Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-05-2013) 23-10-2013, n. 43342

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4.4.12 la Corte di Appello di Bari pronunziava la riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trani, in data 5.7.2007 nei confronti di D.T.D., che era stato assolto dal reato di cui all’art. 582 c.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste.

Il giudice di appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla costituita parte civile, dichiarava l’imputato responsabile delle lesioni cagionate a B.M., condannandolo al risarcimento dei danni, in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede.

In fatto si rilevava che B.M. aveva presentato querela nei confronti del D.T., innanzi ai CC. di Trani, in data 14.10.2004, con la quale affermava di essere stato aggredito di spalle e senza alcun motivo dall’imputato, mentre era intento ad eseguire lavori di riparazione al marciapiede antistante l’abitazione. Il denunciante aveva affermato di essere stato colpito alla testa con pugni, onde era caduto a terra riportando lesioni, per le quali era stato sottoposto a visita medica, con prognosi di gg. 8.

Era emerso inoltre che tra le parti vi era situazione di contrasto nell’ambito condominiale.

La Corte territoriale aveva ritenuto l’attendibilità della deposizione resa dalla persona offesa, che risultava dotata di riscontri, evidenziando che la persona offesa si era recata presso un presidio ospedaliero, ove erano state accertate lesioni consistenti in "contusione escoriata al gomito destro contusioni craniche occipitali e mastoidea sinistra, stato ansioso reattivo" con prognosi di otto giorni, e successivamente, per il protrarsi della malattia erano stati riconosciuti altri quindici giorni di riposo.

Erano state considerate inattendibili le deposizioni dei testi della difesa, rilevandone le contraddittorietà.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

1 – Il travisamento di una prova decisiva, e la violazione dell’art. 192 c.p.p.. In riferimento alla valutazione di attendibilità della persona offesa. A riguardo evidenziava carenza della motivazione,in ordine a quanto emerso da altre dichiarazioni testimoniali, e rilevava incongruenze nella deposizione della parte lesa, asserendo che non era stato chiarito dalla predetta parte se fosse stata colpita con un bastone ovvero con pugni, o con un sacchetto contenente del pane (come riferito dal B. nel corso della deposizione); inoltre, ad avviso del ricorrente, il giudice di appello non aveva dato conto della dinamica del fatto e della ascrivibilità della condotta illecita all’imputato.

In conclusione la difesa dell’imputato ritenendo sussiste l’ipotesi di legittima difesa, censurava la sentenza per mancato riconoscimento di tale esimente. Per tali motivi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso risulta privo di fondamento.

Invero le deduzioni del ricorrente si rivelano destituite di fondamento in ordine alla censura di travisamento della prova.

Secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento impugnato il giudice di appello ha adeguatamente motivato in merito alla attendibilità della persona offesa, rendendo conto, con congrua motivazione, della esistenza di riscontri documentali, relativi alle lesioni in contestazione.

Tale valutazione è conforme ai canoni giurisprudenziali stabiliti da questa Corte (v. Sez. 3 – 5/4/2007, n. 14182 – Lo Faro, per cui la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può, tuttavia essere pure da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un’indagine positiva della credibilità soggettiva e oggettiva di chi l’ha resa).

D’altra parte risulta analizzata con specificità la prova testimoniale, rilevando le incongruenze che erano emerse dalle dichiarazioni dei testi a discarico e da quelle dello stesso imputato, onde appare adeguatamente valutata la tesi prospettata dalla difesa, specificando l’infondatezza della ipotesi di legittima difesa. In tal senso si rivela priva di fondamento anche la censura riguardante il mancato riconoscimento dell’esimente della legittima difesa, desumendosi dalla motivazione che il giudice di appello ha ritenuto priva di fondamento la tesi difensiva per le discrasie emerse dalle dichiarazioni dell’imputato e dei testi escussi.

Deve pertanto rilevarsi che la decisione sul punto ,risulta conforme ai principi enunciati da questa Corte,in ordine alla applicazione dell’art. 530 c.p.p., comma 3, nei casi di dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione: – v. Cass. Sez. 1, sentenza n. 9708 in data 8.10.1992 – RV 191886 – e Sez. 5, n. 16095 del 5.12.1990 – RV. 185969 ed altre conformi, sub art. 530 c.p.p., rilevandosi che deve ritenersi legittimamente formulato il giudizio di condanna qualora non siano stati individuati dal giudice elementi che facciano ritenere come probabile l’esistenza della causa di giustificazione o inducano comunque il giudice a dubitare seriamente della configurabilità o meno di una scriminante.

Devono infine ritenersi inammissibili le deduzioni svolte con riferimento al merito, tendenti alla diversa interpretazione delle risultanze dibattimentali, dovendosi ritenere peraltro ininfluenti al cospetto della adeguata valutazione della prova resa in sentenza, le censure attinenti alle pretese discrasie tra le deposizioni testimoniali. In conclusione si osserva che le censure del ricorrente, ivi comprese quelle di mancata assunzione di prova decisiva (non sussistente secondo il principio enunciato da questa Corte(Sez. 1, 15.4.2003, n. 17844, Milesi e altro – RV 224800 – "per prova, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per una diversa conclusione del processo, e non anche quella in suscettibile di incidere sulla formazione del convincimento del giudice..") si rivelano destituite di fondamento, stante la coerente e logica motivazione resa dal giudice di appello, in base agli elementi idonei a legittimare la condanna dell’imputato agli effetti civili.

Pertanto va pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2013
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