Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-09-2012, n. 14918

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 4-8-1986 R., T. ed M.A., nella loro qualità di figli ed eredi di V.C., premesso eh l’IACP della Provincia di XXX aveva acquisito dalla V. in forza di un decreto di esproprio la proprietà di un appezzamento di terreno di mq. 4615, facente parte di un fondo di maggiore estensione riportato in catasto terreni alla partita 56, foglio 4, particella 111, al fine di costruirvi un quartiere di case popolari autosufficiente, assumevano che il suddetto Istituto non aveva realizzato nessuna costruzione sull’immobile.
Gli attori pertanto convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di XXX l’IACP della Provincia di XXX chiedendo revocarsi il decreto di esproprio e condannarsi il convenuto alla restituzione del fondo ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio il predetto Istituto eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e comunque l’infondatezza della domanda.
Interveniva poi in giudizio P.G. deducendo che una parte dell’appezzamento per cui è causa, e precisamente 2215 mq., erano da lui posseduti fin dal 1961; chiedeva quindi dichiararsi l’avvenuto suo acquisto per usucapione del fondo e delle costruzioni su di esso edificate.
Il Tribunale adito con sentenza del 15-11-2002 rigettava sia la domanda attrice che quella dell’interventore.
Proposto gravame da parte del P. cui resisteva l’IACP della Provincia di XXX, mentre M.R., T. ed A. restavano contumaci, la Corte di Appello di XXX con sentenza del 14-3-2005 ha rigettato l’impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza il P. ha proposto un ricorso affidato ad un unico motivo; tutte le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo articolato il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1140 e 1158 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver valorizzato la circostanza che il 10/3/1960 le sorelle C. e V.R. (quest’ultima madre del P.) avevano stipulato con l’IACP della Provincia di XXX due atti notarili, il primo avente ad oggetto la vendita ed il secondo il trasferimento del possesso di una porzione del loro fondo, dandosi atto nel secondo rogito che detto fondo era libero ed occupato soltanto da una baracca che le venditrici si impegnavano ad eliminare entro 15 giorni, e che la costruzione edificata dall’esponente su buona parte della zona di terreno che egli assumeva aver usucapito ancora nel 1989 era allo stato rustico, tanto da essere stata oggetto di sequestro penale in quanto abusiva; in realtà con l’atto per notaio Sica del 10-3-1960 rep. N. 64579 era stato trasferito il possesso soltanto di parte del terreno, cosicchè l’assunto dell’esponente nell’atto di appello di avere iniziato ad esercitare il possesso "animo domini" in concomitanza con la predetta cessione di parte della proprietà da parte di V.R. non contrastava con il contenuto del suddetto atto notarile; il P. poi con la comparsa di intervento del 29-4-1994 aveva dichiarato di aver iniziato ad esercitare il possesso "animo domini" dopo un anno dalla presa di possesso del terreno da parte dell’IACP della Provincia di XXX, riferendosi a quella parte del bene consegnato all’Istituto e da quest’ultimo lasciato abbandonato.
Il ricorrente aggiunge che la Corte territoriale erroneamente ha affermato che la casa realizzata dal P. sul predetto terreno non era abitata nè era abitabile, tanto da essere stata sottoposta a sequestro penale, non avendo considerato che l’esponente aveva violato i sigilli.
Infine il ricorrente sostiene che il giudice di appello ha trascurato di rilevare che il P. aveva lavorato il terreno per cui è causa personalmente, e che in economia vi aveva eretto una costruzione.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, pur dando atto che l’esito delle prove testimoniali era apparentemente favorevole alla tesi del P., ha evidenziato l’esistenza di elementi di carattere documentale che contrastavano adeguatamente tali risultanze; in particolare il 10-3-1960 le sorelle V.C. e R. avevano stipulato con l’IACP due atti notarili, il primo con il quale vendevano una porzione del loro fondo, ed il secondo, dal primo richiamato, con il quale esse trasferivano anche il possesso materiale e giuridico dell’immobile da quella data; nell’atto di trasferimento poi si dava atto che il fondo era libero e che era occupato soltanto da una baracca che le venditrici si impegnavano ad eliminare entro 15 giorni; inoltre la costruzione edificata dal P. su buona parte della zona di terreno che egli asseriva aver usucapito ancora nel 1989 era allo stato rustico, tanto da essere stata oggetto di sequestro penale in quanto abusiva.
Il giudice di appello ha a tal punto ritenuto che detti elementi oggettivi, perchè emergenti da atti pubblici, rendevano poco credibile la versione dei fatti resa dal P. ed apparentemente accreditata dalle deposizioni testimoniali; infatti l’appellante sosteneva di aver iniziato ad esercitare le facoltà corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà in concomitanza del momento in cui la genitrice V.R. cedeva l’immobile ad un terzo, ma tale assunto era smentito dal rilievo che, secondo le dichiarazioni delle parti riportate negli atti sopra menzionati (dichiarazioni rese anche da V.R., persona che sia in quanto comproprietaria sia in quanto madre del P. ben conosceva la situazione dell’immobile), l’estensione del fondo era libera e su di esso vi era soltanto una piccola baracca; inoltre le dichiarazioni rilasciate dai testi Co. ed A. per un verso non coincidevano con quelle rese dal teste R. (che aveva affermato che il P. aveva una casa nella quale a volte dormiva in quanto invece abitava in Via (OMISSIS)), e per altro configgevano con il rilievo del giudice di primo grado e non confutato, secondo cui ancora nel 1989 la casa del P. non era abitata nè era abitabile, tanto da essere sottoposta a sequestro penale; infine la Corte territoriale ha evidenziato che l’appellante non aveva fornito alcuna prova documentale di aver fatto fronte alle spese che solitamente sopporta il proprietario di un immobile, quali quelle relative ai servizi necessari alla coltivazione della terra, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, alle tasse ed altre.
La sentenza impugnata ha quindi concluso che i pochi elementi di prova e la loro equivocità, anche in relazione alla durata del possesso, non consentivano di affermare che il P. avesse adempiuto compiutamente all’onere probatorio su di lui incombente a norma dell’art. 2697 c.c..
Orbene, avendo la Corte territoriale puntualmente indicato le fonti del suo convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove il ricorrente si limita a prospettare in maniera confusa e generica una diversa ricostruzione degli elementi probatori acquisiti, non considerando che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di tale sindacato, non è possibile riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico e della correttezza giuridica, la valutazione operata dal giudice di merito, cui resta riservato il potere di apprezzare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Del resto il ricorrente non solo non ha neppure indicato le specifiche modalità con le quali avrebbe iniziato a possedere il fondo per cui è causa (considerato tra l’altro che, come già rilevato, ancora nel 1989 la casa in esso eretta non era abitata nè era abitabile, circostanza che rileva in ordine alla durata del possesso quale requisito necessario ai fini della prova dell’invocata usucapione), ma ha anche offerto versioni tra di loro contrastanti dell’inizio di tale preteso possesso, avendo dedotto nell’atto di intervento del giudizio di primo grado di aver cominciato ad esercitarlo dopo un anno dal trasferimento del possesso stesso dalle venditrici all’IACP, ed avendo invece asserito nell’atto di appello di aver iniziato a possedere il fondo stesso contestualmente all’atto di vendita del 10-3-1960.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *