T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 28-01-2011, n. 178

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Il 27 novembre 2009, il Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di XXX ha esaminato il testo della bozza del nuovo Regolamento generale del Consiglio predisposta dall’apposito gruppo di studio, approvando, con la delibera n. 55/a, il Regolamento generale e il suo allegato 1 "Regolamento per il funzionamento della commissione per l’emissione dei pareri sulla liquidazione delle parcelle" e con delibera n. 55/b, l’allegato 2 "Regolamento in materia di procedimento amministrativo di diritto di accesso ai documenti amministrativi" e l’allegato 3 "Regolamento in materia di procedimenti disciplinari".
Il 18 gennaio 2010, a seguito della convocazione dell’Assemblea straordinaria per l’approvazione del suddetto regolamento e dei suoi allegati, l’arch. A.B. trasmetteva un dettagliato documento, contenente tutti gli emendamenti dallo stesso proposti al Regolamento generale e al suo allegato 2, cui faceva seguito, il 29 gennaio 2010 (data dell’assemblea) il deposito a mani della dichiarazione di voto volta ad evidenziare l’incompetenza dell’Assemblea ad approvare il Regolamento in questione.
Tale dichiarazione di voto, seppur letta in assemblea, non è stata ammessa come allegato al verbale. L’assemblea ha, quindi, approvato il testo, c.d. "definitivo" nel verbale, derivato dal testo licenziato dal Consiglio e dagli emendamenti approvati dall’Assemblea stessa (ma non dal Consiglio).
Ritenendo tale procedura anomala ed illegittima il Consigliere dell’ordine architetto B. ha impugnato tutti gli atti adottati, deducendo:
1. violazione dell’art. 42 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, il quale prevede un potere di autoregolamentazione in capo al solo Consiglio e limitato alla disciplina dell’esercizio delle sue attribuzioni. Ne consegue la carenza assoluta di competenza dell’Assemblea, che non potrebbe essere sanata dalla previa approvazione da parte del Consiglio, posto che il testo "definitivamente" approvato risulta essere stato emendato rispetto a quello che ha formato oggetto di deliberazione da parte del Consiglio;
2. ulteriore violazione dell’art. 42 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, in quanto il regolamento in questione si occupa anche di profili diversi dall’esercizio delle attribuzioni del Consiglio, tra cui alcuni rimessi alla potestà legislativa dello Stato, quali il regolamento elettorale del Consiglio (disciplinato dal DPR 169/2005) e altri alla volontà dell’Assemblea (convocazione della stessa e bilancio). Si occupa, altresì, del Tesoriere;
3. ulteriore violazione dell’art. 42 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537 e sviamento del potere, in ragione dell’operata strumentalizzazione del Regolamento impugnato ai fini della costituzione di una irragionevole e immotivata posizione di maggior potere di alcuni soggetti (quali ad es. Presidente e Tesoriere), a danni di altri che, invece, dovrebbero avere pari diritti, doveri, rappresentanza e dignità;
4. vizi del procedimento per eccesso di potere e disparità di trattamento nei confronti del ricorrente, la cui dichiarazione di voto scritta non è stata allegata al verbale, mentre quella orale non è stata verbalizzata, in quanto ritenuta non autorizzata;
5. violazione dell’art. 3 del DPR 8 luglio 2005, n. 169 ed eccesso di potere per carenza di potere ed incompetenza assoluta dell’Assemblea ad approvare un regolamento elettorale parzialmente in contrasto con la legge e che comunque ne rende oscura, incerta o impossibile l’applicazione. In particolare, premessa la difficoltà di individuare "minoranze" in un organo non politico quale il Consiglio, la scelta di consentire alle minoranze di indicare uno scrutatore appare inapplicabile, posto che la legge prevede la nomina dei due scrutatori, da parte del Consiglio, al momento dell’indizione delle elezione e, quindi, prima della presentazione delle candidature e della costituzione di eventuali "coalizioni di maggioranza". Inoltre il regolamento impone, in assenza di qualsiasi analoga disposizione di legge, che la candidatura sia subordinata alla presentazione di un documento programmatico, così imponendo un nuovo requisito per esercitare l’elettorato passivo;
6. violazione dell’art. 43 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537. Numerose disposizioni del regolamento prevedono che la violazione delle stesse integri una grave infrazione deontologica, rendendo così possibile il ricorso al procedimento disciplinare. Ciò si porrebbe in contrasto con la norma richiamata, la quale individua le infrazioni deontologiche come abusi e mancanze commessi nell’esercizio della professione;
7. violazione dell’art. 40 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, il quale attribuisce al Tesoriere il solo potere esecutivo in materie di spese del Consiglio e cioè quello di pagare i mandati firmati dal Presidente e controfirmati dal Segretario. L’art. 9 del Regolamento censurato, invece, attribuisce al Tesoriere il potere di procedere ai pagamenti delle spese straordinarie, fino a 5.000 Euro, direttamente, con il solo obbligo di comunicazione al primo Consiglio utile. Ciò comporterebbe la violazione anche dell’art. 7 del d. lgs. 382/1944, che attribuisce al Consiglio il potere di provvedere all’amministrazione dei beni dell’Ordine.
Le stesse norme risulterebbero altresì violate dall’art. 23.6 del Regolamento generale impugnato, che attribuisce al Presidente la possibilità di patrocinare iniziative utili per l’immagine dei professionisti, nei casi di estrema urgenza, senza delibera consiliare e mediante semplice comunicazione al Consiglio per presa d’atto;
8. eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e per irragionevolezza, nel restringere il diritto di accesso dei consiglieri, mediante estensione agli stessi delle regole previste per l’accesso agli atti da parte di soggetti terzi;
9. eccesso di potere e disparità di trattamento laddove, all’art. 6, comma 6 del Regolamento generale è stata introdotta una condizione di incompatibilità tra la carica di consigliere e quella all’interno di organi collegiali della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza degli architetti, non prevista dalla norma. Ciò al solo fine, secondo parte ricorrente, di determinare la sua esclusione dal Consiglio, data la sua carica come delegato XXX;
10. violazione degli artt. 36 e 41 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537 e 16 del d. lgs. 382/1944: il Regolamento subordina la convocazione del Consiglio, che in base alla legge deve avvenire anche su semplice richiesta di due membri, alla presentazione di domanda scritta e motivata. Esso collega la caducazione automatica dalla carica di consigliere alla mancata partecipazione a due adunanze successive, mentre la legge richiede che ciò avvenga per tre sedute successive, nonché all’assenza, ancorchè giustificata, per più di quattro sedute consecutive, che non vede corrispondenza nella legge. Infine la Presidenza del Consiglio, in assenza del Presidente, sarebbe collegata, in ultima istanza, al più anziano per età anagrafica e non anche per iscrizione all’Ordine come, invece, previsto dalla legge;
11. violazione dell’art. 9 del D.P.R. 8 luglio 2005, n. 169, nella parte in cui il Regolamento impugnato prevede che, in sede disciplinare, in caso di parità, prevalga il voto del Presidente e non anche del consigliere più anziano per iscrizione;
12. violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto il complesso e farraginoso iter previsto per l’accesso (art. da 11 a 19 dell’allegato 2) si porrebbe in contrasto con i principi di semplicità, economicità, efficacia e trasparenza indicati da tale legge;
13. eccesso di potere per perplessità, confusione e contradditorietà: l’art. 45 del regolamento generale impugnato attribuisce al Consiglio dell’Ordine il potere esclusivo di modificare e integrare il regolamento generale, ma al terzo comma riserva alla Assemblea la modifica degli artt. 6, 25 e 45.
Il 10 dicembre 2010 si è costituito in giudizio l’intimato Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di XXX, deducendo l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad agire, data la natura, solo astrattamente lesiva, del regolamento.
Esso ha, quindi, indugiato sulla rappresentazione della condizione di autonomia goduta dall’Ordine professionale nella regolamentazione della propria attività, che, anche in ragione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 della Costituzione, non tollererebbe una disciplina eteronoma. Nel merito ha sostenuto l’infondatezza delle singole censure dedotte.
Nelle more, con deliberazione 23 luglio 2010, n. 123, il Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di XXX ha approvato il nuovo testo del Regolamento generale e dei suoi allegati, apportando allo stesso ulteriori modificazioni.
Anche tale deliberazione è stata impugnata dal ricorrente (con R.G. 1277/2010), deducendo:
1. eccesso di potere per perplessità, confusione e contradditorietà determinate dalla procedura di doppia approvazione, anche in ragione del fatto che il Consiglio non avrebbe potuto deliberare la "ratifica" della deliberazione dell’Assemblea;
2. violazione dell’art. 40 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537 e 7 del d. lgs. 382/1944. La prima di tali disposizioni attribuisce al Tesoriere il solo potere esecutivo in materie di spese del Consiglio e cioè quello di pagare i mandati firmati dal Presidente e controfirmati dal Segretario. L’art. 9 del Regolamento censurato, invece, attribuisce al Tesoriere il potere di procedere ai pagamenti delle spese straordinarie, fino a 5.000 Euro, direttamente, con il solo obbligo di comunicazione al primo Consiglio utile. Ciò comporterebbe la violazione anche dell’art. 7 del d. lgs. 382/1944, che attribuisce al Consiglio il potere di provvedere all’amministrazione dei beni dell’Ordine.
Le stesse norme risulterebbero altresì violate dall’art. 23.6 del Regolamento generale impugnato, che attribuisce al Presidente la possibilità di patrocinare iniziative utili per l’immagine dei professionisti, nei casi di estrema urgenza, senza delibera consiliare e mediante semplice comunicazione al Consiglio per presa d’atto.
Si è costituito in giudizio il Consiglio dell’Ordine che, con la propria memoria del 31 dicembre 2010, oltre a ribadire la già rilevata carenza di interesse al ricorso, ha delineato quelli che, a parere dello stesso, sarebbero i limiti che l’autonomia degli ordini professionali incontrerebbe nella regolamentazione della propria azione, rivendicando un autonomo diritto ad autodeterminarsi.
In ogni caso, afferma ancora il Consiglio dell’Ordine, il censurato regolamento sarebbe stato regolarmente approvato, nel suo testo finale ed integrale, dal Consiglio dell’Ordine con la deliberazione n. 123/2010.
Alla pubblica udienza fissata per il 13 gennaio 2010, entrambe le cause sono state trattenute in decisione, su conforme richiesta dei procuratori delle parti.
Motivi della decisione
Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, attesa la palese connessione oggettiva e soggettiva tra gli stessi, aventi ad oggetto, in buona parte, i medesimi provvedimenti impugnati ovvero gli atti ad essi consequenziali.
Ciò precisato, il Collegio non ritiene fondata l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse alla decisione. È pur vero, infatti, che in linea generale un atto generale, quali il regolamento, è privo di un’efficacia lesiva diretta ed immediata. Nel caso di specie, però, sono ravvisabili due particolarità: la prima connessa alla natura del ricorrente, il quale agisce come consigliere dell’Ordine e non anche come mero iscritto, e delle stesse censure dedotte e la seconda alla diretta lesività di alcune delle disposizioni regolamentari nei confronti del consigliere ricorrente.
Ne discende l’ammissibilità del ricorso.
Nel merito la prima doglianza dedotta parrebbe, in prima battuta, fondata, in quanto l’art. 42 del R.D. 2357/1925, espressamente richiamato all’art. 1 del Regolamento generale, effettivamente riserva al Consiglio la potestà regolamentare, mentre nessuna disposizione normativa attribuisce analoga competenza all’Assemblea.
Ciononostante gli atti impugnati non possono essere annullati in ragione del vizio di incompetenza ravvisato. Prescindendo dal dare conto dei farraginosi passaggi tra Assemblea e Consiglio (i quali stessi evidenziano l’infondatezza del riconoscimento della potestà regolamentare in capo all’Assemblea), come affermato dall’Ordine resistente nella propria difesa, con deliberazione n. 123 del 23 luglio 2010 il Consiglio ha approvato in nuovo testo del Regolamento generale e dei suoi allegati, così addivenendo, in tale momento, all’effettiva approvazione del testo regolamentare.
Tale nuova approvazione del testo emendato da parte dell’organo competente ha, però, quale effetto immediato e diretto di rendere improcedibile il ricorso avverso gli atti impugnati con il ricorso sub R.G. 456/2010, il cui contenuto è stato integralmente sostituito dalla definitiva approvazione del Regolamento e dei suoi allegati nel luglio 2010.
Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, infatti, con la citata deliberazione n. 123/10 il Consiglio, nell’approvare modifiche ed integrazioni al Regolamento e ai suoi allegati (di cui all’allegato 1 della stessa deliberazione n. 123/10) ha, quindi, provveduto all’approvazione della nuova bozza di Regolamento che risulta allegata, nel suo testo complessivo finale (scaturito dalle modifiche dell’originario deliberate anche dall’Assemblea e da quelle ulteriori apportate dal Consiglio dopo la proposizione del ricorso), alla deliberazione stessa: ciò ha determinato il venire meno dell’interesse alla pronuncia, poiché l’eventuale annullamento delle deliberazioni impugnate con il ricorso in parola non farebbe venire meno l’operatività di quelle adottate successivamente dal Consiglio nel luglio 2010.
Per le stesse ragioni deve essere dichiarato inammissibile il ricorso sub R.G. 1277/2010 nella parte in cui ha ad oggetto il Regolamento approvato con le deliberazioni del Consiglio n. 55/a e 55/b del 2010 e la deliberazione dell’Assemblea del 29 gennaio 2010.
Deve, invece, essere esaminato nel merito lo stesso ricorso, nella parte in cui è volto a censurare la legittimità della deliberazione del Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di XXX del 23 luglio 2010, n. 123.
Appare però opportuno premettere, con riferimento all’estensione dell’autonomia regolamentare riconosciuta agli Ordini professionali, come il Collegio ritenga condivisibile l’opinione espressa più volte dal Consiglio di Stato sull’argomento e ben rappresentata dalla seguente affermazione: "Ex art. 117 comma 2 lett. g) cost., sussiste la potestà regolamentare statale in materia di disciplina degli ordini professionali dei dottori agronomi e dottori forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli ingegneri, posto che: 1) questi si configurano quali enti pubblici nazionali, in quanto persone giuridiche pubbliche svolgenti funzioni di vigilanza nell’intero nazionale riguardo all’esercizio delle professioni, cui si accede previo esame di Stato; 2) gli ordini territoriali si configurano, di conseguenza, come componenti dell’ordine nazionale al fine della più fedele rappresentanza della distribuzione territoriale dei professionisti iscritti.".
Ne discende che ai singoli Ordini non può che essere attribuita una potestà regolamentare organizzativa, nei limiti della disciplina dettata dal legislatore statale.
Un tanto precisato, nello specifico non merita accoglimento la prima doglianza, in quanto, sebbene confuso, l’iter procedimentale seguito ha, infine, determinato l’approvazione del testo alla cui elaborazione ha, quindi, contribuito anche l’Assemblea senza che ciò possa invero integrare un’illegittimità: ciò a prescindere dalla qualificazione dell’ultima deliberazione come "ratifica", essendo rilevante il risultato finale dell’approvazione del testo da parte del competente Consiglio.
Fondata appare, invece, la seconda censura. Un’attenta lettura dell’art. 9 del regolamento evidenzia come, lungi dall’attribuire un’autonoma capacità di spesa al Tesoriere, si prescrive che le spese straordinarie possano essere sostenute, previa sola verifica della disponibilità a bilancio, a fronte della controfirma del Presidente. Rispetto alla previsione dell’art. 40 del R.D. 2537/25, quindi, è stata eliminata la controfirma del segretario.
Considerato che tale controfirma risulta avere una ratio di garanzia della rispondenza ai fini istituzionali della spesa effettuata, specie laddove, come con riferimento alle spese straordinarie, la stessa non sia espressamente prevista a bilancio, la sua eliminazione dall’iter del pagamento deve ritenersi integrare una violazione dei limiti che necessariamente incontra il potere di autoregolamentazione attribuito agli ordini provinciali degli ingegneri dall’art. 42 r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, il quale deve essere esercitato, a pena di invalidità dei provvedimenti attuativi, nei limiti dell’ordinamento (cfr Cassazione civile, sez. un., 25 settembre 1997, n. 9431).
In tal modo l’approvazione del Regolamento integra, in effetti, quel riconoscimento, a taluni soggetti dell’organizzazione, di un’irragionevole e immotivata posizione di maggior potere censurata già con il primo ricorso, la quale è posta alla base anche delle censure riproposte con il secondo ricorso.
Ne discende l’annullamento dell’art. 9 del Regolamento generale.
Le ulteriori censure proposte nel primo ricorso e che non sono divenute improcedibili per effetto delle modifiche apportate in via amministrativa al testo dal Consiglio, non possono essere comunque esaminate perché non sono state riproposte avverso l’ultima deliberazione di approvazione del testo finale.
Con riferimento alle spese del giudizio, si ritiene che sussistano giustificati motivi per disporne la parziale compensazione, tenuto conto che il nuovo testo del Regolamento è frutto dell’intervento di revisione originato dal primo ricorso notificato e che il secondo ricorso risulta essere solo parzialmente fondato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, dispone la riunione degli stessi.
Dichiara improcedibile il ricorso sub R.G. 456/2010.
Dichiara parzialmente inammissibile il ricorso sub R.G. 1277/2010, mentre per il resto lo accoglie in parte e per l’effetto dispone l’annullamento della deliberazione n. 123/2010 nei limiti di cui in motivazione.
Dispone la parziale compensazione delle spese di lite e, conseguentemente, condanna l’Ordine resistente al pagamento delle spese del giudizio che liquida, a favore di parte ricorrente, in Euro 1.000,00 (mille,00) oltre ad IVA e C.P.A., nonché al rimborso del contributo unificato dalla stessa anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel solo ricorso n. 1277/10, in cui è risultata vittoriosa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *