Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14777

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Svolgimento del processo

T.G.G. e Q.F. e P. convenivano in giudizio, con citazione del 7 maggio 1993, B. A. per sentire dichiarare sciolta la società di fatto costituita fra di essi per l’esecuzione di una serie di lavori edili e per accertare, previa contabilizzazione di spese e ricavi, gli eventuali utili spettanti a ogni socio.

Si costituiva B.A. che chiedeva il rigetto della domanda deducendo l’inesistenza di un rapporto di società e riconoscendo invece che le parti avevano costituito una serie di associazioni di imprese in occasione dell’aggiudicazione a ciascuna delle loro imprese individuali di appalti di lavori pubblici. Nel 1986 ogni rapporto era venuto a cessare ed erano stati attribuiti i macchinari acquistati in comune. Ogni pretesa doveva quindi considerarsi prescritta.

Il Tribunale di Caltagirone, con sentenza n. 301/2006, accertava il mancato scioglimento delle società di fatto costituite per l’esecuzione dei contratti di appalto stipulati da B.A. con il Consorzio R2 e R3 di Ragusa e determinava gli utili spettanti agli attori in complessivi Euro 44.624,40 al cui pagamento condannava B.A..

La Corte di appello di Catania ha confermato parzialmente la decisione di primo grado, rigettando l’eccezione di prescrizione perchè inammissibile (per essere stata meramente reiterata) e comunque infondata, in virtù dell’inapplicabilità dell’art. 2946 c.c., alle imprese non registrate, e rigettando, altresì, la richiesta di accertamento negativo dell’esistenza di una società di fatto non ancora sciolta. Ha invece accolto la richiesta di rigetto della domanda di pagamento ritenendo non provata una situazione debitoria del B. nei confronti degli altri ex soci di fatto. Ha condannato gli appellati al pagamento delle spese del giudizio di appello.

Ricorrono per cassazione T.G.G., F. e Q.P. affidandosi a due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 115 c.p.c e art. 2697 c.c.. Sostengono i ricorrenti che erroneamente la Corte di appello, incorrendo nel vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ha dichiarato privi di valenza probatoria i quaderni di contabilità prodotti in giudizio dagli attori, odierni ricorrenti, ritenendoli inopponibili al convenuto, odierno resistente, oltre che inattendibili e incompleti, con ciò omettendo di porre a fondamento della decisione fatti provati e cioè i ricavi, documentati attraverso gli stati avanzamento lavori acquisiti, e fatti ammessi contra se dagli attori (i costi dagli stessi riconosciuti con la produzione in giudizio dei citati documenti contabili) e non contestati dal convenuto, in violazione delle norme dettate dall’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c..

In subordine rilevano i ricorrenti che la Corte di appello ha omesso di spiegare perchè i quaderni in questione debbano ritenersi inattendibili nonostante provengano pacificamente da tecnico estraneo, incaricato da entrambe le parti, il quale ne ha confermato il contenuto nella suindicata deposizione testimoniale.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c.. I ricorrenti formulano a fini esplicativi i seguenti motivi di diritto: a) se, avendo il giudice di appello, per un verso, attribuito valore di prova ai ricavi documentati dai S.A.L, acquisiti al processo e, per altro verso, omesso di porre a fondamento della decisione, tale prova dei ricavi, non sia stata violata la disposizione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e l’art. 2697 c.c.; b) se non costituisca violazione delle stesse norme il non avere il giudice di appello attribuito natura ed efficacia di fatti incontroversi ai costi contabilizzati nelle scritture prodotte dagli attori, odierni ricorrenti, in quanto ammessi dai medesimi e non contestati dal convenuto, odierno resistente, sino a concorrenza delle somme ivi elencate a titolo di spese.

Si difende con controricorso B.A. ed eccepisce l’improcedibilità del ricorso notificato al domicilio eletto dal procuratore del B. oltre il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c. e la sua inammissibilità perchè fondato su mere censure di fatto.

I ricorrenti depositano memoria difensiva.

Motivi della decisione

L’eccezione di improponibilità del ricorso è infondata non essendo applicabile ratione temporis alla presente controversia la norma di cui al novellato art. 327 c.p.c.. Infatti la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1, prevede che il nuovo testo dell’art. 327 c.p.c., che restringe da un anno a sei mesi il termine di decadenza dall’impugnazione, si applichi ai giudizi instaurati dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 e cioè dopo il 4 luglio 2009.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso è invece fondata.

Quanto al primo motivo si osserva che l’impugnazione investe, inammissibilmente il contenuto della valutazione delle prove compiuta dalla Corte di appello, specificamente sul punto della percezione dei ricavi dell’appalto da parte del B.. Fatto che, secondo i ricorrenti costituirebbe un fatto pacifico, mentre la Corte di appello non ha affatto affermato che la certezza sull’ammontare degli 5.A.L. significasse altresì prova della percezione dei ricavi da parte del B. e ha evidentemente escluso la rilevanza di tale prova sull’ammontare degli S.A.L. proprio perchè non ha ritenuto ricostruibile il rapporto di dare e avere fra le parti sulla base della contabilità acquisita agli atti. Il motivo di ricorso, da una parte, non coglie la ratio decidendi e, per altro verso, consiste nella contestazione del merito della decisione senza peraltro fornire alcun elemento fattuale, nè la sua collocazione nel contesto processuale, che possa consentire a questa Corte di ricondurre il contenuto del motivo di ricorso a una censura sul processo motivazionale della decisione di appello. In particolare quanto alla mancata attribuzione di valore probatorio alla documentazione contabile i ricorrenti si riferiscono, nel censurare la motivazione della Corte di appello, alla sua redazione da parte di un terzo, nominato dagli associati di comune accordo, che ne avrebbe confermato in sede testimoniale il contenuto ignorando in primo luogo che la Corte di appello ha contestato proprio l’inattendibilità e incompletezza della documentazione al fine di identificare le posizioni creditorie e debitorie delle parti in causa e in via ulteriore ha rilevato trattarsi di documentazione non riferibile alla società perchè sottoscritta soltanto da uno dei ricorrenti.

Quanto al secondo motivo di ricorso esso prima ancora che all’accertamento della violazione o falsa applicazione di norme appare indirizzato a confermare la valutazione del materiale probatorio perorato dai ricorrenti attribuendolo arbitrariamente alla Corte che come si è detto non ha affatto scisso la valutazione della destinazione dei ricavi dall’accertamento dei costi.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.000 di cui Euro 100 per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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