammissibilità, per mancata produzione di copia autentica delle sentenze ed in relazione alla precedente pronuncia del 18 febbraio 2000. Il ricorrente assume che i due omicidi oggetto delle decisioni della Corte di assise di appello di Roma e della Corte di assise di Campobasso erano strettamente legati, tanto da essere oggetto di indagini collegate. Inoltre indica una lettera della moglie del R., prodotta in giudizio, dalla quale emergerebbe la sua estraneità rispetto all’omicidio del marito; contesta l’accertamento tecnico balistico svolto senza contraddittorio dal pubblico ministero, ritenendo che invece esso costituisca accertamento tecnico irripetibile, a norma dell’art. 360 c.p.p.; censura le ordinanze relative alla ripetibilità dell’accertamento tecnico balistico ed alla distruzione dei reperti;
assume di aver subito un processo non equo e dunque di poter ottenere la revisione, in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011.
Con memoria del 9 maggio 2013 il ricorrente ribadisce le proprie doglianze relative all’accertamento tecnico-balistico, effettuato senza garanzie difensive e ripropone il contrasto tra giudicati già dedotto con il ricorso, allegando provvedimenti giurisdizionali (ordinanza della Corte d’appello di Perugia del 18 febbraio 2000;
sentenza della Corte di cassazione, Prima Sezione, del 13 aprile 1999; sentenza della Corte di cassazione, Prima Sezione, dell’8 maggio 1996).
Con ulteriori due memorie del 15 maggio 2013 il ricorrente propone motivi nuovi, ribadendo le proprie doglianze, per il contrasto di giudicato, con riferimento alla sentenza della Corte di assise di Campobasso del 17 luglio 1992, irrevocabile dal 17 dicembre 1993, che l’aveva assolto da altro omicidio (dando atto di aver presentato una nuova istanza di revisione, corredata della copia autentica delle decisioni) e con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale numero 113 del 2011, assumendo di non aver subito un "giusto processo", per essere stato condannato sulla base di un accertamento balistico effettuato senza il rispetto delle modalità previste dall’art. 360 c.p.p..
Al ricorso sono allegate alcune sentenze: 1) sentenza della Corte di cassazione, Prima Sezione, del 13 maggio 1991; 2) sentenza della Corte di assise di Campobasso del 17 luglio 1992; 3) sentenza della Corte di assise di appello di Roma del 23 aprile 1993, irrevocabile dal 17 dicembre 1993.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto da D.P.A. è inammissibile sotto diversi aspetti.
1.1 Preliminarmente va rilevata la tardività delle memorie del 15 maggio 2013, per violazione del termine di 15 giorni previsto dall’art. 611 c.p.p., con conseguente inammissibilità dei motivi nuovi ivi proposti.
1.2 Con riferimento al contrasto di giudicati addotto con il ricorso principale, correttamente la Corte di appello di Perugia ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza in difetto della produzione di copia autentica delle sentenze; secondo il costante orientamento di questa Corte in tema di revisione, incombe al ricorrente l’onere di produrre la sentenza di cui assume l’inconciliabilità con la condanna riportata, in quanto la richiesta di revisione deve essere corredata, a pena di inammissibilità, dagli eventuali atti e documenti idonei a sorreggerla e dalle copie autentiche delle sentenze, così come prescrive l’art. 633 c.p.p., comma 2, (Sez. 1^, n. 11892 del 06/02/2002, xxx, Rv. 221128;
Sez. 6^, n. 25794 del 10/03/2008, xxx, Rv. 241243; Sez. 1^, n. 13622 del 28/03/2012, xxx, Rv. 252294).
La lettera della norma non lascia, dunque, dubbi circa l’esistenza di un onere del ricorrente al riguardo e non è superabile con una interpretazione di carattere sistematico, dettata dalla necessità di tutelare comunque il diritto del condannato ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e per la riparazione degli errori giudiziari (art. 24 Cost, commi 1 e 4).
La declaratoria di inammissibilità non pregiudica, infatti, tale diritto che può essere fatto valere in ogni momento con una nuova istanza corredata della richiesta documentazione.
1.3 Anche con riferimento alle ordinanze oggetto del mezzo straordinario di impugnazione e dei motivi del 9 maggio 2013, stante il chiaro tenore dell’art. 629 c.p.p., deve escludersi l’applicabilità del rimedio regolato dalla norma; in tal senso si esprime anche la giurisprudenza di questa Corte, improntata al rispetto del canone della tassatività: "sono soggetti a revisione, a norma dell’art. 629 c.p.p., soltanto le sentenze di condanna e i decreti penali di condanna e non le ordinanze da qualunque giudice emesse, sia di merito che di legittimità" (Sez. 5^, n. 1534 del 08/11/1991, xxx, Rv. 189211).
1.4 Quanto alle nuove prove indicate nel ricorso, tali non sono secondo la stessa prospettazione del ricorrente, che censura la sentenza della Corte di assise di appello di Roma per la valutazione che ne ha dato l’ordinanza del 18 febbraio 2000 della Corte di appello di Perugia, per le considerazioni svolte in esito ad altre) istanza di revisione.
1.5 Del tutto inconferente, infine, è il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell’uomo, poichè non risulta che D.P. abbia mai adito la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
2. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza de, disposto dell’art 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ai versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000 (mille) in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2013

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