Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-10-2013) 24-10-2013, n. 43568

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza resa il 21 gennaio 2013 il Tribunale di Cagliari dichiarava la propria incompetenza per territorio a prendere cognizione del procedimento penale a carico di A.L. ed altri sei imputati, chiamati a rispondere del delitto di cui all’art. 416 c.p. e di alcuni delitti di furto e ricettazione, commessi in varie località della (OMISSIS) sino al (OMISSIS).

1.1 Quel Collegio fondava la propria decisione sul riconoscimento del vincolo della connessione tra i reati contestati nel procedimento in riferimento a tutti i criteri dettati dall’art. 12 c.p.p., per la contestazione del concorso di più persone nei reati, della continuazione e della commissione dei furti e delle ricettazioni di cui ai capi 2), 3), 4), 5) e 6) al fine di dare esecuzione al reato associativo, sicchè, in applicazione del disposto dell’art. 16 c.p.p., riteneva che la competenza per territorio spettasse al giudice del luogo di consumazione del primo reato, individuato nel furto di cui al capo n. 3), commesso in Torino il 28 febbraio 2001.

2. Ha resistito alla declinazione di competenza il G.U.P. del Tribunale di Torino, il quale con ordinanza resa il 25 giugno 2013 all’esito dell’udienza preliminare ha ritenuto non potessero applicarsi al caso i criteri di determinazione della competenza per connessione nel difetto del presupposto della contestazione dei reati connessi a tutti gli imputati.

Motivi della decisione

1. Il conflitto negativo è ammissibile in rito, per avere entrambi i giudici coinvolti ricusato di prendere cognizione del procedimento penale, promosso a carico degli stessi imputati in ordine ai medesimi fatti di reato, con ciò determinando la stasi del procedimento, superabile soltanto mediante una decisione di questa Corte ai sensi dell’art. 32 c.p.p..

2. Quanto alla regola di determinazione della competenza, deve premettersi che a carico del L. e consorti è stata elevata l’accusa di partecipazione ad un’associazione a delinquere, costituita ed operante principalmente nel territorio della provincia di Cagliari e finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio e la fede pubblica, – furti aggravati ai danni di istituti di credito e gioiellerie, furti di autovetture ed alterazione dei segni di riconoscimento dei veicoli sottratti-, di commissione di una pluralità di furti, descritti al capo 2) ed a carico del solo A.G. anche della perpetrazione dei furti di cui ai capi 3) e 4) e delle ricettazioni di cui ai capi 5) e 6).

2.1 Ciò premesso, va anche rilevato in via preliminare che la questione di competenza territoriale era stata già sollevata dalla difesa del L. in sede cautelare e che la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con la sentenza n. 4253 del 23/11/2004, non massimata, aveva rilevato la manifesta infondatezza dell’eccezione che contestava la competenza del Tribunale di Cagliari, in quanto in punto di fatto era emersa l’autonomia dell’associazione a delinquere, capeggiata dal L., rispetto ad altri simili organismi criminosi operanti in altre parti del territorio nazionale, la predisposizione di autonome basi logistiche, destinate all’attività da svolgersi esclusivamente in Sardegna ed il reclutamento all’uopo di nuovi sodali con ruolo operativo limitato nell’isola. In punto di diritto, la Corte di legittimità aveva anche affermato che "ai fini della individuazione del luogo di competenza vale nella fattispecie il disposto dell’art. 16 c.p.p., comma 1, atteso che i reati più gravi, i furti, sono stati posti in essere in Sardegna". Da quanto premesso, emerge l’erronea citazione da parte del Tribunale di Cagliari di tale precedente decisione che, seppur resa nel subprocedimento cautelare, ha già individuato i presupposti per affermare la competenza territoriale di un Tribunale sardo, non per smentirla.

2.2 In secondo luogo la decisione assunta dal Tribunale di Cagliari incorre in altro errore di diritto: in primo luogo, applica in modo non condivisibile il disposto dell’art. 16 c.p.p., in quanto, dopo aver rilevato l’operatività di plurime ragioni di connessione tra i reati ascritti agli imputati, ha ritenuto di individuare il reato più grave nel furto contestato all’ A. al capo 3) in ragione delle aggravanti ivi previste.

Ciò però non tiene conto del fatto che la maggiore o minore gravità di tale fattispecie va stabilita in funzione della pena edittale, che non dipende dal numero delle aggravanti quando le stesse siano comunque almeno due, posto che in questo caso si deve fare applicazione dell’art. 625 c.p., u.c. e che la sanzione edittale, da tre a dieci anni di reclusione e da 206 a 1.549 Euro di multa, resta immutata tanto se concorrano tutte le aggravanti specifiche previste nel comma 1 dello stesso articolo, quanto se sussistano una o più di tali circostanze ed una o più delle aggravanti comuni previste dall’art. 61 c.p.. (Cass. sez. 4, n. 36829 del 21/09/2010, Glamocic, Rv. 248403). Pertanto, fermo restando che tra i p. reati contestati sono i furti a risultare di maggiore gravità, tra questi non possibile individuarne uno più grave rispetto agli altri, per cui deve farsi ricorso per determinare il giudice competente al criterio sussidiario del primo reato commesso.

In questo caso per l’ A. si tratterà del furto consumato in (OMISSIS), contestato al capo 3), mentre per gli altri imputati dovrà aversi riguardo al furto commesso in (OMISSIS), loro ascritto al capo 2).

2.3 Al riguardo, il secondo errore nel quale è incorso il Tribunale consiste nell’aver ravvisato il nesso di connessione, idoneo a determinare in via autonoma la competenza, senza avvedersi che il reato connesso a tal fine determinante non era stato contestato a tutti gli imputati. Tale interpretazione contravviene al principio, rafforzato da garanzia costituzionale dall’art. 25 Cost., della precostituzione del giudice naturale. In termini corrispondenti si è espressa anche la giurisprudenza di questa Corte con orientamento costante, cui si ritiene di dover aderire per la correttezza delle argomentazioni e l’assenza di rilievi contrari (Cass. sez. 1^, n. 37156 del 10/6/2004, La Perna ed altri, rv. 229533; sez. 1^, n. 24583 del 28/5/2009, Confi. Comp. in proc. Belletti, rv. 243821; sez. 1, n. 24718 del 22/5/2008, Confi. Comp. in proc. Molinaro, rv. 240806; sez. 1^, n. 38170 del 23/9/2008, confi, comp. in proc. Schiavone, rv.

241143; sez. 2^, n. 39777 del 26/9/2007, PM in proc. Casella, rv.

238435), secondo la quale il vincolo di connessione tra reati diviene criterio autonomo di determinazione della competenza soltanto se i fatti siano ascritti agli stessi soggetti, diversamente l’interesse di uno di essi alla trattazione unitaria del processo verrebbe a pregiudicare quello degli altri ad essere giudicati dall’autorità precostituita per legge secondo le regole ordinarie sulla competenza.

Tale inconcepibile inconveniente verrebbe a crearsi, avvalorando le soluzioni opposte, prescelte dai giudici in conflitto, posto che il solo furto commesso in Torino dall’ A. avrebbe l’effetto di sottrarre tutti gli altri imputati al loro giudice naturale, ossia al Tribunale del luogo di commissione del primo dei reati più gravi dagli stessi commessi, mentre, al contrario, la celebrazione del procedimento a Nuoro priverebbe l’ A. della possibilità di essere giudicato dal Tribunale di Torino, ove risulta da lui commesso il primo tra i più gravi delitti ascrittigli.

Per le considerazioni svolte va dichiarata la competenza del G.U.P. del Tribunale di Torino per il solo A. e del Tribunale di Nuoro per tutti i restanti imputati.

P.Q.M.

Dichiara la competenza del G.U.P. del Tribunale di Torino nei confronti di A.G. e del Tribunale di Nuoro nei confronti degli altri imputati.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013

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