Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14788

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1.- Ba.Si. e il figlio Ba.Sa. erano titolari rispettivamente del 70% e del 30% delle quote sociali della XXX di XXX e Figlio s.n.c.. L’atto di costituzione della società prevedeva che, in caso di morte di un socio, non era consentito ai suoi eredi di assumere la qualità di socio se non con il consenso unanime degli altri soci e che agli eredi sarebbe stata liquidata la quota di capitale e la quota di utili maturati sino al momento della morte; inoltre, una clausola compromissoria devolveva a tre arbitri la soluzione di ogni controversia che dovesse insorgere tra ì soci o alcuni dei soci, i loro eredi e la società, circa l’interpretazione e l’esecuzione del contratto costitutivo della società.
A seguito del decesso di Ba.Si., il figlio Sa.
ricostituì la pluralità dei soci chiamando nella società la moglie e si obbligò a liquidare alle eredi – la madre R.V. e le sorelle M. e B.S. – la quota di partecipazione che il padre aveva nella società. Nacque una controversia sulla stima del valore aziendale e, quindi, delle quote sociali. Fu costituito il collegio arbitrale che, in data 19 novembre-2 dicembre 2003, pronunciò il lodo che stimò in Euro 1.287.330,00 il valore della quota di cui era titolare il socio defunto.
2.- La società XXX, ritenendo che il lodo fosse rituale, lo impugnò davanti alla Corte d’appello di Trieste e chiese di dichiararne la nullità per invalidità della clausola compromissoria nei confronti degli eredi e carenza assoluta di potestas iudicandi in capo agli arbitri. M. e B.S. eccepirono la inammissibilità o improponibilità dell’impugnazione, stante la natura irrituale del lodo.
La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 26 marzo 2009, ha accolto l’impugnazione e dichiarato nullo il lodo. La corte di merito, premesso che non era necessario qualificare il lodo come rituale o irrituale, ha ritenuto che, per effetto della successione, gli eredi non acquistano la qualità di socio in una società in nome collettivo, ma solo il diritto alla liquidazione della quota sociale del dante causa nei confronti della società, tenuto conto dell’intuitus personae tipico delle società di persone, che non consente che entrino a far parte della società gli eredi del socio defunto senza il consenso dei soci superstiti; quindi la clausola compromissoria inserita nello statuto poteva produrre effetti soltanto tra le parti che l’avevano sottoscritta e non nei confronti degli eredi, in quanto estranei al rapporto sociale, con conseguente non compromettibilità della controversia.
3.- M. e B.S. propongono ricorso articolato in sette motivi e illustrato da memoria. La società XXX resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Nel primo motivo le ricorrenti deducono violazione o erronea applicazione degli artt. 827 e 828 c.p.c. e art. 829 c.p.c., commi 2 e ss., e art. 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata giudicato irrilevante prendere posizione sulla natura, rituale o irrituale, dell’arbitrato, sulla quale esse avevano già sollevato una specifica eccezione volta a far accertare la natura irrituale dell’arbitrato, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione per nullità del lodo davanti alla corte d’appello, dovendo la clausola compromissoria interpretarsi in tal senso, in applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale e dell’effettiva volontà dei compromettenti.
1.1.- Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, dopo avere incidentalmente ritenuto irrilevante la qualificazione del lodo, lo ha giudicato nullo in quanto emesso da arbitri privi di potestas iudicandi, sulla base di una clausola compromissoria inefficace nei confronti delle eredi di Ba.Si.. La corte territoriale è così incorsa in errore di diritto, poichè solo nel caso in cui il lodo fosse stato rituale essa avrebbe potuto giudicare sulla validità dello stesso in sede di impugnazione, ai sensi dell’art. 828 c.p.c.. E’ infatti giurisprudenza costante che l’impugnazione per nullità di un lodo dinanzi alla corte d’appello è proponibile, ai sensi degli artt. 827 ss. c.p.c., soltanto con riferimento agli arbitrati rituali, mentre, in caso di arbitrato irrituale, l’impugnazione predetta non è ammissibile (ancorchè si impugni il lodo allegando la nullità della clausola compromissoria), essendo legittimamente esperibile la sola azione per eventuali vizi del negozio, da proporre con l’osservanza delle norme ordinarie sulla competenza e del doppio grado di giurisdizione (v. Cass. n. 2213 del 2007, n. 9392 del 2004, n. 10035 del 2002, n. 15070 del 2000). La corte di merito, inoltre, se ha deciso sulla validità del lodo nel giudizio di impugnazione è perchè si è ritenuta competente, il che presuppone che abbia implicitamente rigettato l’eccezione con cui le parti ora ricorrenti avevano chiesto di accertare la natura irrituale del lodo. La medesima questione della natura del lodo è stata ora riproposta e può essere decisa da questa Corte nel senso che si trattava di lodo irrituale, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione della società XXX, ai sensi dell’art. 828 c.p.c..
E’ necessario premettere che, nel caso in cui con il ricorso per cassazione avverso sentenza che abbia pronunciato su impugnazione ex artt. 828 ss. c.p.c. di un lodo arbitrale, sì metta in discussione la qualificabilità come rituale dell’arbitrato, questa Corte deve esaminare e valutare direttamente il patto compromissorio integrante la fonte dell’arbitrato medesimo e non limitarsi al controllo della decisione del giudice del merito, incidendo la soluzione della questione dedotta sul problema processuale dell’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per nullità (v. Cass. n. 874 del 1995, secondo la quale tale indagine va condotta valutando il patto compromissorio sulla base delle regole proprie dell’ermeneutica contrattuale). Ed è noto che nell’arbitrato irrituale le parti intendono affidare all’arbitro non già una funzione sostitutiva di quella del giudice ma un mandato a definire una controversia sul piano negoziale, attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Al fine di riconoscere un arbitrato irrituale, è irrilevante l’uso di espressioni tecniche come "controversia" e "giudizio" che, pur essendo peculiari del procedimento giurisdizionale, possono essere utilizzate anche nell’arbitrato irrituale, per mera scelta lessicale dei contraenti, onde indicare in maniera appropriata gli eventuali contrasti di fatto che possano insorgere tra loro e la necessità che vengano sottoposti al vaglio di un collegio arbitrale. Ciò ha indotto questa Corte a propendere per la natura irrituale dell’arbitrato in casi in cui nella clausola compromissoria le parti avevano espressamente attribuito agli arbitri il potere di giudicare secondo equità e senza vincolo formale di espressione del loro giudizio (v. Cass. n. 16718 del 2006), ovvero in mancanza di riferimenti al regime formale della procedura e di qualsiasi volontà di pervenire ad un lodo suscettibile di exaequatur (v. Cass. n. 11976 e 12714 del 2002, n. 5527 del 2001).
Queste caratteristiche tipiche dell’arbitrato irrituale sono riconoscibili anche nella clausola compromissoria di cui si discute, la quale (nel testo riportato nel ricorso e nel controricorso) prevedeva che "Qualunque controversia dovesse insorgere tra i soci o da alcuni di essi, i loro eredi e la società, circa l’interpretazione e l’esecuzione del presente contratto, sarà rimessa al giudizio di tre arbitri amichevoli compositori… Gli arbitri giudicheranno ex bono ed aequo, inappellabilmente senza formalità di procedura".
2.- Gli altri motivi sono assorbiti: quelli dal secondo al sesto, deducenti, sotto vari e convergenti profili, errores in procedendo e vizio di motivazione a proposito della natura dell’arbitrato e della potestas iudicandi degli arbitri; il settimo, deducente la violazione del principio di diritto secondo cui il successore a titolo universale subentra in tutti i rapporti riferibili al de cuius e quindi anche nella clausola compromissoria prevista nello statuto sociale, tenuto conto che le eredi non intendevano entrare nella società, ma ottenere soltanto la liquidazione della quota sociale.
3.- Pertanto, avendo la corte di merito giudicato su una impugnazione (del lodo) inammissibile, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata senza rinvio. Le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e condanna la XXX di XXX e Figlio s.n.c. al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidate in Euro 1.000,00 per diritti e Euro 3.000,00 per onorari, nonchè delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre Iva e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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