Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-10-2013) 24-10-2013, n. 43555

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Svolgimento del processo
1. Con decreto deliberato il 4 ottobre 2012 la Corte di appello di Napoli ha confermato il decreto emesso il 27 dicembre 2011 dal Tribunale di Benevento, col quale era stata applicata a M. M. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per anni due.
La Corte ha ritenuto che non sussistesse violazione del principio "ne bis in idem", per essere stato il M. già destinatario di analoga misura di prevenzione, eseguita dal 1999 al 2001, osservando che l’attuale misura è fondata su elementi nuovi.
Ha, quindi, confermato l’attualità della pericolosità sociale del M. desunta dai seguenti elementi: a) i precedenti penali, spazianti dal 1997 al 2007 con condanna in sede di appello, non ancora irrevocabile, ad anni 4 e mesi 2 di reclusione per violazione continuata della legge sugli stupefacenti commessa fino all’ottobre 2007; b) le accertate frequentazioni fino al 2008 di persone pregiudicate, indicate dal Comando provinciale dei Carabinieri di Benevento come affiliati all’organizzazione criminale XXX- XXX; c) il turbolento comportamento tenuto dal M. durante la custodia cautelare subita nel procedimento, ancora pendente, per illecita detenzione di sostanze stupefacenti, giacchè ad un primo periodo di custodia in carcere dal 3 giugno 2008 al 24 giugno 2010, era succeduta l’ammissione agli arresti domiciliari a partire dal 25 giugno 2010 e il ripristino, il 27 agosto 2011, della più grave misura carceraria, con successiva nuova ammissione agli arresti domiciliari; d) l’assenza di alcun impegno lavorativo nei lunghi anni della devianza, essendosi il M. iscritto nelle liste di collocamento solo a partire dall’11 dicembre 2009.
2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il M. tramite il difensore, avvocato XXX L. del foro di Benevento, il quale deduce tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la nullità del provvedimento impugnato per violazione del principio "ne bis in idem".
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la violazione di legge e il difetto di motivazione in punto di ritenuta attualità della pericolosità sociale.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio della motivazione sempre in tema di apprezzata attualità della pericolosità sociale.
3. Il Pubblico ministero presso questa Corte ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per l’evidente insussistenza della violazione del divieto di un secondo giudizio di prevenzione e per la manifesta infondatezza dei motivi attinenti alla valutazione di attualità della pericolosità sociale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato poichè il decreto del Tribunale di Benevento in data 27 dicembre 2011 – 2 gennaio 2012, confermato dalla Corte di appello di Napoli col provvedimento qui impugnato, ha applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, sulla base di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli posti a fondamento della prima analoga misura di prevenzione disposta nei confronti del M., di cui al decreto emesso quasi quattordici anni prima, il 25 novembre 1997, con esecuzione dal 23 dicembre 1999 al 24 dicembre 2001.
Tali elementi attestano, secondo i giudici di merito, la pericolosità sociale attuale di M.M. e risultano, tutti, successivi alla prima misura: la notificazione di avviso orale del Questore di Benevento in data 23 settembre 2002; i numerosi controlli di polizia del M. fino al 2008 (anno del suo arresto), in occasione dei quali il prevenuto fu sorpreso in compagnia di persone vicine al sodalizio malavitoso IXXX-XXX;
la circostanza che il M. non abbia mai svolto alcuna lecita attività di lavoro, iscrivendosi nelle liste di collocamento solo l’11 dicembre 2009; la condanna in primo e secondo grado e la custodia cautelare subita, anche con ripristino della misura più grave, per il delitto continuato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti commesso fino all’ottobre del 2007.
1.2. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, perchè denunciano vizi di violazione di legge e difetto di motivazione pertinenti al medesimo tema della ritenuta pericolosità sociale del M. di cui, secondo il ricorrente, sarebbe stata illegittimamente e immotivatamente affermata l’attualità.
Premesso che anche la pretesa violazione di legge si risolve in censura della motivazione in punto di attuale pericolosità, i suddetti motivi sono inammissibili perchè non consentiti nel giudizio di legittimità relativo ai provvedimenti che dispongono misure di prevenzione.
E, invero, l’abrogata L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, disciplinante le misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose, cui corrisponde il vigente D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 10, comma 3, (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), ammette il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello in materia di misure di prevenzione solo per violazione di legge.
Come è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione può assurgere a violazione di legge soltanto quando si risolva nell’assoluta mancanza, sotto il profilo letterale o concettuale, di qualsiasi argomentazione a sostegno della pronunzia (artt. 111 Cost. e 125 c.p.p.), ovvero consista nell’esposizione di ragioni che nulla hanno a che vedere con l’oggetto dell’indagine, in guisa da rendere assolutamente incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice (c.f.r., in subiecta materia, Sez. 5^, n. 19598 del 08/04/2010, dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514, e precedenti conformi: n. 34021 del 2003 Rv.
226331, n. 15107 del 2004 Rv. 229305, n. 35044 del 2007 Rv. 237277).
Tali casi sono estranei alla fattispecie in esame, tenuto conto che la Corte d’appello ha dato ampio spazio alle ragioni del proprio convincimento circa la legittimità del decreto impugnato in punto di attuale pericolosità sociale del M., desunta da tutti gli elementi, già sopra indicati e qui non ripetuti, senza incorrere in alcun errore di diritto, nè in grossolane incongruenze logico- giuridiche.
2. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte, cost. n. 186 del 2000)- al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013

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