Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-10-2013) 24-10-2013, n. 43554

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con decreto in data 7.2.2013 la Corte d’appello di Bari rigettava il reclamo proposto nell’interesse di S.P. avverso il decreto in data 3.10.2012 con il quale era stata disposta la misura della sorveglianza speciale di P.S. per il periodo di un anno.

La Corte d’appello riteneva sussistente l’attuale pericolosità del S., in considerazione di precedenti penali per rapina e tentato furto dell’anno 2010 e per i carichi pendenti per un furto e per una ricettazione commessa nel novembre 2010, vale a dire pochi mesi prima della proposta.

Riteneva, inoltre, che il recente inizio di un’attività lavorativa non fosse sufficiente a provare il mutamento della condotta, tenuto conto anche del fatto che nel 2011 era stato controllato mentre era in compagnia di pregiudicati.

Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge, in quanto il provvedimento impugnato conterrebbe solo una motivazione apparente.

Preliminarmente il ricorrente ha chiesto che il presente procedimento fosse trattato in udienza pubblica, con la partecipazione del difensore.

Nel merito ha sostenuto, dopo aver riportato il contenuto dell’atto di appello, che la Corte territoriale non aveva risposto a tutte le censure mosse dall’impugnazione al provvedimento del Tribunale, e in particolare nulla aveva detto sulla osservazione che fatti del 2010 non potevano considerarsi attuali e neppure sul fatto che, dopo il gennaio 2011, cioè dopo l’inizio dell’attività lavorativa del ricorrente, lo stesso non fosse stato più visto in compagnia di pregiudicati.

Con un secondo motivo il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello aveva confuso la pericolosità, quale presupposto per l’applicazione della misura di sicurezza, con la quale si mira a prevenire la reiterazione dei reati, con il presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione, prevista invece nei confronti di coloro che per la condotta o il tenore di vita vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Motivi della decisione

Preliminarmente si palesa inammissibile la richiesta di trattazione del presente provvedimento in udienza pubblica e partecipata per la discussione orale, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito il principio, valido per tutti i procedimenti camerali trattati dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 611 c.p.p., secondo il quale non trova ostacolo il predetto procedimento nella sentenza 10 aprile 2012 della Corte europea per i diritti dell’uomo, nel caso Lorenzetti c. Italia, in quanto tale pronuncia, nell’affermare la necessità che al soggetto interessato possa quanto meno essere offerta la possibilità di richiedere una trattazione in pubblica udienza, non si riferisce al giudizio innanzi alla Corte di cassazione (cfr. ordinanza n. 41694 del 18.10.2012, Rv.253289).

Nel merito, il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato il vizio della violazione di legge, nella sostanza si lamenta della mancata risposta da parte della Corte d’appello a tutte le censure che erano state mosse con i motivi d’appello al decreto del Tribunale di Bari in data 3.10.2012.

Si deve, innanzi tutto, ricordare che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, penultimo comma, ammette il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello solo per violazione di legge, e quindi il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione non può estendersi al controllo dell’iter giustificativo della decisione.

Nel procedimento di prevenzione, in sede di legittimità, non è quindi deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ravvisarsi la violazione di legge per carenza assoluta di motivazione anche quando la stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, al punto da non potersi comprendere le ragioni che hanno giustificato la decisione sulla misura; ovvero, ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura.

Nel caso in esame, invece, la motivazione, pur essendo sintetica in armonia con la tipologia dell’atto (decreto e non sentenza), consente di ricostruire il percorso logico giuridico attraverso il quale la Corte di merito è giunta alla decisione impugnata.

In particolare, sono stati indicati gli elementi dai quali è stata desunta la pericolosità del proposto e sono stati indicati anche gli argomenti in base ai quali la pericolosità debba essere ritenuta attuale, nonostante l’attività lavorativa iniziata da dal S..

Peraltro, Questa Corte ha costantemente affermato che, per il disposto dell’art. 597 c.p.p., comma 1, l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante in ordine ai punti (o capi art. 581, comma 1, lett. e) investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate a sostegno dell’appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado (V. Sez. 1^ sentenza n. 1778 del 21.12.1992, Rv.194804).

Non risulta affatto, come denunciato dal ricorrente, che la Corte territoriale abbia fatto riferimento ad un concetto di pericolosità non appropriato nell’ambito delle misure di prevenzione.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2013
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