Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-10-2013) 24-10-2013, n. 43559

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Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza emessa il 10 gennaio 2013 dal Tribunale di Ferrara quale giudice dell’esecuzione veniva disposta nei confronti di M.S. la revoca della sospensione condizionale della pena, accordatagli con la sentenza dello stesso Tribunale del 9 febbraio 2012, irrevocabile il 9 maggio 2012, in ragione del mancato avveramento della condizione cui era stato subordinato il beneficio del versamento della somma di Euro 9.000,00 alla persona offesa a titolo di risarcimento dei danni.
2. Avverso detto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione l’interessato a mezzo del suo difensore, il quale ha lamentato:
a) violazione di legge in relazione agli artt. 165 e 168 c.p. e vizio di motivazione per non avere il Tribunale tenuto conto della situazione economica del condannato, debitamente documentata, mentre sin dalla pronuncia della sentenza di patteggiamento avrebbero dovuto verificarsi le condizioni economiche dell’imputato e la concreta possibilità di adempiere all’obbligazione in favore della parte civile, controllo non condotto.
Inoltre, l’interpretazione fornita dal Tribunale, secondo il quale l’accettazione dell’obbligo risarcitorio da parte dell’imputato a seguito di accordo sulla pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., precluderebbe la valutazione della sua situazione economica, introdurrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra quest’ultimo e colui al quale lo stesso obbligo sia stato imposto direttamente dal giudice.
b) Violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 165 c.p., nella parte riguardante la decorrenza del termine concesso per l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria, da individuarsi nel momento di irrevocabilità della sentenza e non da quello della sua pronuncia, come sostenuto anche dalla giurisprudenza (Cass. Pen. sez. 1^, 605/05; Cass pen. sez. 3^, 13456/07).
3. Con la requisitoria scritta, depositata il 3 maggio 2013, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Dott. XXX, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perchè fondato su censure in punto di fatto.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e va quindi respinto.
1. Il provvedimento impugnato ha ritenuto che la condotta mantenuta dall’imputato dalla pronuncia della sentenza di patteggiamento del 9 febbraio 2012 sino al momento della decisione, successivo di oltre un anno, e consistita nella mancata corresponsione di alcuna somma alla persona offesa del reato, P.B., già vittima della spoliazione di un’ingente importo di decine di migliaia di euro, dimostrasse che nei fatti l’assunzione dell’obbligazione di risarcirle il danno col versamento della somma di 9.000,00 euro, pari ad una parte soltanto del pregiudizio arrecatole, aveva costituito soltanto un comodo espediente per consentire all’imputato di accedere al patteggiamento ed al beneficio della sospensione condizionale della pena.
1.1 Al riguardo la prima censura proposta dal ricorrente, sebbene fondala su presupposti giuridici in parte fondati, è stata poi formulata in termini generici.
1.1.1 Deduce il ricorrente che l’imposizione dell’obbligazione risarcitoria quale condizione subordinante l’accesso alla sospensione condizionale della pena, in quanto espressione del potere discrezionale del giudice, richiederebbe la previa valutazione della capacità economica dell’imputato e della sua concreta possibilità di adempiervi, verifica non condotta dal Tribunale.
1.1.2 La tesi difensiva non tiene conto che in questo specifico caso la condizione era stata oggetto della pattuizione raggiunta liberamente dalle parti, alla quale il Tribunale in sede di cognizione aveva dato avallo, recependo l’accordo negoziale sulla pena nella sua interezza; per contro, anche il disposto dell’art. 165 c.p., allorchè consente di subordinare la sospensione dell’esecuzione della pena alla condizione dell’adempimento agli obblighi risarcitori o riparatori del danno arrecato, non impone al giudicante di accertare preventivamente la solvibilità del condannato. Questa Corte sul punto ha affermato il seguente principio di diritto, qui ribadito (Cass. sez. 6^, n. 2390 del 31/1/2000, XXX, rv. 217115; sez. 3^, n. 3197 del 13/11/2008, XXX, rv.
242177; sez. 5^, n. 4527 del 03/11/2010, XXX e altro, rv. 249248):
"in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, risolvendosi il mancato pagamento cui è subordinato il beneficio in una causa di revoca dello stesso, come testualmente si ricava dall’art. 168 c.p., comma 1, n. 1, ultimo inciso, la verifica della concreta possibilità del condannato di fare fronte a tale onere trova la sua realizzazione indefettibile in sede esecutiva, spettando appunto al giudice dell’esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa essere soddisfatto.
Ne consegue che il giudice della cognizione, nel subordinare il beneficio al pagamento della somma accordata a titolo di risarcimento del danno ex art. 165 c.p., non è tenuto a compiere alcuna indagine sulle condizioni economiche dell’imputato, essendo sempre possibile per il soggetto interessato in sede di esecuzione, allegare la assoluta impossibilità dell’adempimento che, ove ritenuta provata, impedisce la revoca del beneficio".
1.1.3 Quanto poi alle valutazioni espresse dal Tribunale in ordine al mancato adempimento, se da un lato va ribadito che spetta al giudice dell’esecuzione vagliare l’assoluta impossibilità o estrema difficoltà per l’obbligato di provvedere al risarcimento del danno impostogli, dando conto con adeguata motivazione della situazione allegata e della sua effettiva sussistenza, dall’altro il ricorso si è limitato a sostenere di avere documentato tale condizione.
Per contro, il primo giudice ha ritenuto che in realtà il M. non avesse mai avuto alcuna reale intenzione di adempiere, in quanto, pur avendo volontariamente inserito la condizione per la consapevolezza di poter far fronte, non vi aveva provveduto nemmeno per un minima cifra, nonostante il decorso del lasso di tempo di quasi un anno e l’avvenuta sottrazione alla parte lesa di rilevante somma di denaro.
1.1.4 Ebbene, a fronte di tali considerazioni, che investono i presupposti fattuali della vicenda, in sè non suscettibili di un diverso giudizio in sede di legittimità, il ricorrente non specifica quali documenti avrebbe prodotto, – che non ha allegato al ricorso, privo dunque di autosufficienza-, quale rilevanza gli stessi rivestissero dimostrare l’impossibilità di far fronte agli obblighi risarcitori e quindi le ragioni della dedotta erroneità o illogicità argomentativa dell’ordinanza impugnata. In ogni caso risulta aver sottoposto all’attenzione del giudice dell’esecuzione certificazioni attestanti i debiti tributari della sua impresa individuale, documentazione palesemente insufficiente a rappresentare la sua situazione patrimoniale e finanziaria, non potendo escludersi che egli sia un mero evasore fiscale e non soggetto impossidente e sfornito in modo assoluto di qualsiasi mezzo tale da consentirgli di adempiere agli obblighi assunti verso la parte civile.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Risponde al vero che l’obbligo di risarcire il danno avrebbe dovuto essere adempiuto entro sessanta giorni dalla sentenza di patteggiamento, secondo quanto deciso e voluto anche dal ricorrente, quindi in un momento antecedente al suo passaggio in giudicato, cosa che renderebbe illegittima tale previsione perchè impositiva di un dovere di attivazione e l’esecuzione in forza di uno dei capi della pronuncia prima che lo stesso acquisisse irrevocabilità (Cass. sez. 3^, n. 13456 del 30/11/2006, XXX e altro, rv. 236329), ma è altrettanto vero che la constatazione del mancato avveramento della condizione è avvenuta quando la sentenza di patteggiamento era già passata in giudicato senza che l’imputato avesse corrisposto alcunchè alla parte lesa, il che priva di qualsiasi rilevanza la contestazione difensiva. La stessa avrebbe potuto trovare una qualche positiva considerazione solo in caso di ritardato pagamento, non a fronte della sua totale omissione, che resta tale conserva la sua valenza anche se rapportata al termine decorrente dall’irrevocabilità della sentenza che ha sospeso l’esecuzione.
Il ricorso, per la sua infondatezza, va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013

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