Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14778

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con decreto depositato il 9 novembre 2010 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il reclamo proposto dal Dr. P.I. avverso il decreto in data 14 giugno 2010 con il quale il Tribunale di Palermo aveva approvato, norma dell’art. 2400 cod. civ., comma 2, la Delib. dell’assemblea della XXX s.p.a. in data 15 marzo 2010 che aveva revocato tutti i componenti – effettivi e supplenti – del Collegio Sindacale, tra i quali il Dr. P.. La Corte del merito ha ritenuto il reclamo inammissibile nella parte relativa alla deduzione di vizi di nullità della delibera di revoca, dovendo tali vizi farsi valere con l’impugnazione avverso la delibera stessa nelle forme ordinarie, essendo la cognizione del Tribunale in sede di approvazione limitata all’esame circa la sussistenza della giusta causa di revoca. Ha ritenuto altresì privo di fondamento il reclamo quanto alle doglianze relative alla valutazione, espressa dal Tribunale, sulla sussistenza nella specie della giusta causa, alla luce delle disposizioni della L. n. 102 del 2009, sulla riduzione del costo di funzionamento degli organi sociali delle società controllate da un singolo Ente locale (nella specie, il Comune di Palermo).
2. Avverso tale provvedimento il L. ha proposto ricorso ex art. 111 Cost., a questa Corte, formulando due motivi. Resiste con controricorso la XXX s.p.a., deducendo l’inammissibilità, e comunque l’infondatezza, del ricorso.
3. Con i due mezzi il ricorrente censura, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (rispettivamente, la L. n. 102 del 2009, art. 17, commi 22 bis e 22 ter), la statuizione in ordine alla sussistenza della giusta causa di revoca, contestando l’interpretazione delle suddette norme espressa nel decreto impugnato.
4. Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto avverso un provvedimento che, ai fini dell’applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7, non è qualificabile come sentenza.
E’ noto invero l’orientamento costante di questa Corte secondo cui la norma costituzionale, nel definire "sentenza" il provvedimento avverso il quale è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, non va intepretata in senso formale – basandosi cioè sulla forma del provvedimento – bensì sostanziale: in tal senso il rimedio deve ritenersi esperibile avverso ogni provvedimento giurisdizionale, anche se emesso in forma di decreto o di ordinanza, che abbia però i caratteri della decisorietà e della definitività, che cioè pronunci – o venga comunque ad incidere – irrevocabilmente e senza possibilità di impugnazioni su diritti soggettivi. E che quindi, se fosse sottratto ad ogni impugnazione, arrecherebbe a colui il cui diritto è stato sacrificato un pregiudizio non altrimenti rimediabile (cfr. ex multis S.U. n. 3073/2003; Sez. 1 n. 9151/1995).
Tali caratteri non ricorrono nel provvedimento qui impugnato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Sez. 1, n. 7264/1999), il provvedimento di approvazione della delibera di revoca ai sensi dell’art. 2400 cod. civ., comma 2, è atto di volontaria giurisdizione, costituente la fase necessaria e terminale di una vera e propria sequenza procedimentale preordinata alla produzione dell’effetto della revoca. L’art. 2400, a presidio dell’indipendenza dei sindaci connessa con la tutela di interessi generali affidata alla funzione di controllo da essi esercitata, stabilisce, da un lato, che essi possono essere revocati solo in presenza di giusta causa – a differenza di quanto l’art. 2383 cod. civ., dispone per gli amministratori, dall’altro, che la obiettiva ricorrenza di tale situazione deve essere in ogni caso verificata dal Tribunale – con la sommarietà propria dei giudizi camerali – perchè la fattispecie della revoca venga a compimento. L’esito positivo di tale necessaria verifica sommaria, quale elemento della fattispecie complessa regolata dalla norma codicistica suindicata, opera evidentemente su un piano diverso da quello dell’eventuale successivo giudizio di impugnazione della delibera in sede contenziosa (art. 2377 cod. civ., e segg.), del quale costituisce solo il presupposto di ammissibilità. Giudizio che dunque (cfr. Sez. 1^ n. 27389/05) non solo non può ritenersi precluso dalla emissione del decreto di approvazione in sede onoraria, ma neppure vincolato dal contenuto della verifica sommaria compiuta in tale sede, che come tale non è suscettibile di acquisire la natura di res iudicata.
Deve quindi escludersi che al provvedimento qui impugnato, operante solo sul piano procedimentale, possa attribuirsi la natura di pronuncia irrevocabile sul diritto soggettivo del ricorrente all’esercizio delle sue funzioni di sindaco.
La declaratoria della inammissibilità del ricorso ne deriva di necessità.
La novità della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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