Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-10-2013) 24-10-2013, n. 43387

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 .-. A.M.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Lecce, in data 20-9-2013 ha ordinato la sua consegna alla Autorità Giudiziaria Bulgara, in quanto arrestata in data 25-6-2013 perchè attinta da mandato di arresto europeo, emesso in data 2-7- 2012 dalla Procura Regionale di Lom (Bulgaria) per la esecuzione della sentenza n. 71 del 14-3-2012 pronunciata dal Tribunale di Lom irrevocabile il 29-3-2012, con la quale era stata condannata alla pena – neppure in parte espiata – di un anno di reclusione a regime rigoroso presso struttura carceraria di tipo chiuso per il reato di furto di denaro, generi alimentari, elettrodomestici, stoviglie ed altro commesso in abitazione e aggravato dalla violenza sulle cose, la notte tra il (OMISSIS) ai danni di Y.I. V..

Con un unico motivo di ricorso chiede l’applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), sostenendo di essersi ormai radicata in Italia, dimorandovi da circa un anno e sei mesi e avendo sul territorio nazionale stabili legami affettivi e familiari.

2 .-. Il ricorso è infondato.

Va premesso che la L. n. 69 del 2005, citato art. 18, lett. r), nella lettura risultante dall’intervento della sentenza n. 227 del 2010 della Corte Costituzionale, è estensibile anche al cittadino di un altro Paese membro dell’Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. In sostanza, come sottolineato dal Giudice delle leggi, il criterio per individuare il contesto sociale, familiare e lavorativo, nel quale è più agevole e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non è tanto e solo la cittadinanza, ma "la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant’altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di quel radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia". Va, quindi, ribadito che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, la nozione di residenza, che viene in considerazione per l’applicazione del citato art. 18, lett. r), non si riferisce al mero dato formale anagrafico, ma deve tener conto dell’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia, tra i cui indici concorrenti rilevano la non illegalità della presenza per il cittadino non comunitario l’apprezzabile continuità temporale e stabilità territoriale della presenza la sede quantomeno principale – se non esclusiva – e consolidata degli interessi lavorativi familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali, a distanza temporale tra commissione del reato, la condanna all’estero ed l’inizio della presenza in Italia. Solo per il cittadino comunitario che abbia acquisto il diritto di soggiorno permanente in conseguenza di un soggiorno per un periodo ininterrotto di cinque anni è possibile prescindere dalla valutazione di tali specifici elementi sintomatici, (v. in particolare: Sez. 6, Sentenza n. 10042 del 09/03/2010, Rv. 246507, Matei).

Questi principi sono stati osservati dalla Corte di Appello di Lecce, che ha correttamente rilevato che nel caso di specie era stato accertato: che la A. non aveva residenza anagrafica in Italia e non aveva mai svolto in precedenza e non svolgeva al momento attività lavorativa nel nostro Paese; che la predetta non aveva un proprio nucleo familiare e non disponeva, fino al momento del suo arresto, di una stabile dimora o comunque di una idonea sistemazione abitativa (avendo il suo difensore ottenuto, solo dopo l’applicazione della misura custodiale, la disponibilità della sorella. A. B.I., ad ospitarla presso la sua abitazione di (OMISSIS)); che la medesima non aveva dimostrato di avere fatto ingresso in Italia da un anno e cinque mesi, come da lei dichiarato, e non aveva chiarito come si era fino ad allora guadagnata da vivere e quali erano i suoi interessi in Italia.

Su queste basi, la Corte di Appello ha concluso che nulla dimostrava una presenza della A. in Italia non sporadica ed occasionale, ma lecita, stabile e protratta nel tempo, connotata da legami familiari e lavorativi, indicativi di un suo radicamento effettivo nel nostro Paese.

A queste impeccabili argomentazioni la ricorrente, lungi dal dare conveniente risposta, si è limitata a ribattere con apodittiche ed indimostrate asserzioni di segno contrario, del tutto inidonee a dimostrare una sua reale e continuata residenza in Italia.

3 .-. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provederà agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013

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