Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14786

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Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 18.7.2007, M.V., + ALTRI OMESSI chiedevano che venisse dichiarato il fallimento degli eredi di XXX, deceduto il (OMISSIS), titolare della omonima impresa individuale, esponendo che dopo il decesso del P. l’attività è stata proseguita dai suoi eredi M.A. R. (moglie) P.D., P.A., P.L. e P.F. (figli). Esponevano che in data 7.3.2005, a seguito di riduzione di personale, essi ricorrenti erano stati licenziati in tronco senza che fosse loro corrisposta l’indennità di mancato preavviso , i ratei degli stipendi ferie non godute e, soprattutto, l’indennità di fine rapporto. Rappresentavano, inoltre, l’esito negativo del tentativo di ottenere in via bonaria il pagamento di quanto preteso all’indomani del deposito, presso il Tribunale, di un precedente ricorso archiviato in seguito a desistenza degli stessi ricorrenti sulla base di un piano di rientro concordato di pagamento poi non ottemperato .
Chiedevano, pertanto, il fallimento del suddetti "eredi" quali debitori della somma di circa Euro 74.000,00, derivante dall’attività di lavoro dipendente. Si costituivano gli eredi P., sostenendo che l’attività di impresa, benchè proseguita solo dalla moglie successivamente alla morte del P., avvenuta il (OMISSIS), era cessata il 7.2.2005, come provato dal licenziamento di tutti i lavoratori dipendenti e dalla vendita degli automezzi con cui veniva svolta l’attività di autotrasporto. Su tale situazione di fatto, rappresentavano che, ai sensi della L. Fall., art. 10, comma 2, non poteva essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore defunto e dei suoi eredi, in ragione dell’avvenuta cessazione dell’attività.
Con sentenza n. 2/08 del 12.3.2008 il Tribunale di Reggio Calabria, dichiarava il fallimento di XXX e di XXX.
Avverso la predetta sentenza proponevano reclamo, con ricorso depositato in data 1 aprile 2008, XXX, in proprio e nella qualità di esercente la patria potestà sulla figlia P.F., nonchè P.D., P. A. e P.L. tutti eredi di P.G. P..
Si costituivano in giudizio il Curatore dei fallimenti nonchè M.V., + ALTRI OMESSI .
La Corte di merito accoglieva parzialmente il reclamo e, per l’effetto, revocava il fallimento di XXX, confermava nel resto la sentenza reclamata.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Curatela Fallimentare svolgendo due mezzi di impugnazione.
Resistono al ricorso principale gli eredi di P.G. e ne chiedono la declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità e comunque il rigetto, per infondatezza, nel merito.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo mezzo il fallimento ha dedotto la nullità della sentenza per non aver il giudice di appello dichiarato inammissibile il reclamo avverso la sentenza del primo giudice per essere stato notificato il ricorso oltre dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento presidenziale di fissazione dell’udienza.
Con il secondo mezzo ha denunciato il vizio di motivazione in ordine alla accertata mancanza di domanda di fallimento nel confronti di P.G., nonchè la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e L. Fall., art. 6.
Il primo motivo del ricorso è infondato.
Questa Corte nell’ipotesi concettualmente analoga di proposizione di reclamo avverso i provvedimenti del giudice delegato ha ritenuto che, ai sensi della L. Fall., art. 26, commi 8 e 9, nel testo sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 23 applicabile "ratione temporis", il termine di cinque giorni entro cui l’istante, dalla comunicazione del provvedimento, deve curarne la notifica ai controinteressati, unitamente al decreto di convocazione all’udienza, non riveste natura perentoria, così che la sua inosservanza, analogamente a quanto previsto dalla L. Fall., art. 98, nella formulazione anteriore alla novella del 2006, per le opposizioni allo stato passivo, non determina l’inammissibilità del reclamo, in quanto non concorre agli adempimenti funzionali al contraddittorio, mentre il successivo termine, di almeno 15 giorni, che deve intercorrere tra detta notifica e la data dell’udienza, assolve alle esigenze di difesa delle controparti (Cass 4555/11).
Per le sovraindicate ragioni anche nel caso di specie deve ritenersi che il termine di dieci giorni dalla comunicazione per notificare il reclamo avverso la sentenza di dichiarazione di fallimento non rivesta carattere perentorio poichè non adempie agli adempimenti funzionali del contraddittorio. Quest’ultimo viene comunque assicurato dalla avvenuta effettiva notifica del reclamo e del pedissequo decreto di fissazione di udienza mentre il diritto sostanziale di difesa, è assicurato dal rispetto del termine che impone che tra la notifica predetta e la data dell’udienza deve intercorrere un certo lasso di tempo; termine che, nel caso di specie, deve essere, ai sensi della L. Fall., art 18, comma 7 post novella, non inferiore a 30 giorni e che risulta rispettato. A tali considerazioni se ne devono aggiungere delle ulteriori che si svolgono tutte nel senso della infondatezza del ricorso.
L’impugnazione in questione si svolge infatti secondo la procedura prevista per i procedimenti in Camera di consiglio sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 706 c.p.c., e segg..
A tale proposito la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto che l’instaurazione del giudizio camerale è caratterizzato da due fasi distinte che si perfezionano, rispettivamente, la prima con il deposito del ricorso in cancelleria e la seconda con la notifica al convenuto del ricorso e del pedissequo decreto del presidente del tribunale, contenente la fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso e del decreto. Pertanto, il rapporto cittadino – giudice si costituisce già con il deposito del ricorso, mentre la seconda fase è finalizzata esclusivamente alla costituzione del necessario contraddittorio fra le parti, con la conseguenza che l’omessa notifica o il mancato rispetto del termine fissato per la stessa non comportano, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso, già regolarmente proposto con il suo deposito in cancelleria (Cass. 18448/04; Cass. 507/03; Cass. 3837/06; Cass. 22926/09), ma soltanto la necessità di assicurare l’effettiva instaurazione del contraddittorio che può realizzarsi, in applicazione dell’art. 162 cod. proc. civ., comma 1 mediante l’ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice. (Cass. 12983/09), ovvero mediante la rinnovazione della stessa eseguita spontaneamente dalla parte. (Cass. 27450/056868/09 9528/09, 15482/05; 11360/99) oppure tramite la costituzione spontanea del resistente.
In tutti questi casi, infatti, viene raggiunto lo scopo che è quello di portare quest’ultimo a conoscenza del ricorso contro di lui proposto e viene quindi assicurata la regolarità del contraddittorio.
Nel caso di specie, il mancato rispetto del termine di dieci giorni dalla data della comunicazione del decreto di fissazione di udienza entro cui effettuare la notifica, risulta comunque sanato dalla notifica effettuata dal reclamante prima di trenta giorni dalla data di fissazione dell’udienza, nonchè dalla costituzione in giudizio della controparte. Del tutto correttamente pertanto il tribunale ha proceduto all’esame del reclamo.
Il secondo motivo è inammissibile.
A seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. (Cass. 20535/09; Cass. sez. un 7161/10).
Con il motivo in esame il fallimento ha denunciato il vizio di motivazione in ordine alla accertata mancanza di domanda di fallimento nel confronti di P.G., nonchè la falsa applicazione dell’art. 112 e L. Fall., art. 6.
La doglianza si fonda sull’accertamento del contenuto delle istanze di fallimento che si sarebbero riferite anche a P. G., ma di tali istanze, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non viene indicato in quale fascicolo siano rinvenibili nè dove essere siano specificamente allocate.
Il ricorso va in conclusione rigettato.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il fallimento ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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