Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14781

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 2004, condannò il Presidio Ospedaliero XXX della Provincia Sicula XXX (già Ospedale XXX) a pagare alla XXX s.a.s. di XXX (già XXX s.a.s. di XXX XXX) la somma di Euro 220.000,00 oltre interessi legali, dovuta, quanto ad Euro 180.750,00, a titolo di indennità ex art. 1671 c.c., per l’anticipato recesso dell’ente convenuto da contratto d’appalto, avente ad oggetto la prestazione dei servizi di assistenza alla sicurezza e di guardiania, stipulato con l’attrice il 1.5.2000 per la prevista durata di cinque anni, e, quanto ad Euro 39.250,00, a titolo di residuo corrispettivo dei servizi da questa prestati nei mesi di maggio, giugno, luglio e agosto 2000. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 2.12.2005, ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’ente ospedaliero avverso la sentenza di primo grado ed ha ridotto la condanna ad Euro 160.101,00, rilevando che l’appaltatrice non aveva domandato il pagamento delle prestazioni eseguite nel mese di agosto, che aveva già ricevuto, e che, tenuto conto della natura del contratto, l’indennità ad essa spettante ai sensi dell’art. 1671 c.c. andava determinata nella misura del 15% della residua prestazione contrattuale, anzichè in quella del 20% riconosciuta dal primo giudice. La sentenza è stata impugnata dal Presidio Ospedaliero XXX con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui XXX s.a.s. di XXX ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso, il Presidio Ospedaliero XXX denunciando violazione dell’art. 1671 c.c., lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto delle risultanze probatorie acquisite agli atti del giudizio, dalle quali emergeva la piena legittimità del suo recesso dal contratto, determinato dai ripetuti inadempimenti dell’appaltatrice. Il motivo va dichiarato inammissibile.
Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il diritto di recesso che l’art. 1671 c.c. accorda al committente è da questi esercitabile "ad nutum" in qualsiasi momento dell’esecuzione del contratto di appalto e per qualsiasi ragione che lo induca a porre fine al rapporto, non essendo, viceversa, configurabile un diritto dell’appaltatore (cui spetta unicamente l’indennizzo previsto dalla norma) a proseguire nell’esecuzione dell’opera o del servizio.
Pertanto, sciogliendosi il contratto esclusivamente per effetto dell’unilaterale iniziativa del recedente – ancorchè il recesso possa essere giustificato anche dalla sfiducia verso l’appaltatore per fatti d’inadempimento – non è necessaria alcuna indagine sull’importanza di detto inadempimento e/o sulla ricorrenza di una giusta causa di recesso (Cass. nn. 9645/011, 10400/08, 11642/03).
Nella specie, il giudice di primo grado ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta da XXX nei confronti dell’ente ospedaliero, riconoscendo all’appaltatrice unicamente le somme ad essa dovute dal committente (a titolo di residuo corrispettivo contrattuale e di indennità per mancato guadagno) ai sensi dell’art. 1671 c.c., a seguito dell’anticipato scioglimento contrattuale. Ne consegue, per un verso, che, non avendo la società proposto appello contro la decisione, la Corte di merito ha inutilmente affrontato la questione, che oramai esulava dal thema decidendum, concernente l’eventuale ricorrenza di una giusta causa di recesso dell’ente ospedaliero e, per l’altro, che il ricorrente (che non ha richiesto in via riconvenzionale di dichiarare la risoluzione dell’appalto per fatto e colpa di XXX e che non può pertanto contestare il diritto della società a ricevere ciò che le spetta a norma dell’art. 1671 c.c.) difetta di interesse ad impugnare la sentenza nella parte in cui ha escluso che vi fosse prova di un inadempimento dell’appaltatrice idoneo a giustificare il suo scioglimento dai contratto.
2) Con il secondo motivo, l’ente ospedaliero, denunciando violazione dell’art. 1226 c.c., nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta in primo luogo che la Corte territoriale abbia riconosciuto l’esistenza di residui crediti di XXX s.a.s. in relazione alle prestazioni contrattuali da questa eseguite dal maggio al luglio del 2000, mesi nei quali, a suo dire, era stato pattuito che il servizio di vigilanza sarebbe stato svolto da una sola persona per turno, anzichè dalle due previste in sede di stipulazione dell’appalto, con conseguente dimezzamento del corrispettivo dovuto;
deduce, inoltre, che il giudice del merito ha illegittimamente esercitato il potere di liquidazione del danno in via equitativa, attesa la totale mancanza di prova della sussistenza e dell’entità del pregiudizio subito da XXX; osserva, infine, che il danno è stato, in ogni caso, liquidato in misura eccessiva, stante la sua qualità di ente pubblico e la conseguente applicabilità della disposizione di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F., art. 345 che quantifica le somme dovute all’impresa dall’amministrazione, in caso di anticipata risoluzione dell’appalto, nella misura del 10% dell’ammontare delle opere non eseguite. Nessuna delle tre diverse censure nelle quali si articola i motivo merita accoglimento.
La prima va dichiarata inammissibile, per difetto del requisito dell’autosufficienza, in quanto la ricorrente ha omesso di riportare in ricorso l’esatto contenuto dei documenti dai quali la Corte territoriale avrebbe dovuto trarre la prova dell’inesistenza dei crediti vantati dall’appaltatrice a titolo di residuo corrispettivo;
non ha indicato in quale fase del giudizio di merito i documenti siano stati prodotti, nè ha precisato se essi siano rintracciabili all’interno dei fascicoli di parte o di quello d’ufficio; non ne, ha, infine, illustrato la decisività ai fini del raggiungimento della diversa soluzione auspicata in ordine alla questione controversa. La seconda e la terza censura sono invece infondate.
Va premesso che la Corte di merito ha liquidato in via equitativa non già il danno subito dall’appaltatrice, ma l’indennità ad essa spettante ai sensi dell’art. 1671 c.c. per il guadagno non conseguito a causa dell’anticipato scioglimento del contratto. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice disponeva di un elemento probatorio certo in base al quale procedere alla liquidazione, costituito dal corrispettivo che sarebbe stato complessivamente versato a XXX nel caso in cui l’appalto avesse avuto regolare esecuzione (corrispettivo già determinato o, comunque, facilmente determinabile, atteso che le parti avevano stabilito una durata quinquennale del contratto ed avevano previsto che il servizio di vigilanza sarebbe stato pagato in misura fissa ed a scadenza mensile).
La percentuale del 15% del valore complessivo dell’appalto, che la Corte di merito, tenuto conto della natura dei contratto, ha ritenuto corrispondente all’utile netto che XXX avrebbe ricavato dalla sua esecuzione, appare de tutto congrua, considerato che per svolgere l’attività di vigilanza l’impresa avrebbe dovuto affrontare unicamente costi di manodopera, senza necessità di effettuare nuovi investimenti per l’acquisto di materiali o di macchinari.
In ordine a tale questione, del resto, le critiche rivolte dal ricorrente alla decisione risultano del tutto generiche, e si risolvono nel richiamo di precedenti giurisprudenziali non pertinenti, anzichè nella precisa allegazione degli elementi che avrebbero dovuto convincere della maggior incidenza sul corrispettivo contrattuale dei costi fissi o di manodopera sostenuti dall’appaltatrice.
Non può, infine, trovare accoglimento la pretesa dell’ente ospedaliero di veder applicato la L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345 (abrogato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256), non versandosi in tema di appalto di opere pubbliche ed essendo, peraltro, il contratto stato stipulato dall’Ospedale XXX, trasformato solo nel 2003 in Presidio Ospedaliero di appartenenza alla ASL NA (OMISSIS).
3) Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte di merito, al pari del primo giudice, abbia liquidato in favore di XXX gli interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda, invece che a partire dalla data in cui la società avrebbe effettivamente realizzato il preteso utile d’impresa.
La censura, che investe una statuizione della sentenza di primo grado che non risulta essere stata impugnata in sede d’appello e che è pertanto coperta da giudicato interno, va dichiarata inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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