Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 24-10-2013, n. 43457

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Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza in data 21.6/14.12.2011, la corte d’appello di Catania ha rigettato l’istanza avanzata da C.E. diretta alla riparazione dell’ingiusta detenzione dallo stesso subita dal 1.7.2002 al 22.10.2007 in relazione alla prospettata commissione, da parte dello stesso, di una serie di reati concernenti l’associazione per delinquere, il reclutamento e l’induzione alla prostituzione, l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina al fine dello sfruttamento della prostituzione, la detenzione e porto d’armi da fuoco e la riduzione in schiavitù di diverse donne; reati, tutti, rispetto alla cui imputazione l’istante era stato definitivamente assolto nel merito.

A sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la sussistenza, nella specie, della condizione ostativa alla riparazione rappresentata dall’avere l’istante dato (o concorso a dare) causa alla detenzione per dolo o colpa grave, essendo stato il C. assolto nel merito esclusivamente in base al rilievo dell’inutilizzabilità, per mero vizio di forma, delle conversazioni intercettate sulla base delle quali era stato definito il quadro indiziario che aveva originariamente condotto all’adozione della misura restrittiva della libertà dello stesso.

In particolare, da dette conversazioni intercettate era emerso che l’istante appariva sicuramente coinvolto nelle vicende processuali oggetto di contestazione, anche avuto riguardo alla constatata frequentazione e ai contatti intrattenuti dal medesimo con soggetti facenti parte di un gruppo di cittadini albanesi dimoranti nello stato e dediti alle attività illecite oggetto di contestazione, alcuni dei quali anche giudicati e condannati.

Lo stesso istante, peraltro, si era astenuto dal rendere adeguate spiegazioni nelle competenti sedi d’interrogatorio in ordine alle condotte emerse sulla base delle attività di osservazione, pedinamento e controllo svolte nel corso delle indagini dalla polizia giudiziaria.

2. – Avverso il provvedimento della corte d’appello di Catania, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il C., censurando l’ordinanza impugnata per violazione della legge processuale e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto utilizzabile, ai fini del giudizio sull’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, il contenuto di conversazioni intercettate già ritenute inutilizzabili in sede di cognizione penale; conversazioni per altro verso inidonee a fornire elementi certi in ordine alla sicura identificazione dell’imputato e alla relativa responsabilità per i reati allo stesso ascritti.

Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte di cassazione, concludendo per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Ha depositato memoria il Ministero dell’Economia e delle Finanze concludendo per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato.

Secondo l’indirizzo fatto proprio dalle sezioni unite di questa corte di legittimità, l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (v. Cass., Sez. Un., n. 1153/2008, Rv. 241667).

Tale principio riposa sulla premessa in forza della quale, al cospetto di intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge ovvero in violazione dell’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, si versa in ipotesi di palese "illegalità": conseguenza che va al di là della sanzione che il legislatore assume nei termini della "inutilizzabilità" e che fonda l’asserzione per cui, costituendo la disciplina delle intercettazioni la concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la sua inosservanza deve determinare la totale "espunzione" del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, che si concreta nella loro giuridica inutilizzabilità e nella "fisica eliminazione" (Corte Cost. sent. n. 720/75; Cass., Sez. Un., n. 3/96). Eliminazione ora esplicitamente codificata, attraverso la modificazione dell’art. 240 c.p.p., che, predisponendo un’apposita disciplina in materia di "atti relativi a intercettazioni illegali", e, più in particolare, di "atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti", ne ha sancito la "distruzione", ossia l’eliminazione irreversibile da ogni protocollo giudiziario (Cass., Sez. Un., n. 1153/2008, cit.).

Ciò premesso, avendo la corte territoriale omesso di articolare, in termini compiuti e logicamente argomentati, il tema relativo agli altri elementi di valutazione probatoria nel caso di specie asseritamente rilevanti ai fini del diniego dell’invocata riparazione (e genericamente riferiti, tra gli altri, al valore di singoli episodi criminosi, al carattere eloquente delle frequentazioni criminali dell’istante o alla relativa condotta processuale), dev’essere disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla corte d’Appello di Catania, cui è altresì rimesso il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013
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