Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-09-2012, n. 14772

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Svolgimento del processo
che l’arch. S.G., con ricorso del 22 novembre 2002, chiese al Tribunale di Roma di ingiungere al Comune di Roma il pagamento della somma di Euro 63.241,39, oltre accessori, a titolo di differenza del compenso dovuto dal Comune per l’incarico affidatogli, avente ad oggetto il collaudo statico delle opere in cemento armato e carpenteria metallica delle opere civili realizzate nelle due tratte della linea metropolitana "A" di (OMISSIS) ( (OMISSIS)) affidate in concessione dallo stesso Comune alla s.p.a. I.M. XXX;
che il Tribunale adito, con decreto n. 958 del 22 gennaio 2003, ingiunse al Comune di Roma il pagamento della somma richiesta;
che il Comune di Roma, nell’opporsi a tale decreto, dedusse che la differenza di compenso richiesta dall’arch. S. non era dovuta, in quanto il compenso per detto collaudo doveva essere commisurato – non all’importo complessivo dei lavori di progettazione e di esecuzione delle opere concesse alla Società XXX, ma – all’importo delle opere realizzate, oggetto del collaudo;
che – deceduto lo S. nel corso del giudizio – il processo proseguì nei confronti degli eredi, L.M.G., A. e S.P.;
che il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 19016/05 del 22 agosto 2005, respinse l’opposizione del Comune di Roma;
che – a seguito di appello del Comune di Roma, cui resistettero gli eredi S. – la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3660/09 del 28 settembre 2009, accolse l’appello e, in riforma della decisione impugnata, accolse l’opposizione del Comune di Roma e revocò il decreto ingiuntivo opposto;
che la Corte romana in particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, ha affermato che: a) "(…) contrariamente a quanto argomentato dal primo giudice – che pure aveva riconosciuto la lacuna regolamentare del caso di specie … – la Delib. C.C. n. 612 del 1984, non può non essere interpretata secondo i criteri ex art. 1362 cod. civ., e segg."; b) "In tale contesto, il Comune ha bene evidenziato (…) che "(…) il compenso dei collaudatori deve essere commisurato al valore delle opere realizzate materialmente ed effettivamente collaudate e non al valore dell’impegno complessivamente assunto dal Concessionario, il quale comprende (…) prestazioni e servizi di diversa natura e che certamente non possono essere – nè lo sono state – soggette a collaudo statico". In altre parole, nel valore delle opere oggetto di collaudo statico non possono rientrare – logicamente, cronologicamente e tecnicamente – attività successive svolte dal Concessionario, con erogazione, ingiustificata e sine titulo, di pubblico denaro, sotto forma di compenso professionale, a collaudatori per prestazioni estranee all’incarico conferito";
che avverso tale sentenza L.M.G., S.A. e P. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che resiste, con controricorso, il Comune di Roma;
che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
che, con il primo motivo (con cui deducono: "Violazione ed errata applicazione delle norme di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., con riferimento alla Delib. C.C. n. 612 del 1984, nel rapporto contrattuale Comune di Roma/Commissione di collaudo statico con violazione dell’art. 115 c.p.c. per omesso esame di documenti inerenti punto decisivo della controversia con motivazione insufficiente e contraddittoria – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5"), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di Roma, con motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria e con omesso esame di documenti decisivi, ritualmente depositati in causa – Delib. n. 612 del 1984, lettera Dipartimento 7^ protocollo 52620/1999: a) ha illegittimamente escluso dal totale importo dell’opera, cui commisurare il compenso spettante al loro dante causa, le maggiorazioni a titolo di imprevisti, spese generali ed interessi passivi a breve termine, comunque corrisposti dal Comune di Roma alla s.p.a. I.M. XXX; b) ha violato il principio in claris non fit interpretatio, riducendo il compenso dovuto al loro dante causa in percentuale "al solo importo dei lavori collaudati e non al valore lordo delle opere così come dal Comune di Roma concordata con la concessionaria I.M. XXX", ciò in difformità dall’art. 15, comma 2, della Convenzione Comune di Roma/XXX che, regolando il rapporto concessorio indistintamente per tutti i collaudi, non fa invece alcuna distinzione tra collaudi tecnico-amministrativi e collaudi statici e non limita l’oggetto di quest’ultimo tipo di collaudo "ai soli lavori eseguiti dalle imprese terze appaltatrici";
che, con il secondo motivo (con cui deducono: "Violazione ed errata applicazione della L. n. 1086 del 1971, sempre con riferimento all’art. 1362 cod. civ., e segg.. Omesso esame di atti e documenti decisivi. Motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5"), i ricorrenti criticano ancora la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di Roma: a) nello stabilire che il compito dei collaudatori statici dovesse limitarsi ai soli lavori eseguiti dalle imprese terze appaltatrici, ha violato sia la L. 5 novembre 1971, n. 1086, sia il R.D. 25 maggio 1895, n. 350, nella parte in cui disciplinano scopo ed oggetto del collaudo;
b) ha omesso di considerare il fatto che l’operato del collaudatore deve riguardare anche quello del direttore dei lavori, come stabilito dall’art. 19/b della Tariffa professionale di cui alla L. 2 marzo 1949, n. 143; c) ha omesso di esaminare compiutamente la Delib.
comunale n. 3335 del 1992, nella parte in cui richiama, per la determinazione del compenso dovuto al collaudatore statico, le lettere a) e b) del punto 11 della Delib. n. 612 del 1984, che si riferiscono all’importo dell’opera e non all’importo dei "lavori";
che il ricorso è inammissibile;
che i Giudici a quibus – contrariamente a quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti nel giudizio d’appello – hanno affermato che, sulla base dell’interpretazione della Delib. Consiglio comunale del Comune di Roma n. 612 del 1984, effettuata secondo i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., "il compenso dei collaudatori deve essere commisurato al valore delle opere realizzate materialmente ed effettivamente collaudate e non al valore dell’impegno complessivamente assunto dal Concessionario, il quale comprende (…) prestazioni e servizi di diversa natura e che certamente non possono essere – nè lo sono state -soggette a collaudo statico";
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio – l’interpretazione di un atto negoziale o di un atto amministrativo – quale quello di specie (la predetta deliberazione del Consiglio 3^ comunale romano) – è tipico accertamento in fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, con la conseguenza che, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 10554 del 2010);
che, sempre a tale riguardo, è stato altresì precisato che censure siffatte, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere anche accompagnate, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, dalla trascrizione delle clausole oggetto di interpretazione, al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica della denunciata erronea applicazione della disciplina codicistica in tema di interpretazione (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 13587 del 2010);
che i ricorrenti, in palese violazione di tali principi hanno omesso sia di riprodurre integralmente le clausole rilevanti della più volte menzionata Delib. consiliare del Comune di Roma n. 612 del 1984, sulla cui interpretazione si basa la ratio decidendi della sentenza impugnata, sia di individuare specificamente i canoni ermeneutici codicistici che sarebbero stati violati dalla Corte romana nell’effettuare tale interpretazione, impedendo così a questa Corte l’esercizio di un concreto sindacato di legittimità;
che, perciò, le censure articolate dai ricorrenti si risolvono, a ben vedere, nella mera contrapposizione alla ricostruzione ermeneutica operata dai Giudici a quibus della propria tesi interpretativa, supportata con richiami di norme, di altre deliberazioni consiliari del Comune di Roma, e della Convenzione Comune di Roma/XXX che, in mancanza della su rilevata testuale riproduzione delle clausole della Delib. n. 612 del 1984 – posta a fondamento, si ribadisce, della ratio decidendi della sentenza impugnata – si riducono a mere citazioni astratte dalla fattispecie;
che, pertanto, il ricorso è complessivamente inammissibile;
che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2012

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